La guerra è un concetto che mi ossessiona. Giorni fa ho ripreso visione di “Master & Commander”, un film di Peter Weir del 2003: trattasi di un’avventura immaginaria nei mari del sud agli albori del 19esimo secolo. Il Comandante inglese Aubrey rincorre il nemico francese a bordo di una fregata, oltre i limiti geografici che la missione e la corona gli impongono, oltre i propri doveri militari, oltre ogni logica, oltre il peso imposto dalla tutela degli uomini di cui è responsabile. Il gioco della guerra spinge l’uomo oltre tutti questi limiti.
Nel film deflagra -oltre l’epico duello in mare fra bastimenti- lo scontro morale e dialettico fra il comandante e il medico di bordo, Maturin, suo caro amico e naturalista appassionato. I loro punti di vista sono opposti: il primo è un predatore in senso stretto, e vive alla ricerca di una preda, o meglio di un (valido) antagonista con cui confrontarsi in mare aperto; egli brama un nemico per respirare, lo desidera come fosse la vita stessa.
Maturin invece è uno scienziato, un esploratore, un uomo che vive per la conoscenza, che si nutre di curiosità, che “caccia” la diversità che in Natura dilaga. Non è un caso che la sceneggiatura conduca la fregata inglese dal Brasile alle Galapagos, dopo aver doppiato la furente Capo Horn: l’arcipelago del Pacifico è infatti il simbolo dell’evoluzionismo sancito da Charles Darwin pochi anni dopo le vicende narrate del film, e Maturin è in effetti una sorta di Darwin ante litteram, per quanto affondi le sue ipotesi sull’opera di dio e non invece sull’evoluzione delle specie animali e vegetali per selezione naturale.
I due amici condividono la passione per la musica e intrecciano i propri strumenti ogni sera, ma non riescono a toccarsi fin nel profondo, a comprendere ognuno cosa muova l’altro, intimamente.
Essi vivono (e quando scrivo “Essi vivono” non riesco a non pensare al cinema degli anni 87 e 88, a cartoni ricolmi di occhiali da sole neri e quindi a John Carpenter) -dicevo- essi vivono sulla base di criteri opposti, ma all’apice del dramma giungono a comprendersi reciprocamente, e persino a capire e carpire qualcosa dell’altro: Aubrey trarrà spunto dall’arte di camuffarsi di un insetto per impostare una strategia offensiva, mentre Maturin parteciperà attivamente all’arrembaggio finale.
Se riflettiamo un solo istante sulla follia che la guerra comporta, sullo spreco di tempo, risorse, energie utilizzati per giocare alla guerra, per escogitare marchingegni e strategie di morte, per porre in essere missioni, operazioni, equipaggi ed equipaggiamenti, possiamo comprendere con un discreto margine di approssimazione il retaggio di barbarie e stupidità che il genere umano eredita vita natural durante dalla sua stessa natura.
L’uomo a un certo punto della sua storia evolve in modo imprevedibile, un modo che non gli consente più di vedere la bellezza da cui è circondato; rifiuta di vivere in armonia con la Natura, ma anzi la rigetta e sfrutta e calpesta senza indugio, finchè il disamore e la mancanza di devozione nei confronti dell’ecosistema che gli ha offerto l’opportunità di essere divengono fattori genetici: l’uomo, il piccolo e misero uomo non “sente” più il legame indissolubile fra sé e la vita tutto attorno a sé, fino a smarrire il senso della sua stessa specie; si illude di essere il padrone del mondo che abita, e divide, distrugge, deturpa, si moltiplica a dismisura e diviene virale e pone confini che esistono solo nella sua mente, e inventa guerre per proteggere quei confini od estenderli a discapito di altri, per sfruttare selvaggiamente ogni risorsa disponibile, coinvolgendo nelle sue devastazioni tutto ciò che vive, alterando equilibri primordiali, senza giustificazioni di sorta.
Mi chiedo ogni giorno come ciò sia potuto accadere. Avidità e idiozia guidano i comportamenti umani in modo non arginabile. Abbiamo tramutato l’Eden in un’enorme discarica, viviamo in mezzo ai gas e alle macerie di una società purulenta, e per il piacere di un istante siamo pronti a sacrificare tutto, anche il futuro di chi verrà dopo di noi.
Forse -come scrisse Camus- “l’uomo è l’unica creatura che rifiuti d’essere ciò che è”: e forse questa eterna ribellione contro la bellezza, contro il pianeta, contro se stesso definisce l’uomo, la sua indole, il suo percorso, il suo scontato epilogo.



