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Pensieri d’Osteria

Questo fatto di Dalla continua a tormentarmi, ma non per il desiderio diffuso di melodramma a basso costo che invade i media in casi simili, bensì a causa di una mia riflessione personale che si ripete come un disco rotto alla morte di un artista che mi è caro. E Dalla -lo ripeto- per me è un amico, uno di casa, uno che mi ha spiegato delle cose, che mi ha aperto gli occhi a volte, e confuso in altre occasioni. L’artista è così, ti spiega l’amore o la follia in poche righe, ti confonde le idee sugli stessi temi nei versi successivi. Ma se si decide di aprirgli la porta di casa, bisogna prendere tutto, senza distinzioni. Lucio Dalla, artista di strada, cantautore a domicilio, goliardo d’osteria, putto di città, e clown nel senso romantico del termine, ha scritto e cantato tanti e tali capolavori da creare un filo conduttore luminoso che supera il tempo: la sua voce e la sua poesia lo rendono eterno. Ho sempre pensato che chi muore sopravvive nei pensieri di chi vive, di chi resta. E allora, dal mio punto di vista è facile concludere che uno come Dalla non possa morire, e che al contrario, soprattutto adesso, con la sua voce energica che esce dalle casse, sia più vivo che mai.

Cos’è che rimane delle persone che muoiono? Rimangono tutte le espressioni artistiche, le grandi imprese, le scoperte, le follie. Cos’è che ci portiamo dietro più a lungo? Il discorso di un grande uomo politico (di quelli che non esistono più in pratica)? Il tizio che ha progettato quel magnifico ponte? Il grande imprenditore e la sua linda e asettica azienda? I colleghi di lavoro, sempre se hanno un volto?

Ci ricordiamo più di Berlino o del fatto d’esserci stati con Bonetti?

Di cos’è che viviamo realmente? Io vivo di versi come quelli che -a breve- seguiranno. Molti lo fanno, anche inconsapevolmente, perchè una buona canzone ti cambia la giornata, regala leggerezza, effervescenza, forza, spensieratezza. E certe parole ti parlano dentro, e non le dimentichi mai, e alla fine tiri le somme e capisci che è di questo che hai bisogno, e di poco altro, oltre alle persone che ami, a quelle con cui hai condiviso, alle risate e agli abbracci, alle idiozie che continui a raccontare, a quel grido nella notte, a quelle serate estive d’ebbra ed estatica follia sulla spiaggia della memoria e dei sogni.

E allora eccoli, i versi di cui dicevo. Questa canzone -“Com’è profondo il mare”- mi è stata ricordata recentemente da un vecchio amico. Me la sono riascoltata più volte. E le sue parole finali contengono una verità molto più profonda del mare stesso in cui il suo Cantore la plasmò. E con questi versi è tutto, per il momento.

E’ chiaro che il pensiero dà fastidio
Anche se chi pensa è muto come un pesce
Anzi un pesce, e come pesce è difficile da bloccare
perchè lo protegge il mare
Com’è profondo il mare

Certo, chi comanda non è disposto a fare distinzioni poetiche
Il pensiero come l’oceano
Non lo puoi bloccare, non lo puoi recintare
Così stanno bruciando il mare
Così stanno uccidendo il mare
Così stanno umiliando il mare
Così stanno piegando il mare