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Poesie d’Osteria

Blocchi di ghiaccio sfrigolano e gracchiano al cospetto del sole.

L’impietoso Sole

-peccaminoso frutto d’incestuose orge primordiali fra stelle al collasso-

s’insinua tiepido e violentissimo nelle molecole del cristallo.

Un sole inarrestabile

-malinconicamente orfano di una degna criosfera su cui riflettere e osannare se stesso-

riversa l’ira di raggi incandescenti su ignari drappelli di brina in fuga.

E fuligginosi iceberg scampati alla luce galleggiano immobili su oceani d’ombra e d’asfalto.

L’attrito azzerato dalla parziale fusione

battezza sottili e sfuggenti strati d’acqua al minimo contatto.

Sfavillanti stalattiti pendono dai cornicioni

come spade capovolte in glaciali armerie.

E poi floridi ruscelletti a inseguire il corso scosceso

di una corrente gravitazionale e centripeta.

E muri che sanguinano e si scrostano al distacco del gelo,

come cortecce d’albero divelte da bimbi ignari.

Nelle vicine alture persistono forme di resistenza assidua.

E goccioline d’acqua in sospensione atmosferica,

inghiottite dalla densa bruma del mattino,

mutano in friabili ed esili scaglie di galaverna.

In paese la resa è prossima e tutto inizia a gocciolare.

Dapprima è il tenue fruscio di candidi rivoli filiformi.

E poi un fragore d’acqua dettato da sorgenti a tempo.

Infine i tetti delle case riveriscono un cielo scintillante,

deponendo i fulgidi copricapi lattei.

Nella ricomposta calvizie di tegole e coppi

gli uccellini di città ritornano ai loro nidi.