Tempo fa mi trovavo nei pressi di Page, angusta cittadina al confine fra Arizona e Utah. Ero a bordo di una jeep indiana diretta all’Antelope Canyon, luogo sacro dei nativi d’America.
Tutto intorno un deserto di sassi e sabbia a perdita d’occhio, interrotto soltanto da un orrendo opificio grigio, grigio come il fumo che le ciminiere sparavano nel cielo terso e sconfinato degli Stati Uniti. Incuriosito, chiesi all’Indiano Navajo (la cui anima con ogni probabilità è schizzata nella mia) alla guida del mezzo: “What is it?”- ed egli, sorridendo, rispose: “Oh… it makes clouds!”.
In seguito scoprii che quel mostro di cemento genera energia per una vastissima porzione di territorio, e che forse per questo motivo il ragazzo ne accettava con ironia l’ingombrante presenza, quasi fosse il minimo di quanto è stato imposto -nei secoli- a un popolo espropriato progressivamente delle proprie origini e dei propri territori dagli spietati conquistatori europei.


