Il film di Stephen Frears narra la storia vera di Philomena Lee, una donna irlandese con un passato doloroso, che riemerge in seguito all’incontro rivelatore con il giornalista inglese Martin Sixsmith.
Sixsmith ha appena perso il suo impiego di consulente governativo presso il partito laburista di Tony Blair ed è in cerca di un’idea per riprendere a lavorare. Incontra per caso la figlia della signora Lee e viene a conoscenza della storia che la donna ha tenuto segreta per anni: Philomena –di famiglia cattolica- rimase incinta in giovane età, e per ovviare allo scandalo venne rinchiusa nel convento di Roscrea, luogo di segregazione per ragazze madri.
Il cinico e miscredente Sixsmith si avvicina con diffidenza ai modi semplici e genuini di Philomena, ma i particolari di grande interesse legati alla vicenda convinceranno il giornalista ad insistere: in effetti Philomena patì sofferenze terribili a Roscrea, dal parto affrontato a 16 anni in condizioni disumane, ai turni di lavoro massacranti, fino al distacco dal figlio di 3 anni, vissuto improvvisamente e nella totale impotenza.
Sixsmith in un primo momento vede soltanto l’opportunità della grande storia: Phliomena infatti ha trascorso una vita intera nel ricordo –segreto ed estenuante- di quel giorno del 1955, in cui suo figlio Anthony venne adottato contro la sua volontà da una famiglia ignota. Ma ben presto l’uomo inizierà ad appassionarsi alla vita della signora Lee e scoprirà, indagando sulle suore di Roscrea, che si cela un mistero dietro le adozioni dei bambini e tra le fiamme del rogo che avrebbe cancellato ogni prova documentale dell’accaduto. Le tracce conducono negli Stati Uniti ed è lì che la strana coppia si dirigerà per cercare il figlio perduto di Philomena.
Judy Dench regala una prova eccelsa, forse la migliore interpretazione femminile della stagione: l’attrice inglese indossa la maschera disperata ma imperturbabile di Philomena con maestria, equilibrio, e un coinvolgimento emotivo tale da incarnare realmente il dolore di una madre tradita. Steve Coogan (co-autore della sceneggiatura) è uno sparring partner perfetto, grazie a un aplomb dai risvolti comici e ad una compostezza che non cede nemmeno nei momenti di maggior tensione. Fra i due protagonisti si instaura un duetto spassoso e commovente: si parte da posizioni lontanissime, proprie di due tipi umani contrapposti, fino ad arrivare a un punto d’incontro, il punto in cui Sixsmith comprende intimamente il dramma silenzioso e l’umanità prorompente di Philomena.
Frears realizza un buon lavoro dopo alcune battute a vuoto. La struttura del film è solida e la storia coinvolgente. Da segnalare in particolare l’utilizzo dei flashback che si alternano alla narrazione principale, posando sull’opera una patina nostalgica: i sogni ad occhi aperti di Philomena sulle sorti del figlio si tramutano in divenire nella vita vissuta realmente da Anthony, e così realtà e dimensione onirica si sovrappongono fino a confondersi in una danza lenta ed agrodolce.
Il film narra quindi di un figlio strappato a sua madre con violenza inaudita, una violenza generata da una casta ed eterna obbedienza che si traduce drammaticamente in livore e risentimento nei confronti di chi ha ceduto alle tentazioni della carne, di chi ha assaporato l’ebbrezza dell’istinto. Suor Hildegarde, ultima depositaria del segreto di Philomena e di tante altre ragazze madri cresciute senza conoscere i propri figli, è l’incarnazione del male più radicato e profondo, un male capace di occultare la verità e di generare danni irreversibili. E’ una storia irritante e inaccettabile, che andava raccontata, una storia necessaria per fare luce e dare una speranza ad altri figli dispersi.
Il film è tratto dal libro dello stesso Martin Sixsmith, “The lost child of Philomena Lee”.




