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Cronache e Storie d’Osteria

 

Narra una strana storia che, alcuni anni or sono, due inseparabili amiche si trovassero ad Istanbul.  Pare che la Cacciatrice di taglie e Donna Maya vagassero tra le vie di un mercato turco, accecate dai sapori variopinti e dal caos di quel crocevia di spezie.

D’un tratto un refolo improvviso catturò l’attenzione della Cacciatrice, come un solletico, un pizzico, o il sentore di uno starnuto; la giovane donna seguì la brezza con lo sguardo, e quando questa si posò fra le sottili maglie di un banchetto policromo, intravide il luccichio di un foulard dispettoso: il fazzoletto dapprima oscillò con gesto di sfida, e poi sgusciò via, sull’invisibile scia dello zefiro, fra le mani e sul collo dell’ignara fanciulla.

Quell’alchimia di colori, quell’impalpabile velo dell’est, adornò il collo della ragazza negli anni a seguire, destreggiandosi con disinvolta levità fra la borsa di turno e la pelle delicata della Cacciatrice.

Le tinte del rosa, dell’arancio, del violetto, e l’allusione intermittente di filigrane dorate illuminarono il viso di lei e del suo futuro compagno di viaggio al sibilare del vento.

L’Atlantico, Lisbona e Cadiz, Granada e l’Andalusia, Las Alpujarras e la Isla del Viento, il monte Ida e i saliscendi cretesi, le dolomiti e la dorsale appenninica, il Pacifico, San Francisco ed L.A., Las Vegas e la Death Valley, l’infuocato Arizona, le bianche sabbie del New Mexico, Big Fish e lo Utah tutto, l’arcigno Colorado, i canyon profondi e le sconfinate pianure, il tufo e il verde di Scozia, il Paklenica e le sue derive allucinatorie, Pag e le sue disinibite sorelle, i venti gradi sotto lo zero del meridione polacco, e infine il bushveld africano e le sue praterie, l’arida savana, lo Swaziland e il calore della sua gente, l’oceano indiano e la Elephant Coast, fino alle aspre e selvagge alture del Lesotho, dove l’anziana e lo sciamano di una tribù di Basotho stregarono l’oste e la sua compagna con una pozione segreta. 

L’oste bevve l’intruglio che la vecchina gli porse, bevve senza pensare, e nella trance ipnotica la sciarpa volò via, fra rami spogli e fiori rosa, fra vacche marchiate a fuoco e piedi nudi di bambini che tuttora giocano e danzano col velo liso e sforacchiato di quell’oggetto prezioso.

L’amato fazzoletto adesso colora e ritaglia i visi di bimbi che sembrano un sogno, mentre le luci del tramonto si posano distrattamente sulle capanne di quella valle dimenticata. All’oste e alla cacciatrice non sembra vero d’esser stati lì, tanto quel giorno appartiene alla dimensione onirica, ma quella sciarpa vagabonda, così cara ai due, è rimasta in quella terra, forse per sua scelta, e lì si ferma, a raccontare il loro passaggio, la loro presenza, come un filamento ribelle e sfibrato della memoria.