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Potrei definire l’aspettativa come la speranza che si ripone in qualcuno o qualcosa. Nel caso specifico, l’oggetto dei desideri è naturalmente il cinema, lo strumento che più di ogni altro realizza e incarna i sogni dell’epoca in cui viviamo.

La domanda che mi pongo in questa sede è la seguente: quanto e cosa eventualmente cambia nell’impatto con l’opera cinematografica, al mutare della predisposizione psicologica individuale?

Capita infatti di assumere gli atteggiamenti più disparati nel momento in cui ci si accinge a vedere un film, e tutto ciò può dipendere da numerosi fattori, legati alla sfera più intima dello spettatore, al grado di recettività del medesimo in determinate circostanze, al condizionamento che lo stesso può subire dall’esterno.

Tal mutevolezza può dipendere dallo stato d’animo personale, dalle opinioni fornite da amici e colleghi, dal bombardamento mediatico che l’individuo subisce a livello inconscio (l’individuo in quanto tale e in quanto membro di una collettività); può dipendere da una serie di valutazioni pregiudiziali attinenti il regista, il cast o la sceneggiatura di un’opera, da quanto dicono o scrivono alcuni critici cinematografici particolarmente autorevoli, o dal tempo che intercorre fra il momento in cui si inizia a desiderare un film e il momento in cui se ne prende visione.

Si può quindi assumere un atteggiamento diverso a seconda che si nutrano o meno aspettative; se non se ne nutrono affatto o se ne nutrono in misura minima, si può adottare un contegno sospettoso, una posa guardinga o comunque mantenere una diffidenza di base relativamente a un film: tale stato induce sovente il soggetto a procrastinare nel tempo o persino ad evitare la visione di un film. Ma quando il punto di attracco poggia su presupposti simili, caratterizzati da una scarsa propensione alla positività di giudizio, si possono verificare succulenti sorprese, assimilabili a piccole e luminose rivelazioni. E’sufficiente fidarsi e concedersi una tappa in ogni porto per uscire dall’omologazione concettuale del nostro tempo.

Al contrario, si può sviluppare un’aspettativa abnorme nei confronti di un’opera, fatto che spesso induce a sovrastimare in sede preliminare l’opera stessa, che poi soccombe al cospetto di quanto si è idealizzato nelle sublimi sfere dell’immaginazione, in cui passano in rassegna tutte le sfumature estatiche e potenziali  dell’arte. In tal caso aumenta esponenzialmente il rischio di amare delusioni, e d’altro canto la soddisfazione corrisponde a un rassicurante appagamento, alla conferma di quanto si pensava che fosse.

Può quindi accadere che le attese siano o meno confermate dai fatti, fenomeno che implica sentimenti di vasto assortimento, a cavallo fra sorpresa e delusione (la gamma compresa fra i due “valori” di riferimento è amplissima).

Analizzando il problema in termini concreti, l’alternanza emotiva in esame si è prodotta recentemente e in modo assolutamente casuale nella mente dell’Oste, grazie al contributo opposto di due film che non hanno nulla in comune fra loro: “Mine vaganti” e “Skyfall”. Tenterò di analizzare i due film utilizzando l’aspettativa come criterio di base; la sede di tal duplice analisi è collocata (o dovrebbe esserlo) nella biforcazione che si trova in fondo al corridoio delle mie brame.

ASSENZA DI ASPETTATIVE – MINE VAGANTI                                              OVERDOSE DI ASPETTATIVE – SKYFALL