Quando un grande sceneggiatore come Steven Zaillian (Schindler’s List) scrive un film basandosi su un ottimo romanzo, e quando dietro la macchina da presa si trova un tale di nome David Fincher (Seven, Fight club, Zodiac), che maneggia alla perfezione un certo tipo di storie, ci sono ottimi presupposti perché ne venga fuori un buon film.
La splendida invenzione dello scrittore Stieg Larsson è piuttosto nota: Mikael Blomqvist -giornalista che si occupa di indagini economiche- perde un processo in cui è accusato di diffamazione dal magnate Wennerstrom. La rovina finanziaria e le dimissioni lo spingono ad accettare un incarico particolare: dovrà infatti indagare sulla misteriosa e precoce scomparsa –avvenuta negli anni 60- di Harriet Vanger, nipote prediletta del vecchio e potente industriale Henrik Vanger, convinto che la giovane sia stata uccisa da un membro della sua famiglia. Blomqvist si trasferisce così nella campagna sperduta e imbiancata del Gavleborg, per studiare da vicino la complessa storia di una famiglia dal passato glorioso ma oscuro, e da un presente caratterizzato da legami sfaldati e compromessi.

In parallelo Fincher segue Lisbeth Salander, un’eccellente investigatrice specializzata in spionaggio informatico. La Salander stila un profilo dettagliato e completo di Blomqvist per conto di Henrik Vanger, che vuol conoscerne ogni aspetto per valutarne l’integrità. Lisbeth è una punk ventiquattrenne solitaria e selvaggia, col gusto dei piercing e dei tatuaggi; conduce una vita appartata e silenziosa, e vive sotto tutela per aver tentato di uccidere il padre in tenera età.