Non credo alle mille forme di aldilà che sono state inventate, modellate, dipinte, descritte nel corso della storia dell’umanità, spesso per creare aspettative di riscatto o per concedere una speranza a chi si lascia vivere fino al punto di trasformare l’esistenza in una sala d’attesa.
Credo invece che paradiso e inferno (o che dir si voglia) siano dimensioni estremamente terrene, ma non fisiche: abitano i nostri pensieri, calzano e incalzano ogni istante della nostra vita, e rispondono al nostro modo di essere, tormentando fino a dilaniare lungo la via dell’annichilimento, o sollevando fino a riprodurre forme sublimi d’estasi.
Per puro caso, in questo istante, mi è balzato in mente “Al di là dei sogni”, nemmeno a farlo apposta.
Credo a una strana sorta di coscienza unificata, un legame ancestrale e imprescindibile che unisce tutte le forme di vita. Credo che si viva per lasciare qualcosa agli altri, e credo fermamente che se si centra questo bersaglio si possa riuscire a schivare la morte. E così si continua a vivere nelle parole, nei pensieri e nei ricordi di quanti siano stati anche solo “sfiorati” dal carisma e dall’amore degli illuminati che abbiano compreso il vero significato di questo nostro intricato e mirabolante percorso.
E cosa siamo noi se non ciò che pensiamo?
Dare agli altri, darsi agli altri, essere se stessi, regalare o comunque concedere emozioni di qualsiasi tipo, questi sono gli obiettivi per cui vale la pena vivere, queste sono le forme di grazia cui dovremmo essere devoti.
Pochi artisti hanno concesso tanto quanto è riuscito a fare Robin Williams nel corso della sua vita: sono innumerevoli le opere cinematografiche in cui la sua umanità dirompente è stata lasciata libera di mostrarsi, senza limitazioni o formalismi. Sono talmente tante da impedire a Robin di morire, da sollevarlo da tale incombenza, da consegnarlo e consacrarlo alla sfera dell’immaginazione collettiva, dove tutto vive, dove ogni cosa è possibile.
Ho deciso –caro Robin- di non elaborare in alcun modo queste mie parole, di scriverle di getto, per rispettare quella tua dirompente spontaneità che trascendeva ruoli e copioni. Sei stato davvero un buon amico, dai tempi di “Mork & Mindy” in poi, e mi hai fatto ridere, sognare, commuovere. Ho vissuto le tue interpretazioni come una grande possibilità, come un’ancora di salvezza contro il cinismo che caratterizza l’uomo moderno, come una stradina alternativa da percorrere per rileggere la vita a modo mio, oltre che per evitare la statale quando vado al mare.
Tu, caro Robin, sei un artista eccelso, un personaggio straordinario, nel vero senso del termine, si evince dai tuoi occhi, dall’intensità di ciò che si portano dietro.
La sensibilità che in passato ti ha creato delle difficoltà e che forse adesso ti ha ucciso e l’emotività liquida che sgorga da ogni tuo sguardo senza poter essere arginata fanno parte di te in pari misura, e come ho assorbito senza barriere ogni tua performance, non posso fare altro che rispettare le tue scelte odierne, per quanto dolorose.
Non preoccuparti, tutti ti ricordano con profondo amore ed immutata stima. Credo nel presente, e tu ci sei dentro.
Mi rivolgo a te personalmente non a causa di un contraddittorio fanatismo che mi induca a credere che ora tu “sia” da qualche altra parte, ma perché una minuscola spia lampeggiante -nascosta tra le mie intricate concatenazioni elettriche- mi ricorda che tutti siamo uno soltanto, che ogni persona è connessa all’altra in uno strano modo, che persino ogni forma di vita lo è, e che spero che lampeggerai a lungo, e che darai una mano, perché ce n’è grande bisogno, in un’epoca tanto arida ed effimera quanto quella attuale.
Non ti dimenticherò, finchè l’oblio non mi condurrà all’incoscienza.
