Alcune scene di “Quasi amici” –un film che ho avuto modo di vedere e recensire nel recente passato- mi hanno rammentato nonno Dino, il padre di mia madre.
Mio nonno rimase parzialmente paralizzato in seguito a una trombosi patita sul posto di lavoro, e lo è stato per anni, finchè ha avuto modo e tempo d’essere in questo mondo.
Io non potrò mai sapere che tipo d’uomo fosse prima della malattia, nonostante ne abbia intuito la vitalità nei racconti di famiglia. Io l’ho conosciuto così, e in un certo senso è un peccato, perché mio nonno emanava un’umanità delicata e sensibile, un carattere forte e sereno e un’integrità morale che non appartiene a questo tempo; purtroppo però non era semplice comunicare, perché lui parlava con difficoltà ed io facevo fatica a comprendere il senso delle sue parole.
Nonno Dino fumava di nascosto ed era fortissimo a carte: mi ha insegnato a giocare non concedendomi mai una vittoria facile, come è raro che i nonni facciano coi nipoti.
Durante le festività, nascondeva sempre dei soldi sotto i piatti dei suoi quattro nipoti, per poi godersi la scena a capotavola.
Ma è ora di contestualizzare i miei ricordi e di appropinquarci dolcemente al dunque. Per diversi anni ho trascorso un periodo estivo nel magico incanto della Val di Non -in Trentino- con la famiglia materna. Otto persone e tre generazioni a confronto nella natura incontaminata delle Dolomiti.
I miei cugini erano più posati e cittadini di me e mia sorella: noi due eravamo un tantino più turbolenti e sfrontati, non avevamo vergogna (quasi) di nulla e possedevamo una marcata tendenza alle arti circensi e al cabaret.
bravo! papa’