Scene da ricordare
Karin Viard, Joeystarr e Marina Fois in una scena del film di Maiwenn Le Besco
Polisse
06 martedì Mar 2012
Posted in film
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Scene da ricordare
Karin Viard, Joeystarr e Marina Fois in una scena del film di Maiwenn Le Besco
06 martedì Mar 2012
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Polisse narra le vicende quotidiane della Sezione Minori (Brigade de Protection des Mineurs) della polizia di Parigi, fra storie d’emarginazione, sfruttamento, violenza, povertà, pedofilia, prostituzione, esuberanza sessuale adolescenziale da un lato, e le vite dei singoli componenti di una squadra di agenti dall’altro.
La camera a mano di Maiwenn Le Besco riprende in modo grezzo e assai realistico i fatti terribili cui sono sottoposti bambini parigini (che poi rappresentano tutti i bambini) d’ogni età, sesso, razza ed estrazione sociale: ne emerge così uno spaccato crudo di una realtà diffusa fra le pieghe stesse di coscienze distorte e malate. I componenti della Sezione Minori finiscono inevitabilmente con l’assorbire il disagio e la sofferenza dei numerosi bambini cui prestano soccorso fisico e morale, e le mostruose attitudini di adulti deviati, fino al punto da non riuscire più a liberarsi di certe storie, fino a portarle con sé fra le mura domestiche e a minare i delicati equilibri familiari.
Nadine, Fred, Iris, Mathieu e gli altri vengono spremuti da una quotidianità logorante, da un virus che non lascia scampo: in questo contesto si inserisce Melissa (interpretata dalla stessa Le Besco), una fotografa incaricata di curare un reportage per immagini sul delicato lavoro degli agenti.

La macchina fotografica della reporter è una sorta di prolunga, una succursale sul campo del punto di regia, e i suoi scatti s’intrufolano adagio nelle giornate e nell’intimità di uomini e donne legati da un sottile e profondo equilibrio, mettendo a fuoco il gioco oscillatorio di rapporti e legami fra i componenti della Sezione, in cui la stessa Melissa saprà inserirsi con la delicatezza di un clic.
Il film utilizza un linguaggio documentaristico nelle ricognizioni parallele che ricostruiscono abusi di ogni genere: da un lato osserviamo l’innocenza di bambini che non sono in grado di valutare le ingiustizie subite, dall’altro l’incoscienza di adulti perduti al punto da non vedere il male irreparabile che procurano ai propri figli, nipoti, allievi.
E poi il grido di un bambino al distacco dalla madre squarcia la scena, così come il salto finale e improvviso di una donna della Sezione, che corrisponde a quello inverso di un bambino rinato e libero dallo spettro di un insegnante che ne bloccava ogni forma espressiva.
“Polisse” è un film che non fa sconti, un monito che riflette l’infanzia difficile della regista, un’opera socialmente utile in questa nostra modernità che tende a nascondere, a mostrare una superficie immacolata, ipocrita, esteticamente impeccabile, in luogo del male che dilaga in fatiscenti retrobottega.