Ed eccola che arriva,

la luna,

facendo rotta fuori da un gregge di nuvolette screziate che sfuma in una vaga iridescenza;

e, man mano che veleggia verso l’alto,

stende uno smalto vitreo sulle tracce dei pattini lungo la strada,

dove ogni scintillante grumo di neve è messo in risalto da un’ombra turgida.

Davvero incantevole, davvero solitario.

Ma che cosa ci faccio io là,

in quello stereoscopico paese dei sogni?

Come ci sono arrivato?

Le vibrazioni dentro le mie orecchie non sono più le campanelle di slitte che si allontanano,

ma sono il canto del mio vecchio sangue.

Tutto è immobile, ammaliato,

soggiogato dalla luna, specchietto retrovisore dell’immaginazione.

Però la neve è autenica e,

nel chinarmi a raccoglierne una manciata ,

sessant’anni mi si sfarinano fra le dita

in uno sfavillante pulviscolo di ghiaccio.