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osteriacinematografo

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Archivi Mensili: febbraio 2012

E ora dove andiamo?

29 mercoledì Feb 2012

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Una scena del film di Nadine Labaki

Scene da ricordare

E ora dove andiamo?

29 mercoledì Feb 2012

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Titoli di testa

FilmOsteria

Il film si apre con la danza funebre e onirica di vedove di fedi diverse che condividono un tragitto dissestato, prima di giungere in prossimità dei due cimiteri in cui sono seppelliti i propri morti: qui i loro percorsi si separano in ossequio ai rispettivi rituali.

La vicenda si svolge in un villaggio sperduto e assolato del Libano, nel bel mezzo di un paesaggio aspro e semi-desertico e di un territorio che nasconde mine inesplose e l’ombra spettrale di conflitti irrisolti.

Nel villaggio vivono due comunità ben distinte: una musulmana, l’altra cristiana. Gli screzi e le baruffe fra gli uomini delle opposte “fazioni” sono all’ordine del giorno, anche per questioni banali, e la situazione pare sempre sull’orlo del precipizio della reciproca intolleranza, nonostante l’azione mitigatrice dell’imam e del prete del paese.

Ecco dove va il film di Nadine Labaki

Hysteria

28 martedì Feb 2012

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Jonathan Pryce, Rupert Everett e Hugh Dancy in una scena del film “Hysteria”

Hysteria

28 martedì Feb 2012

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Il Consiglio dell'Oste

Il Consiglio dell’Oste

Londra, 1880. Mortimer Granville è un giovane dottore all’avanguardia; fervido sostenitore della teoria patogenetica e dell’esistenza dei germi, egli asserisce che una buona igiene sanitaria potrebbe evitare innumerevoli infezioni, in un’epoca in cui sono ancora diffuse le terapie a base di bagni di vapore e i salassi per mezzo di sanguisughe.

A causa di queste sue “strambe” teorie, viene allontanato dall’ospedale in cui lavora; troverà occupazione soltanto presso il Dottor Dalrymple, medico specializzato nel trattamento dei casi di isteria femminile. Dalrymple effettua massaggi manuali intimi alle signore affette da tale patologia, provocando parossismi che alleviano le nevrosi e l’irritabilità delle pazienti. Granville accetta così di effettuare la medesima pratica, riscuotendo peraltro grande successo fra le pazienti.

In tale contesto, conosce le figlie del Dr. Dalrymple: la posata Emily, inconsapevolmente soggiogata dalla volontà paterna che ne restringe la visuale e i movimenti; l’anticonformista Charlotte, che sostiene l’inutilità delle pratiche mediche del padre e dirige con fatica un centro in cui educa e cura i bambini indigenti di Londra.

Granville, fiero paladino del giuramento di Ippocrate, inizierà ad avere dubbi sulla reale natura delle pratiche di Dalrymple, finalizzate per lo più a combattere la dilagante repressione sessuale dell’epoca; ciononostante, a causa di un problema alle articolazioni della mano, realizza, assieme all’amico aristocratico Edmund, uno strumento elettrico in grado di sostituire l’azione umana: credendo di sviluppare una cura per l’isteria, Granville sarà l’inconsapevole inventore dello strumento di piacere femminile più diffuso al mondo: il vibratore.

Gli attori si calano alla perfezione nei rispettivi ruoli, da Jonatha Pryce a Rupert Everett, da Maggie Gyllenhaal a Hugh Dancy: quest’ultimo in particolare interpreta con disinvoltura un affascinante e credibile Dottor Granville.

Tanya Wexler, laureata in psicologia dei generi sessuali, realizza una commedia d’esordio divertente e godibile, trattando con garbo e raffinatezza un tema scabroso; le ambientazioni sono curate, e offrono uno spaccato interessante di una società puritana e in costante evoluzione: l’Inghilterra vittoriana è in piena (seconda) rivoluzione industriale e le invenzioni sono all’ordine del giorno; il massaggiatore elettrico muterà velocemente la destinazione d’uso originaria, e verrà brevettato negli Stati Uniti con enorme successo.

Il biliardo del ladro

27 lunedì Feb 2012

Posted by osteriacinematografo in Poesie

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Poesie

Poesie d’Osteria

Manca l’aria

Pensieri sovrapposti in sotto eccitazione claustrofobica.

Stille d’angoscia battono il tetto di un Oggi Incalzante.

La girandola scura del multi baratro ruota senza pause.

Un vento infido e privo di direzione ne alimenta il mulinare.

Ibrida e nauseante sensazione di smarrimento cosmico.

Il precipizio si moltiplica fino a colmare lo spazio e traboccare fuori.

 

Assenza d’aria

Trabocca Dentro Trabocca Fuori.

L’Essere Impermeabile interrompe la reciprocità osmotica.

Liquido amniotico di un grembo universale.

E specchi Illusori in assenza di gravità

vagano nello spazio nero a riflettere vuoto nel vuoto.

Ma rare folgori luminescenti  svelano la crudele magia.

 

Acqua e aria

Il Dentro è il Fuori.

Notturni di Chopin a illuminare il giorno.

Ansia da prestazione lavorativa in una stanza bianca che si sgretola.

Scrivanie e sogni e targhette identificative cancellati con un colpo di coda.

Il tocco lieve e noncurante di un giocatore di biliardo ciclopico.

E l’agonizzante sfera, lanciata in un inseguimento acquatico e scoordinato.

 

Aria sottotitolata

La stramba rincorsa a ridosso di vane chimere.

Il fiato corto di uno sforzo profuso senza produrre alcunché.

E il rallenty disperato di un attore muto in bianco e nero.

Le battute di un altro scorrono sotto di lui,

la sua preziosa mimica muta in deforme asettica tecno-modernità.

Il Gran Giocoliere, Beffardo Destino Iperbolico e Ladro di Scene.

 

Aria rubata

Un’altra palla finisce in buca senz’attrito.

Il panno verde dell’indifferenza accompagna un moto scontato.

Sua Maestà Il Caso si frega le mani viscide.

Non resta che allestire l’ennesima combinazione equilatera,

sfoderare nuove mosse in pompa magna auto-celebrativa,

e arruffianarsi l’applauso sordo di una platea immaginaria.

Viaggio ad Auschwitz – Parte Seconda

24 venerdì Feb 2012

Posted by osteriacinematografo in Pensieri

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Cronache e Storie d'Osteria

La guida di cui non ricordo il nome, di cui forse non ho mai saputo il nome, ci fornisce una serie di informazioni generiche in merito al nostro “piano di volo”. Il campo di concentramento era così suddiviso: il campo di prigionia di Auschwitz era il reparto principale, e fungeva anche da sede amministrativa dell’intero complesso; Birkenau era il campo di sterminio in senso proprio; chiudevano il folle cerchio il campo di lavoro di Monowitz e altri 45 sottocampi costruiti durante l’occupazione tedesca in Polonia.

Indi saliamo su un bus navetta. I soliti viaggiatori italiani, che all’estero amano armarsi di banalità, sghignazzano dicendo: “ma dove ci staranno deportando?Ah ah!”. Non so perché, ma in tutta onestà, forse per una forma di idiozia patriottica e solidale, accenno un sorriso. E’ un sorriso muto, che non si sente e si vede appena, ma c’è, e non posso negarlo adesso, limitandomi a catechizzare un comportamento ingenuo che con quel tenue gesto del viso ho –in un certo senso- appoggiato e condiviso. Comunque, mentre vi parlo di tal fatterello in questione siamo arrivati.

Scendiamo. Birkenau, campo di sterminio. Una scala stretta e consunta ci conduce alla torretta d’ingresso: dall’alto della postazione di vedetta prendiamo visione della vastità della struttura: non si può evitare di pensare che quello è lo stesso punto di vista da cui alcuni vili e cinici nazisti osservarono compiersi “la soluzione finale del problema ebraico”; non si può fare a meno di pensare di essere nello stesso luogo in cui, decine di  anni prima, uomini come me, uomini come tutti noi, controllarono in tempo reale, coi propri occhi e la propria coscienza, che lo sterminio di milioni di persone inermi avvenisse senza intoppi di sorta.

 

Furibonde recinzioni in filo spinato corrono e s’intersecano sotto di noi per centinaia di metri e in ogni direzione. In mezzo alla neve compatta s’intravede la corsa di alcuni binari più o meno paralleli: quelle rotaie terminano nello stesso punto in cui cessarono per sempre le speranze e i sogni di una moltitudine di persone. Lo spettrale panorama propone poi una serie di edifici rossastri in successione, più o meno conservati, più o meno fatiscenti, a costellare come macchie scure la distesa bianca di Birkenau.

 

 

Entriamo nel campo, e la guida assume un contegno rispettoso e un tono sommesso, nonostante la rilevante distanza fra noi e le numerose comitive che si muovono in quello spazio sconfinato. Una serie di pannelli e fotografie interrompe di tanto in tanto un tragitto silenzioso. Più ci si inoltra nel campo, e più si avverte il peso imponderabile dell’orrore: soltanto i respiri affannati delle persone e la voce appena accennata della guida scandiscono un cammino doloroso.

 

 

La gentile signorina ci mostra un vagone originale dell’epoca, ed è subito chiaro il motivo dei decessi che avvenivano durante la deportazione: quei vagoni  non erano che gigantesche stie prive di spiragli, adibite al trasporto di carne da macello. Per assurdo, ho immaginato che fosse quasi un sollievo morire lungo il tragitto, così da scampare all’orrore che attendeva i deportati.

 

 

Ma ecco, mi distraggo un attimo e non mi accorgo che siamo sul punto esatto in cui i prigionieri toccarono uno dietro l’altro il suolo di Birkenau. Proprio qui, la gente, gente vera, scendeva, subendo dopo pochi passi le prime drammatiche cernite. Anziani e malati erano inconsapevolmente in possesso di biglietti di sola andata per la gassificazione. I nazisti usavano separare immediatamente le madri dai figli, per terrorizzare i nuovi arrivati. “A quale madre piacerebbe separarsi dai propri figli, soprattutto in un posto così? Io penzo…nessuna”- sottolinea la nostra guida, e la parola “nessuna” , che chiude la sua frase, risuona come se avesse chiuso a tripla mandata una porta blindata, quasi fosse il portone di una certezza così massiccia da attraversare il tempo dagli anni 40 alla sua coscienza, e dalla sua coscienza alla mia, come sedimenti trasportati dal corso fluttuante della memoria.

 

Ma torniamo a noi. Le camere a gas furono la prima e l’ultima tappa polacca per molti deportati. Vecchi e malati –dicevamo- ma anche donne e bambini, a seconda dell’umore delle isteriche SS naziste. E sembra persino che quanti sopravvivevano a questo “passaggio” preliminare finissero poi col rimpiangere di non aver subito la stessa sorte istantanea, così da evitare le disumane atrocità che rivivranno nel prossimo passo di questa triste cronaca.

The artist

23 giovedì Feb 2012

Posted by osteriacinematografo in film

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Jean Dujardin e Bèrènice Bejo in una scena del film di Michel Hazanavicius

The artist

23 giovedì Feb 2012

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Titoli di testa

“The artist” narra la storia di George Valentin, divo assoluto del cinema muto degli anni venti americani.  Nel  1927 Valentin è al’apice del successo e della carriera, e i suoi film impazzano nelle sale cinematografiche.

 

L’attore, in mezzo alla folla che lo acclama, conosce casualmente Peppy Miller, una ragazza che poi, altrettanto casualmente, ritroverà come ballerina sul set di uno dei suoi film. Tra i due avviene una sorta di folgorazione: è un innamoramento di sguardi e piccoli gesti, che danza romanticamente sull’incertezza di un bacio ma non riesce a concretizzarsi.

 

A questo punto la scena si trasferisce nel 1929, l’anno della Grande Depressione e dell’introduzione del sonoro. E i destini di George Valentin e Peppy Miller s’incrociano ancora una volta: Valentin inizia una lenta parabola verso il basso, poiché i cineasti preferiscono affidarsi a volti nuovi con l’introduzione del sonoro; la Miller invece inizia il percorso inverso, che la condurrà a consacrarsi come diva cinematografica di punta a Hollywood.

Il viaggio nel magico mondo del muto prosegue in FilmOsteria

Il piacere del vino secondo Hesse

22 mercoledì Feb 2012

Posted by osteriacinematografo in Hesse Herman

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Herman Hesse

“I giovani soprattutto, con il loro ideale di “artista che pensa” ritengono che il tempo sottratto all’arte vada dedicato preferibilmente alla riflessione, e così si perdono facilmente in sofismi, osservazioni scettiche e in astrusità varie senza scopo e senza utilità.
Altri, che ancora non si sono votati alla guerra santa contro l’alcool – guerra che comincia a registrare vittorie anche fra gli artisti-, infilano la strada che porta ai locali dove si può bere un buon bicchiere”.

Il piacere dell’ozio si trascina stancamente in Singolar Tenzone

Millennium – Uomini che odiano le donne

22 mercoledì Feb 2012

Posted by osteriacinematografo in film

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Daniel Craig e Rooney Mara nel film di David Fincher intitolato -in realtà- “The Girl with the Dragon Tattoo”

Millennium – Uomini che odiano le donne

22 mercoledì Feb 2012

Posted by osteriacinematografo in film

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Titoli di testa

Quando un grande sceneggiatore come Steven Zaillian (Schindler’s List) scrive un film basandosi su un ottimo romanzo, e quando dietro la macchina da presa si trova un tale di nome David Fincher (Seven, Fight club, Zodiac), che maneggia alla perfezione un certo tipo di storie, ci sono ottimi presupposti perché ne venga fuori un buon film.

La splendida invenzione dello scrittore Stieg Larsson è piuttosto nota: Mikael Blomqvist -giornalista che si occupa di indagini economiche- perde un processo in cui è accusato di diffamazione dal magnate Wennerstrom.  La rovina finanziaria e le dimissioni lo spingono ad accettare un incarico particolare: dovrà infatti indagare sulla misteriosa e precoce scomparsa –avvenuta negli anni 60- di Harriet Vanger, nipote prediletta del vecchio e potente industriale Henrik Vanger, convinto che la giovane sia stata uccisa da un membro della sua famiglia.  Blomqvist si trasferisce così nella campagna sperduta e imbiancata del Gavleborg, per studiare da vicino la complessa storia di una famiglia dal passato glorioso ma oscuro, e da un presente caratterizzato da legami sfaldati e compromessi.

 

In parallelo Fincher segue Lisbeth Salander, un’eccellente investigatrice specializzata in spionaggio informatico. La Salander stila un profilo dettagliato e completo di Blomqvist per conto di Henrik Vanger, che vuol conoscerne ogni aspetto per valutarne l’integrità. Lisbeth è una punk ventiquattrenne solitaria e selvaggia, col gusto dei piercing e dei tatuaggi; conduce una vita appartata e silenziosa, e vive sotto tutela per aver tentato di uccidere il padre in tenera età.

Il viaggio oscuro di Fincher prosegue in FilmOsteria

Vento di primavera

21 martedì Feb 2012

Posted by osteriacinematografo in film

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Jean Reno e Mèlanie Laurent in una scena del film di Rose Bosch, il cui titolo in realtà è “La rafle”, ovvero “Il rastrellamento”
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