E’ la storia di Serge (un gigantesco Depardieu), un sessantenne che decide di andare in pensione dopo una vita dedicata interamente al lavoro.
L’uomo inizia così a percorrere a ritroso la strada -reale e mnemonica- delle svariate mansioni svolte negli anni, alla ricerca dei fantomatici datori di lavoro e degli improbabili contributi versati a suo pro.
Scopriamo presto un uomo totalmente estraneo alla società (in cui sembra non essersi mai calato), e poi -gradualmente- la vera essenza di Serge, soprannominato Mammuth, come la vecchia moto che lo condurrà per campagne francesi fra giostrai, vecchie locande, bar trasandati e strutture che in realtà non esistono più.
Mammuth ha pensato sempre soltanto al lavoro, non è in grado di gestire la più semplice delle operazioni che la quotidianità riserva; è rozzo, trasandato, obeso, di poche parole, e porta lunghi capelli da vichingo. Poi, attraverso una regia delicata e artigianale, conosciamo i suoi lati positivi, le sofferenze patite, come la perdita della donna che amava, l’affetto e la cura che riserva (a modo suo, naturalmente) alla nipote alienata, l’amore ritrovato per la vita e la compagna.
Bello e poetico il viaggio in moto di Mammuth, così come la narrazione, che rimbalza in modo tenue fra vicende concrete e l’universo surreale di Serge e degli strambi personaggi (la nipote in primis) che si presenteranno sulla scena di un film che è insieme fuga, sogno, follia, riscoperta di un motivo, dell’amore, della voglia di continuare.
E allora corri Mammuth, corri veloce, non ti fermare.
L’Oste consiglia Mammuth ed altre pellicole.