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Blocchi di ghiaccio sfrigolano e gracchiano al cospetto del sole.
L’impietoso Sole
-peccaminoso frutto d’incestuose orge primordiali fra stelle al collasso-
s’insinua tiepido e violentissimo nelle molecole del cristallo.
Un sole inarrestabile
-malinconicamente orfano di una degna criosfera su cui riflettere e osannare se stesso-
riversa l’ira di raggi incandescenti su ignari drappelli di brina in fuga.
E fuligginosi iceberg scampati alla luce galleggiano immobili su oceani d’ombra e d’asfalto.
L’attrito azzerato dalla parziale fusione
battezza sottili e sfuggenti strati d’acqua al minimo contatto.
Sfavillanti stalattiti pendono dai cornicioni
come spade capovolte in glaciali armerie.
E poi floridi ruscelletti a inseguire il corso scosceso
di una corrente gravitazionale e centripeta.
E muri che sanguinano e si scrostano al distacco del gelo,
come cortecce d’albero divelte da bimbi ignari.
Nelle vicine alture persistono forme di resistenza assidua.
E goccioline d’acqua in sospensione atmosferica,
inghiottite dalla densa bruma del mattino,
mutano in friabili ed esili scaglie di galaverna.
In paese la resa è prossima e tutto inizia a gocciolare.
Dapprima è il tenue fruscio di candidi rivoli filiformi.
E poi un fragore d’acqua dettato da sorgenti a tempo.
Infine i tetti delle case riveriscono un cielo scintillante,
deponendo i fulgidi copricapi lattei.
Nella ricomposta calvizie di tegole e coppi
gli uccellini di città ritornano ai loro nidi.