La prima considerazione che sono costretto ad esprimere su “Paradiso amaro” è che in realtà s’intitola “The descendants”; la seconda è che continuo a non capire il lavoro di adeguamento fatto dai traduttori italiani: perché c’è bisogno che un film venga reinventato come “Paradiso amaro”? Capisco che un termine muti senso e sonorità nella traduzione, ma come mai il pubblico italiano non viene considerato all’altezza dei titoli originali e di una libera interpretazione dei loro significati?
Ma parliamo di cinema, che è meglio.
“Paradiso amaro” narra la storia di Matt King, un avvocato placido e agiato, discendente dei reali delle isole Hawaii: King è immerso nel lavoro e nelle questioni familiari che lo vedono a capo della vendita di un immenso territorio di natura vergine. La sua vita è sconvolta dal coma della moglie in seguito a un incidente in mare, e il passaggio tra la veglia fiduciosa al suo capezzale e la notizia della morte certa e ormai prossima di lei è rapido e spietato, tanto da stravolgere le giornate e le certezze di King, che dapprima non rivela la notizia, come se non volesse ammetterlo nemmeno a se stesso.