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osteriacinematografo

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Archivi Mensili: febbraio 2012

Vento di primavera

21 martedì Feb 2012

Posted by osteriacinematografo in film

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Titoli di testa

Nel film si narra dei fatti realmente accaduti a Parigi, nel 1942, durante la seconda guerra mondiale. Nella Francia filonazista di Laval e Petain si organizza segretamente il rastrellamento di 24.000 ebrei parigini.

 

Rose Bosch ci mostra il graduale e progressivo affievolirsi delle libertà giudaiche a Parigi: appaiono le stelle gialle sugli abiti di tutti gli israeliti, come forma embrionale di razzismo e ghettizzazione; emergono i primi sintomi di intransigenza dei parigini nei confronti della “razza inferiore”, cui non sfuggono neppure i bambini; gli ebrei vengono banditi da impieghi e cariche pubbliche, non possono frequentare i luoghi pubblici, e vengono sottoposti a un rigido coprifuoco così da limitarne la visibilità e i movimenti.

 

In questo contesto la lente della Bosch si sofferma in particolare sulla famiglia dell’undicenne Joseph Weissmann e sui numerosi nuclei ebrei presenti a Montmatre, nel cuore di Parigi. Le loro vite semplici, la paura del domani, le umiliazioni subite e le domande prive di risposte consentono di dare un volto comune alle vittime dell’olocausto.

L’analisi di “Vento di primavera” prosegue in Filmosteria

In time

21 martedì Feb 2012

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Cillian Murphy interpreta uno dei “Timekeeper” nel deludente film di Andrew Niccol

In time

21 martedì Feb 2012

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L'Oste deluso

L’Oste deluso

“In time” ipotizza un futuro in cui, per via del sovrappopolamento, il tempo viene monetizzato: a ciascuno è concessa una vita di venticinque anni più un anno extra, dopodiché ognuno deve cavarsela come può, rubando, scambiando, contrabbandando tempo.

Il gene dell’invecchiamento è stato sconfitto, e si rimane giovani per sempre; naturalmente il tempo è la merce più preziosa: ogni cosa si paga in moneta/tempo tramite un dispositivo apposto sul braccio di ciascuno, che indica anche un ossessivo e fluorescente countdown esistenziale.

Il mondo è diviso in due blocchi ben delineati:  non c’è una classe media, ci sono i poveri, che allo scadere dei propri giorni corrono e si affannano con ogni mezzo per accattare pochi minuti di vita, e i ricchi, che vivono in un mondo plastificato e si muovono con la lentezza tipica di chi ha tutto il tempo che desidera. Il gioco infatti consiste in ciò: i poveri hanno un tempo limitato proprio perché i ricchi possano vivere praticamente in eterno. Will, il protagonista, vuole spezzare questo equilibrio, annullare l’ingiustizia sociale che concede vite diverse a seconda del budget a disposizione.

L’idea è accattivante, estrema e logorante a livello concettuale, dato che assegna al tempo il valore che per la nostra società ha il denaro:  la quantità di tempo richiesto per ogni servizio oscilla come il costo della vita, e così può accadere di non poter salire su un bus vitale per la sopravivenza; gli apparecchi con cui si scala il tempo dagli uomini sembrano i dispositivo per le carte di credito; sul tempo si specula, e c’è una vera e propria borsa del tempo, coi suoi indici e i suoi titoli; ai tavoli da gioco si scommette il proprio tempo fino ad esaurimento; nei posti di lavoro si viene pagati (miseramente) in tempo; guardiani appositi controllano che il tempo non subisca flussi irregolari o repentini e voluminosi scambi di persona, proteggendo così i veri usurpatori  dai ladruncoli dei bassifondi.

Andrew Niccol sviluppa un’idea magnifica (si parla peraltro di una denuncia per plagio ad opera dello scrittore Harlan Ellison, che avrebbe persino ritardato l’uscita del film) nel modo sbagliato, “sprecando tempo” in dialoghi poveri di densità e in una serie di inseguimenti fini a se stessi; i protagonisti maschili se la cavano, ma il film non ha la giusta struttura per reggersi sulle proprie gambe: inizia ben presto a scricchiolare, fino a collassare inesorabilmente su se stesso e sulle aspettative di chi gli ha concesso tempo e fiducia.

Mi chiedo cosa sarebbe accaduto se una storia simile fosse capitata fra le mani di un regista più valido, di un Cristopher Nolan ad esempio:  ne sarebbe scaturito un prodotto intenso e affascinante, oscuro e claustrofobico, una sorta di scala a chiocciola verso il basso, anziché un film inutile che richiede tempo senza accordare alcunché allo spettatore.

Pacita Abad

20 lunedì Feb 2012

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Are you in bad mood (1990)

Angèle e Tony

20 lunedì Feb 2012

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Antoine Couleau, Clotilde Hesme e Grégory Gadebois in una scena del film di Alix Delaporte

Angèle e Tony

20 lunedì Feb 2012

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Il Consiglio dell'Oste

Il Consiglio dell’Oste

“Angèle e Tony” è un film che non ha bisogno di dire, che si muove come una carezza sulle maschere coriacee e inasprite dei personaggi: i due protagonisti sono duri solo in apparenza, o duri soltanto perchè non hanno avuto un motivo valido per essere altrimenti.

Il film di Alix Delaporte affonda le proprie radici nella complessità dei gesti e dei rapporti interpersonali, muovendosi in una parentesi sospesa e silenziosa ove il linguaggio del corpo comunica ogni cosa e le parole (quasi) non servono.

Clotilde Hesme è straordinaria nel ruolo di Angèle e il suo lieve e inquieto tentennare, il fascino fragile e distante e l’approccio istintivo alla vita producono un effetto spiazzante sullo spettatore. Il suo sorriso accennato nel finale, la ritrovata morbidezza dei lineamenti, che profumano di liberazione e speranza, e la quieta dolcezza -che forse solo i migliori film francesi riescono a riprodurre- rendono l’opera una rara e preziosa gemma cinematografica.

Il percorso sentimentale e poetico di Angèle e Tony lascia dietro di sè scie di benessere che rinfrescano il viso e la potente sensazione che la felicità si nasconda nelle piccole cose e nella semplicità dell’amore.

Love is a losing game – Amy Winehouse

20 lunedì Feb 2012

Posted by osteriacinematografo in Soundtrack

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Soundtrack

Soundtrack

RadiOsteria consiglia “Love is a losing game” della cantautrice inglese Amy Winehouse (1983-2011), pezzo dal gusto antico e malinconico. I versi del brano, che definisce l’amore un gioco a perdere, vennero studiati a Cambridge in parallelo alle opere del poeta Walter Raleigh. Un’altra magnifica voce blues perduta per sempre nell’etere, una voce che si befferà del tempo, e di tutti noi.

Paradiso amaro – The descendants

20 lunedì Feb 2012

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George Clooney in una scena del film di Alexander Payne

Paradiso amaro – The descendants

20 lunedì Feb 2012

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Titoli di testa

La prima considerazione che sono costretto ad esprimere su “Paradiso amaro” è che in realtà s’intitola “The descendants”; la seconda è che continuo a non capire il lavoro di adeguamento fatto dai traduttori italiani: perché c’è bisogno che un film venga reinventato come “Paradiso amaro”? Capisco che un termine muti senso e sonorità nella traduzione, ma come mai il pubblico italiano non viene considerato all’altezza dei titoli originali e di una libera interpretazione dei loro significati?

Ma parliamo di cinema, che è meglio.

“Paradiso amaro” narra la storia di Matt King, un avvocato placido e agiato, discendente dei reali delle isole Hawaii: King è immerso nel lavoro e nelle questioni familiari che lo vedono a capo della vendita di un immenso territorio di natura vergine. La sua vita è sconvolta dal coma della moglie in seguito a un incidente in mare, e il passaggio tra la veglia fiduciosa al suo capezzale e la notizia della morte certa e ormai prossima di lei è rapido e spietato, tanto da stravolgere le giornate e le certezze di King, che dapprima non rivela la notizia, come se non volesse ammetterlo nemmeno a se stesso.

L’analisi di “Paradiso amaro” prosegue in FilmOsteria

E’ bello pensare?

19 domenica Feb 2012

Posted by osteriacinematografo in Pensieri

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Pensieri

E’ bello pensare che l’ultimo articolo pubblicato (prima di me) su osteriacinematografo (il blog in cui mi trovo ad essere insieme a molti miei simili), intitolato “Le storie se ne fregano degli autori”, dovesse in realtà intitolarsi “E’ bello pensare”.

Effettivamente, nell’articolo in esame, la locuzione “E’ bello pensare” (piccolo concetto di contorno con cui ho avuto modo d’interloquire recentemente) funge quasi da ritornello, e in base a ciò chi scrive ha pensato bene (ha pensato troppo) di intitolarlo “E’ bello pensare”.

E’ quindi bello pensare che “E’ bello pensare” abbia subito una modifica tale da mutare titolo (e pelle), senza che l’autore ne fosse pienamente consapevole.

Vedete, cari lettori, la creazione si è ribellata ancora una volta, decidendo così di autodeterminarsi al di là di me e del mio volere, e di definirsi diversamente.

Per tale motivo, nel caso del presente scritto, che dovrebbe funzionare come  appendice del precedente, come moto reazionario e tentativo di ripristino dello status quo ante, ho deciso di “congelare” il titolo prima di scrivere il resto, così da evitare una nuova rivolta. Ma le parole si sono prese il loro spazio prima ancora che potessi iniziare a dire la mia.

“Ma perchè non scegli un altro nome? Le alternative sono infinite. “Pensiero circolare”, “Giro di parole”, “Alphonse o Barnaby Manzarek”, “Applicazione pratica del concetto secondo cui le storie se ne fregano dei loro autori” potrebbero essere titoli validi. E poi non sei tu a sostenere che in questo spazio tutto può sempre mutare in base ai tuoi stessi principi dogmatici?”

Infide e dannate parole, vili ricattatrici, portatrici d’idee rettili come tanti Iago a insinuare dubbi. Queste parole avranno la meglio su di me, prima o poi. Con ogni probabilità si stanno già accordando per il prossimo colpo di coda, col quale si libereranno in modo rapido e definitivo del cordone ombelicale con cui le nutro fino al punto che chiude per sempre questa frase.

Le storie se ne fregano dei loro autori

18 sabato Feb 2012

Posted by osteriacinematografo in Pensieri

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Pensieri

Una citazione recentemente liberata nelle praterie d’Osteria concerne Paul Auster e i suoi “Viaggi nello scriptorium”. Nel libro, Mr Blank, il protagonista, si trova in una stanza semivuota che rappresenta la sua mente, un microcosmo confuso e popolato dai personaggi che lo stesso Blank ha creato. Al di là dell’analisi dell’opera -un raffinato esercizio letterario in cui Auster  si diverte a disorientare il lettore grazie a un gioco d’illusioni e scatole cinesi-  l’esplorazione dell’universo creativo dello scrittore, che rappresenta la struttura stessa del libro, mi ha fornito un interessante spunto di riflessione.

E’ bello pensare che i personaggi, i contesti, i dialoghi, ogni minimo dettaglio creato da chi scrive sopravvivano al loro creatore.

Le storie continuano a vivere in due modi.

In primo luogo proseguono il loro percorso negli occhi e nella mente di chi legge, popolando le fantasie d’innumerevoli individui, che interpretano e modellano le parole, dando un volto a nomi sconosciuti, contestualizzando ambientazioni in base ai parametri esegetici più disparati.

Inoltre, capita spesso di leggere storie che non finiscono realmente, che rimangono sospese, fin quasi ad acquisire una propria autonomia, una forza intrinseca, e proseguono indipendentemente dalla fine del libro che le contiene a livello spaziale, e in alcuni casi a prescindere persino dagli sforzi di fantasia e prospettiva dei lettori medesimi.

“Tenera è la notte” di Francis Scott Fitzgerald  è uno di quei romanzi che continuano a vivere in doppio senso. L’opera ha certamente avuto una storia travagliata, avendo subito – fra il 1925 e il 1934- numerose modifiche per mano dell’autore; ma poiché l’ultima versione del romanzo, che cambiò anche titolo nel corso del tempo, conteneva una serie di inesattezze che ne impedirono la pubblicazione, si rese necessario procedere a una rielaborazione definitiva: fu Malcolm Cowley –anni dopo- a correggere pesantemente l’ultima stesura del libro. In seguito –e per fortuna- il romanzo venne però ristampato in una versione più conforme all’originale di Fitzgerald.

“Tenera la notte” è la storia di Dick Diver, Nicole Warren, Rosemary Voyt, Tommy Barban, Abe North, agiati americani che –negli anni venti- si spostano in lussuose località del vecchio continente. La Costa Azzurra, Parigi, Zurigo, le alpi svizzere sono i luoghi in cui incrociano le loro vicende in chiaroscuro. La storia è profondamente autobiografica e riflette la vita reale dei coniugi Fitzgerald: in particolare, la malattia mentale di Nicole è la stessa di Zelda; la depressione e l’alcolismo di Dick Diver sono gli stessi dell’autore; l’incipit dell’opera mostra una coppia felice che lentamente scivola in un tunnel senza sbocco, come è accaduto realmente ai coniugi Fitzgerald.

Zelda morì nel 1948 in un incendio che devastò l’ospedale psichiatrico in cui visse per più di dieci anni; Francis Scott invece cedette a un infarto nel 1951. Fu una vita di sfarzo ed eccessi –la loro- che finì nella disperazione e nella solitudine, come accade sovente a grandi artisti d’ogni epoca.

Ma è bello pensare che le loro vicende -riflesse nei personaggi di “Tenera è la notte”-  continuino a vivere negli occhi e nelle fantasie dei lettori di epoche successive; è bello pensare che una moltitudine di persone possa -negli anni- ripercorrere le loro gesta romanzate, come pure quelle di personaggi più o meno inventati dalla creatività di scrittori di qualsivoglia periodo storico.

Le storie che troviamo nei libri non finiscono mai, almeno fin quando anche un solo individuo avrà voglia di leggerle e di rendere omaggio a coloro che ne hanno plasmato forme e contenuti.

E’ bello pensare che le storie se ne freghino dei propri autori, dal momento stesso in cui avviene la loro trasposizione in lettere.

Ed è quindi bello pensare ai protagonisti dei libri che abbiamo amato, ai loro momenti di gloria e alle loro sofferenze, e al fatto che l’epilogo del libro non coincida con la loro fine, come accade a Dick Diver, a Rosemary Voyt, Tommy Barban e Nicole Warren, che adesso, proprio adesso, sono chissà dove e chissà quando, oltre le pareti del vano cerebrale che li partorì.

Shahla Rosa

18 sabato Feb 2012

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