Oblómov è un romanzo dello scrittore russo Ivan Aleksandrovic Goncarov, pubblicato nel 1859. Il celebre romanzo ha ispirato, nel 1979, il film omonimo di Nikita Mikalkhov.
Oblomov possiede un villaggio di circa 300 anime, lasciate al loro destino, a numerose verste di distanza. Il signore vive ormai a Pietroburgo, lontano dalla campagna, col fido servitore Zachar, che incarna la prolunga ideale di uno stile di vita traslato in città.
Zachar infila persino i calzini ad Oblomov. Oblomov è apatico a tal punto da schivare anche l’amore e le sue “complicazioni”. In realtà Oblomov rappresenta una certa parte della borghesia russa, collocabile nel periodo antecedente il 1861, che per quanto interessa ora non è l’anno dell’unità d’Italia, ma quello dell’abolizione della servitù della gleba.
Oblomov non vive realmente, attende il proprio destino nell’ozio e nel compiacimento del medesimo; egli non è in grado di sopportare la minima pressione, di gestire il più semplice degli affari quotidiani, e si affanna soltanto per protrarre nella finzione e nel disincanto il suo sonno eterno. Tutto si riduce a mangiare, bere e dormire. Oblomov è puro e leale, ma è un contenitore vuoto che procede nell’inerzia e nell’indolenza universali; egli è il flaccido fardello che impedisce a se stesso ogni forma di reazione o evoluzione, e tenta di ricostruire le giornate che l’hanno visto crescere, in mezzo a scenografie e a dinamiche che vedevano montare l’ozio collettivo senza soluzione di continuità, fra un pranzo e l’altro, con l’unico pensiero di dare disposizioni per i nuovi ospiti in arrivo.
