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Sono forse le parole a diluire il pensiero,
così come il solvente fluidifica i colori?
O forse il linguaggio è una sorta d’imposizione,
di statizzazione forzosa delle idee?
L’arte imprigiona o libera il pensiero?
Toglie le catene a ciò che altrimenti rimarrebbe inespresso,
nell’atto di render visibile l’invisibile?
O forse le idee smarriscono purezza e autenticità nella trasposizione artistica,
finendo imprigionate nel carcere del tangibile?
Catturare l’essenza, intercettare il piano sottile,
questa è la chiave, il passo fondamentale.
Urgono ardue e delicate acrobazie per scovare la giusta dose di cura.
Un eccesso di zelo ed elaborazione conduce ad artificiose pomposità,
che aggiungono inutili sovrastrutture ai parti curvilinei del pensiero.
Una carenza di cura può d’altro canto condurre a un prodotto superficiale e scevro di significato.
La calibrazione degli ingredienti traspositivi è forse lo strumento utile
acchè l’arte si tramuti in illuminazione.
La giusta dose identifica il Solvente,
la sostanza da taglio, il Lasciapassare,
la dissestata carrettiera che conduce al Grande Varco,
la via che consenta alla Spezia di sgorgare nella sua Perfetta Configurazione.
Le endorfine, le fucine del benessere,
la primordiale e rovente Sala Macchine.
Il Solvente, l’Ignoto Ingrediente, lo strumento, l’uomo.
Forse l’uomo stesso è il Solvente,
Paul Atreides, il Quizas Aderach,
lo strumento in pelle attraverso cui la Spezia aderisce alla realtà.