Una citazione recentemente liberata nelle praterie d’Osteria concerne Paul Auster e i suoi “Viaggi nello scriptorium”. Nel libro, Mr Blank, il protagonista, si trova in una stanza semivuota che rappresenta la sua mente, un microcosmo confuso e popolato dai personaggi che lo stesso Blank ha creato. Al di là dell’analisi dell’opera -un raffinato esercizio letterario in cui Auster si diverte a disorientare il lettore grazie a un gioco d’illusioni e scatole cinesi- l’esplorazione dell’universo creativo dello scrittore, che rappresenta la struttura stessa del libro, mi ha fornito un interessante spunto di riflessione.
E’ bello pensare che i personaggi, i contesti, i dialoghi, ogni minimo dettaglio creato da chi scrive sopravvivano al loro creatore.
Le storie continuano a vivere in due modi.
In primo luogo proseguono il loro percorso negli occhi e nella mente di chi legge, popolando le fantasie d’innumerevoli individui, che interpretano e modellano le parole, dando un volto a nomi sconosciuti, contestualizzando ambientazioni in base ai parametri esegetici più disparati.
Inoltre, capita spesso di leggere storie che non finiscono realmente, che rimangono sospese, fin quasi ad acquisire una propria autonomia, una forza intrinseca, e proseguono indipendentemente dalla fine del libro che le contiene a livello spaziale, e in alcuni casi a prescindere persino dagli sforzi di fantasia e prospettiva dei lettori medesimi.
“Tenera è la notte” di Francis Scott Fitzgerald è uno di quei romanzi che continuano a vivere in doppio senso. L’opera ha certamente avuto una storia travagliata, avendo subito – fra il 1925 e il 1934- numerose modifiche per mano dell’autore; ma poiché l’ultima versione del romanzo, che cambiò anche titolo nel corso del tempo, conteneva una serie di inesattezze che ne impedirono la pubblicazione, si rese necessario procedere a una rielaborazione definitiva: fu Malcolm Cowley –anni dopo- a correggere pesantemente l’ultima stesura del libro. In seguito –e per fortuna- il romanzo venne però ristampato in una versione più conforme all’originale di Fitzgerald.
“Tenera la notte” è la storia di Dick Diver, Nicole Warren, Rosemary Voyt, Tommy Barban, Abe North, agiati americani che –negli anni venti- si spostano in lussuose località del vecchio continente. La Costa Azzurra, Parigi, Zurigo, le alpi svizzere sono i luoghi in cui incrociano le loro vicende in chiaroscuro. La storia è profondamente autobiografica e riflette la vita reale dei coniugi Fitzgerald: in particolare, la malattia mentale di Nicole è la stessa di Zelda; la depressione e l’alcolismo di Dick Diver sono gli stessi dell’autore; l’incipit dell’opera mostra una coppia felice che lentamente scivola in un tunnel senza sbocco, come è accaduto realmente ai coniugi Fitzgerald.
Zelda morì nel 1948 in un incendio che devastò l’ospedale psichiatrico in cui visse per più di dieci anni; Francis Scott invece cedette a un infarto nel 1951. Fu una vita di sfarzo ed eccessi –la loro- che finì nella disperazione e nella solitudine, come accade sovente a grandi artisti d’ogni epoca.
Ma è bello pensare che le loro vicende -riflesse nei personaggi di “Tenera è la notte”- continuino a vivere negli occhi e nelle fantasie dei lettori di epoche successive; è bello pensare che una moltitudine di persone possa -negli anni- ripercorrere le loro gesta romanzate, come pure quelle di personaggi più o meno inventati dalla creatività di scrittori di qualsivoglia periodo storico.
Le storie che troviamo nei libri non finiscono mai, almeno fin quando anche un solo individuo avrà voglia di leggerle e di rendere omaggio a coloro che ne hanno plasmato forme e contenuti.
E’ bello pensare che le storie se ne freghino dei propri autori, dal momento stesso in cui avviene la loro trasposizione in lettere.
Ed è quindi bello pensare ai protagonisti dei libri che abbiamo amato, ai loro momenti di gloria e alle loro sofferenze, e al fatto che l’epilogo del libro non coincida con la loro fine, come accade a Dick Diver, a Rosemary Voyt, Tommy Barban e Nicole Warren, che adesso, proprio adesso, sono chissà dove e chissà quando, oltre le pareti del vano cerebrale che li partorì.