Driss è un ragazzo di origini senegalesi che vive una realtà disagiata e marginale nella periferia parigina. Abita con la madre adottiva e coi figli di lei, tirando avanti grazie a piccoli furti; il suo percorso di delinquenza obbligata gli ha fatto conoscere il carcere, e vaga senza ambizioni per colloqui di lavoro alla ricerca di una firma che gli procuri il sussidio di disoccupazione.
Capita così a casa di Philippe, un ricco tetraplegico rimasto paralizzato in seguito a un incidente di parapendio; l’uomo è in cerca di un badante personale che lo assista continuativamente nella sua difficoltosa quotidianità. Driss ottiene la promessa dell’agognata firma, ma quando l’indomani si presenta in casa del milionario, viene inaspettatamente assunto per un periodo di prova.


Philippe conoscerà così il brivido rigenerante della follia di Driss, che renderà dignità al suo datore di lavoro trattandolo come suo pari, mancandogli di rispetto all’occorrenza, educandolo al lato buono dei suoi eccessi, sbloccando infine la paralisi riflessa della sua sofferta interiorità; dal canto suo, Philippe introdurrà per mano Driss in un mondo a lui sconosciuto, fatto di lusso, arte, concerti e sport estremi, regalandogli l’ambizione e la speranza di un futuro possibile.
Il film è ispirato alle vicende reali narrate nel libro “Le second souffle” di Philippe Pozzo di Borgo, tetraplegico dal 1993, e al rapporto di quest’ultimo col suo aiuto domestico Yasmin Abdel Sellou.
Olivier Nakache ed Eric Toledano ci regalano una straordinaria storia di amicizia, nell’ennesima eccellente prova del cinema francese di quest’anno. I due protagonisti interpretano con naturalezza i personaggi contrapposti che vengono loro assegnati, e il risultato è un film credibile e commovente, che non trae respiro da un percorso lineare di crescita, ma dagli alti e bassi del rapporto fra Driss e Philippe, dalla spontanea ed ondivaga evoluzione di una storia vera e mai ruffiana, dalla vita che poi finisce col separarli dopo aver donato loro una possibilità di crescita e arricchimento morale.







Ho dei ricordi abbastanza confusi e sconnessi, ma rammento le grandi e desolate autostrade tedesche in cui le Porsche di Stoccarda ci sorpassavano a velocità supersonica; lungo quelle highways fatiscenti mi divertii a contare le macchine che riuscivo a contare, segnandole su un block notes apposito: l’obiettivo era di annotare marca e colore; lo facevo sempre nei vari viaggi compiuti in Italia con mio padre, ma all’estero fu molto più difficile, a causa dei modelli diversi che mi capitò di vedere e che complicarono non poco le mie indagini statistiche. Comprendo bene che questa bizzarra attività possa ricondurre al Raymond Babbitt di “Rain man”, ma così era, e così mi piaceva trascorrere il tempo dei tragitti automobilistici più consistenti.
