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Vorrei estrapolare un passo interessante dalle pagine de “Il nostro comune amico”, il romanzo di Dickens che Henry James definì “un licenzioso e sformato mostro“.
Il piano narrativo dell’opera si sviluppa in modo lineare, ma si ramifica e si sposta fra i dialoghi e i punti di vista di numerosi (e spesso eccentrici) personaggi, così da donare alla storia le tonalità più svariate: definirei l’opera un concerto in lettere, un romanzo polifonico.
Qui, ora, mi interessa parlare della fase in cui John Rokesmith, il segretario che sposa Bella Wilfer, diviene (o riassume le sembianze di) John Harmon, in cui il Mendicante indossa i panni del ricco ereditiero: tale “trasformazione” è raccontata utilizzando come strumento un paragone il cui termine si chiama George Sampson, l’uomo legato sentimentalmente a Lavinia, sorella di Bella, uomo prima osannato al cospetto del Mendicante grazie a una piccola rendita che crea un notevole scarto sociale fra lui e i Rokesmith; ed ora invece relegato a reietto e misero nell’improponibile confronto col gigante Harmon.
E così assistiamo, in un tragicomico tragitto in carrozza (carrozza Harmon, diretta a palazzo Harmon), alla umiliazione di Sampson da parte di Lavinia e di sua madre, a causa della sua riflessa e sopraggiunta pochezza, che diviene quasi una colpa, agli occhi delle due donne.
La ricchezza acquisita dagli Harmon diviene pertanto un evento vissuto da coloro che gravitano attorno all’evento, più che dai titolari stessi della fortuna: ma, d’altra parte, l’evento conta in questo senso per chi in questo senso interpreta la vita; John e Bella, invece, si sono sposati per amore, e per loro nulla cambia.