La casa dalle finestre che ridono
09 lunedì Gen 2012
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09 lunedì Gen 2012
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09 lunedì Gen 2012
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Bassa Padania.
Un restauratore viene chiamato in un paesino per ripristinare l’affresco di un artista ormai deceduto, artista noto per l’insania e per aver immortalato soggetti in agonia.
La vicenda si sviluppa lentamente, portando a galla in modo graduale paura e inquietudine, fino a rivelare l’abisso obliato della follia.
Le atmosfere cupe, umide, la nebbia che s’insinua fra i vicoli e nelle coscienze degli individui, i personaggi inquietanti che popolano questa provincia profonda e sperduta, la musica e i tasti d’un pianoforte che accompagnano in modo angoscioso i momenti topici del film rendono l’horror artigianale di Avati un buon prodotto, da riscoprire, in un mondo in cui, gli anni 70 (un dove, e non un quando), il montaggio non aveva ancora avuto la meglio sulla storia.
Non si può tralasciare il riferimento, nemmeno troppo “velato”, al Norman Bates di Hitchcock, in particolar modo nella spirale che stritola il protagonista alla fine del film.
Un ulteriore consiglio, che vale per tutte le opere che invecchiano (ma che invecchiano bene) e che sono state realizzate in altre epoche con mezzi scarsissimi: prima di usufruirne, lavorate su voi stessi, in modo leggero, impalpabile, e indossate occhi antichi, retrò, capaci di adattarsi al passato, di filtrare il tempo.
Ne trarrete giovamento.
08 domenica Gen 2012
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08 domenica Gen 2012
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L’Oste consiglia “Cars hiss by my window”, eccellente blues notturno dei Doors.
Che la voce calda e malinconica di Morrison vi accompagni su questo battello diretto a sud.
07 sabato Gen 2012
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07 sabato Gen 2012
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Il film è incentrato sull’ottima prova della Mulligan, che è l’ago della bilancia dell’intero percorso narrativo. Appare bambina al cospetto delle sue nuove compagnie, con tutti i disagi del caso, con le illusioni e disillusioni cui si va incontro in situazioni di cotanto svantaggio. Appare invece vecchia nel nuovo rapporto che si viene a instaurare con amici, famiglia, insegnanti, al cospetto dei quali si presenta apparentemente matura, e colma di una sicurezza che però traballa agli occhi dello spettatore. L’altalenante evolversi del percorso di Jenny mantiene l’equilibrio su di un filo sottile di cui si avverte l’imminente strappo. La storia non offre nulla di nuovo, ma il film ci regala un mondo affascinante, e una buona interpretazione della perdita dell’innocenza, della lezione di crescita cui le esperienze dolorose conducono, nell’indifferenza di una società ipocrita, qui rappresentata da una famiglia accecata dall’egoismo.
06 venerdì Gen 2012
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Un eccesso di aspettative può sovente giocare brutti scherzi allo spettatore.
Lo sguardo gelido e distante di Eastwood (non dissimile dalla rappresentazione di Clooney ne “Le idi di marzo”) su di un personaggio altrettanto gelido e distante non coinvolge emotivamente, regala una visione critica ma asettica di John Edgar Hoover, una regia perfetta, troppo perfetta, e l’elettrocardiogramma si conserva piatto, e si finisce con la sensazione di aver assaggiato l’antipasto freddo di un pranzo che non c’è.
La critica è rivolta all’assenza di emozioni che accompagna tutto il percorso del film, che diviene quasi un documentario, un reportage, nonostante le ineccepibili prove attoriali di DiCaprio, Dench (sempre un gradino sopra gli altri), Watts e Hammer.
In “J.Edgar” emergono i lati sgradevoli di Hoover, le menzogne, le incoerenze dell’uomo che ha rivoluzionato l’FBI, presiedendola per un cinquantennio sotto l’egida di otto diversi capi di stato, ma non c’è trepidazione alcuna, non si freme nell’attesa di un evento, quasi fossimo lungo una highway americana, rettilinea e infinita (ma senza il contrappeso del paesaggio a indorare gli occhi di chi guida).
E allora ci si chiede se Hoover, personaggio legato profondamente alla storia americana del ‘900, ma rapito dai principi sulla sicurezza nazionale e dall’ossessione di una perfezione inattaccabile al punto di dimenticarsi di vivere, meritasse le attenzioni di un grande regista, quale Eastwood rimane.
Il cinema dovrebbe emozionare, sempre.
06 venerdì Gen 2012
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Bucce di mandarino costellano l’abisso bianco,
disperdendosi e riaffiorando a intermittenza
lungo la superficie increspata di un mare neve.
Un toro irrompe poderosamente sulla scena,
squarciando il fondale di cartapesta.
Nervature muscolari in perfetta tensione e l’innata fierezza
ne contraddistinguono l’incedere.
Turgide nari vulcaniche si dilatano
per poi prendere a sbuffare collericamente.
L’Estetica del toro è minacciata dall’interferenza biodegradabile
che corrompe la purezza circostante.
La tauromachia diviene inevitabile,
l’arena si pone laddove è la fonte stessa della sovrapposizione elettromagnetica,
fra la bianchezza e la gradazione che sullo spettro tentenna fra il giallo e il rosso.
Vili picadores a cavallo punzecchiano l’animale che per un istante esita.
Ma il toro fissa lo sguardo sugli inani pupazzi,
che si sciolgono ancor prima che l’agone inizi.
Il sublime cornuto scuote il terreno,
sputa fuoco e tempesta,
volteggia indispettito la propria foga,
04 mercoledì Gen 2012
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L’incontro in spiaggia fra Mammuth/Depardieu e Benoit Poelvoorde (il recente protagonista di “Emotivi anonimi”), cercatori di monete e monili vari all’occorrenza, immortalati in una sfida a suon di metal detector e strampalate teorie sulla “caccia al tesoro”.
04 mercoledì Gen 2012
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L’Oste in versione vinile consiglia “Brother, can you spare a dime?”, pezzo di Jay Garney del 1931, manifesto della Grande Depressione americana, nella versione di Abbey Lincoln, che ne scalda e colora ogni nota.
Un nuovo brano nel Soundtrack dell’Osteria, collocabile idealmente sopra una chiatta a scendere il corso prepotente del Mississipi
04 mercoledì Gen 2012
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E’ la storia di Serge (un gigantesco Depardieu), un sessantenne che decide di andare in pensione dopo una vita dedicata interamente al lavoro.
L’uomo inizia così a percorrere a ritroso la strada -reale e mnemonica- delle svariate mansioni svolte negli anni, alla ricerca dei fantomatici datori di lavoro e degli improbabili contributi versati a suo pro.
Scopriamo presto un uomo totalmente estraneo alla società (in cui sembra non essersi mai calato), e poi -gradualmente- la vera essenza di Serge, soprannominato Mammuth, come la vecchia moto che lo condurrà per campagne francesi fra giostrai, vecchie locande, bar trasandati e strutture che in realtà non esistono più.
Mammuth ha pensato sempre soltanto al lavoro, non è in grado di gestire la più semplice delle operazioni che la quotidianità riserva; è rozzo, trasandato, obeso, di poche parole, e porta lunghi capelli da vichingo. Poi, attraverso una regia delicata e artigianale, conosciamo i suoi lati positivi, le sofferenze patite, come la perdita della donna che amava, l’affetto e la cura che riserva (a modo suo, naturalmente) alla nipote alienata, l’amore ritrovato per la vita e la compagna.
Bello e poetico il viaggio in moto di Mammuth, così come la narrazione, che rimbalza in modo tenue fra vicende concrete e l’universo surreale di Serge e degli strambi personaggi (la nipote in primis) che si presenteranno sulla scena di un film che è insieme fuga, sogno, follia, riscoperta di un motivo, dell’amore, della voglia di continuare.
E allora corri Mammuth, corri veloce, non ti fermare.
03 martedì Gen 2012
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Il giorno affonda i suoi ultimi istanti fra le orme argentee e profonde di un gigante matto.
Una scala in feltro fissa addobbi a mezz’aria.
E’ subito notte, e la compagnia brinda nel caos che si moltiplica.
Una bambina regala candidi auguri a volti sconosciuti.
Il sonoro macina le grida dei commensali remixando parole in ordine sparso.
Poi la vallata esplode in un artificio che divampa fino al mare,
fra stelle curiose che punteggiano di luce un mantello nero,
senza fine,
che avvolge ogni cosa nel suo abbraccio d’ombra.
D’un tratto la marea nera si ritira,
risucchiata da sogni d’ebbrezza accatastati in minuscoli spazi sottotetto.
La compagnia riprende conoscenza,
il suo sguardo multiplo si dilata in un respiro che colma ogni spazio,
il paesaggio si scatena oltre il limite percettivo,
orizzonti succedono ad orizzonti lungo un canale prospettico mai domo.
I sensi deflagrano nella limpidezza,
il mattino biancheggia tutto intorno.
La compagnia procede compatta nel candore,
finchè lo sfavillio non ne inghiotte le sagome.