Il Precipizio
In questi giorni, o forse è meglio dire in queste notti, sto leggendo un romanzo di Paul Auster, intitolato “Moon Palace”. Il romanzo narra la storia di un newyorkese, tale Marco Stanley Fogg, che, dopo la morte dello zio, inizia gradualmente a disinteressarsi della propria vita, a spogliarsi di tutto, persino di se stesso, fino a sprofondare nell’inedia assoluta. Marco si mantiene vendendo i libri ereditati dallo zio, libri di cui si nutre intellettualmente, prima di disfarsene. Non appena termina di leggere e poi cedere gli ultimi volumi, il giovane lascia la propria abitazione, e finisce in strada. Il suo nuovo e improvvisato giaciglio si trova in un punto imprecisato di Central Park, dove trova un dolce e pacifico ristoro che lo isola e preserva dalla città e dagli uomini. In quel luogo tutto è diverso, se pur la metropoli pulsi e si snodi a ridosso del parco.
“Il parco divenne un rifugio, un ricovero nell’intimità a confronto con le stridenti pretese della strada … Per strada tutto è fisicità e confusione: piaccia o meno, non ci si può inoltrare senza aderire a un rigido canone di norme di comportamento … Se ci si attiene alle regole del gioco, di norma si viene ignorati. I newyorkesi che girano per le strade portano stesa sullo sguardo una particolare fissità vitrea, una forma naturale e forse necessaria di indifferenza nei confronti degli altri … L’aspetto, per esempio, non conta nulla. E’ al contrario della massima importanza il modo in cui ci si contiene sotto il vestito. Gesti imprevedibili di qualsiasi tipo vengono automaticamente considerati una minaccia … Per contrasto, in Central Park la vita consentiva una gamma assai più ampia di variabili. Nessuno aveva niente da dire se uno si stendeva sull’erba e si metteva a dormire in pieno giorno.”
La riflessione a cavallo fra parco e città prosegue ne “Il Precipizio”