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Gilles (1950-1982)

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“Gilles è stato l’ultimo grande pilota. Il resto di noi è solo un gruppo di buoni professionisti” (Alain Prost) 

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11 giovedì Ott 2012

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Cronache e Storie d'Osteria

Cronache e Storie d’Osteria

 

Alcuni anni fa, Enzo Ferrari disse: “Quando mi guardo indietro, vedo tutti quelli che ho amato. E tra loro vi è anche questo grande uomo, Gilles Villeneuve”. Il Drake amava Gilles come si può amare un figlio.

Capita a tutti di guardarsi indietro, e di fare un bilancio sulle persone: chi è stato più o meno importante, chi ha significato qualcosa, chi ci ha fatto in qualche modo sognare, chi non si può in nessun modo dimenticare.

Gilles è stato uno degli eroi della mia infanzia. Sapete quel modo che hanno i bambini di vedere le cose, quel modo che poi si ricorda proprio come fosse un sogno, con i contorni mal definiti e una forma ellittica, quasi impalpabile?  Io mi ricordo così di Gilles Villeneuve, quasi fosse l’eroe di un film d’avventura, e così a tratti mi sembra vero e a tratti no, per quanto ho mitizzato lui e il suo ricordo, per quanto egli faccia parte da sempre del mio immaginario.

Gilles l’aviatore, o l’acrobata, come lo definì il suo amico e rivale Renè Arnoux, Gilles l’eroe romantico e spericolato, che prese il posto di Niki Lauda in Ferrari sul finire del campionato di formula uno del 1977. Da quanto mi hanno raccontato, pare che “Nicco Lauda” fosse una delle prime parole strane da me proferita, e ciò non mi sorprende, visto che le automobili a casa mia la facevano da padrone.

Ricordo macchine di ogni tipo: una Maserati biturbo blu notte, alcune vecchie Porsche 911 e Ferrari GTO, l’Austin Healey, una fantastica Morgan bianca con una sorta di cinta in pelle sul cofano, una Jaguar E-Type bianca, la mitica Nissan Datsun 240Z (in cui forse sono nato), una Jeep Laredo Golden Eagle, una De Tomaso Pantera, una delle prime Nissan Patrol (cui ero particolarmente affezionato), ricordo una magnifica Renault Alpine blu elettrico, ma soprattutto una Lotus Seven bianca con cui spesso io e mio padre andavamo a divertirci la domenica mattina; all’epoca avevo un casco nero e la divisa originale della Ferrari, ed ero convinto di essere Gilles Villeneuve, anche se al volante non potevo esserci io, per forza di cose.

 

Gilles Villeneuve mi è piaciuto sin dal primo momento: aveva un’aria un po’ svagata, un velo malinconico disteso sugli occhi, e sembrava essere costantemente Altrove; Gilles aveva la sfrontatezza dei Guasconi e un sorriso dolceamaro che conquistava tutti. Ma soprattutto Villeneuve era un pilota eccezionale, uno che arrivava sempre al limite, che non alzava mai il pedale dall’acceleratore: per tutti questi motivi, in poco tempo conquistò l’amore e la passione di tantissimi tifosi, che lo seguivano come un idolo assoluto, nonostante poi non abbia avuto i risultati sportivi che meritava.  Ma, come disse Juan Manuel Fangio di lui: “Gilles Villeneuve non correva per finire la gara. Non correva per i punti. Lui correva per vincere. Era piccolo di statura, ma era un gigante” .

Un personaggio del genere non può passare inosservato, non può lasciare indifferenti, perché in pista era una furia, e finiva ogni gara con la sua Ferrari piuttosto malconcia. Ricordo come fosse ieri la volta in cui riprese a correre dopo aver perso completamente uno pneumatico: proseguì il giro su tre ruote, finchè il cerchione e la sospensione cedettero; Gilles continuò lo stesso a spingere con la Ferrari numero dodici che andava di traverso, arrivando ai box con la parte posteriore della vettura divelta e scintille che sembravano fuochi d’artificio. Per colpa di quell’avventatezza, perse il mondiale, ma conquisto la gente per il suo stile di guida spericolato, per la sua geniale “follia” al volante.

 

E ricordo ancora meglio il suo duello con Arnoux nel Gp di Francia del 1979 (avevo solo quattro anni, quindi forse è uno dei miei primi ricordi in assoluto): Gilles sembrava un tarantolato , e il suo avversario non era da meno (la Renault fra l’altro viveva anni d’oro), e i due si sorpassarono fino a toccarsi più volte, fino a rischiare tutto, con mezzi che non avevano di certo le misure di sicurezza che hanno le auto moderne. Alla fine la spuntò Villeneuve, e quel duello viene ricordato ancora oggi come uno dei più appassionanti della Formula Uno di sempre.

 

Sopraggiunse poi la rivalità col suo compagno di squadra Pironì, e lo smacco di Imola, col sorpasso sleale di Didier, e poi il Gp successivo a Zolder, in Belgio, e la voglia di Gilles di riacciuffare l’antagonista, una voglia matta, incontrollabile, che lo spinge a tentare un giro eccezionale nella qualifiche: la sua Ferrari esce velocissima in curva, ma sulla stessa maledetta curva procede lentamente la March di Jochen Mass; è un attimo, un millesimo di secondo, un’incomprensione, il contatto è inevitabile, la March è un trampolino di lancio per Gilles, che vola con la sua Ferrari che si disintegra, e viene disarcionato, e il suo corpo si libra e volteggia fra le macerie, compiendo movimenti innaturali, per finire poi la sua corsa e la vita stessa a bordo pista.

Gilles muore l’otto maggio 1982. Avevo compiuto 7 anni da tre giorni, e da quel giorno non ho mai avuto dubbi: Gilles Villeneuve, vinse pochi Gran premi e nemmeno un mondiale, ma per me rimarrà per sempre il più grande pilota automobilistico di tutti i tempi; e un eroe nel senso romantico del termine, un eroe indimenticabile, che mi ha insegnato la follia, il coraggio, il desiderio di sognare.

“Non c’è alcun dubbio, Gilles era straordinariamente coraggioso. Era il più gran bastardo contro cui si potesse correre e che io abbia mai conosciuto, ma era assolutamente leale. Un pilota grandissimo” (Keke Rosberg)

 

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