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Piccole Poesie d’Osteria

Il rumore di un clacson, il cancello che si apre

E oltre il cancello, l’Eden

Oltre le porte di una percezione scollinata

La giungla dei ricordi memorabili

Incontri casuali ed altri mancati

E racconti stesi al sole ad asciugare

E storie ripetute fino a prender consistenza

Storie spassose che non muoiono mai

Un braciere centripeto a far da perno universale

E ombre sghembe su un tetto di margherite ed erba

Il tetto del mondo del qui e dell’ora

Il tetto dei tempi percorsi in equilibrio precario

Fumo grigio e lacrime di vigna

Interiora e interiorità

Un bambino nella culla

Armonia verde azzurra a colorare il sotto e il sopra

L’eterno stupore per quel giardino vergine

Il capanno degli attrezzi

La legna accatastata

Un giardiniere geloso

Le dinamiche della cottura

La giostra degli strumenti incandescenti

La quieta danza dei carnivori

Il dentro e il fuori

L’allegra lotta dei pasciuti e fraterni bisonti

Le parole mal dette

Quelle mal interpretate

La nostalgia dell’innocenza e della semplicità

Un luogo che rimane dimora perpetua

Un posto da chiamare casa

Una casa che trascende il concetto stesso di tempo

Tempo che si misura in barba e complessità

Un tempo trascorso insieme sotto l’ulivo

L’ulivo fedele, l’ulivo che lega e non tradisce

E poi un’ombra improvvisa ammanta l’orizzonte

Irrompe burbero il temporale estivo

Il tuonare del cielo al suon di Perrotta

L’acqua, che rigenera e stordisce

L’acqua, che riposiziona e disorienta il convivio

Mentre l’ulivo se la ride e sguazza

Le fronde bagnate

Il solletico del vento

Il dolce e ipnotico ticchettio dell’acqua

E il desiderio di tornare, sempre