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Le tre cose della domenica mi riportano a una mattina romana, quando o dove il mio caro amico Faust mi parlò per l’appunto delle sue tre cose della domenica. Il concetto mi piacque molto all’epoca e lo riprendo ora per intitolare questo mio pensiero.

Ieri era a domenica anche qui a Jesi, la mia città. Era la domenica di “Bicincittà”. Tutti in bici. La zona fra i giardini pubblici e lo stadio comunale era pedonalizzata, addobbata a festa e popolata da centinaia di bambini. Tante iniziative e una bella festa per tutti. Ma non è questo il punto.

Ieri mattina sono andato a correre, come mi capita spesso di fare. Attraverso di corsa la zona pedonalizzata. Magnifico -penso- dovrebbe essere sempre così. Ma proseguo di poche decine di metri, neanche il tempo che quel mio pensiero si sia fuso con gli altri mille che si accavallano allegramente nella testa di chi corre, e mi ritrovo immerso nei gas di scarico.

Cosa numero 1:

di colpo sembrava quasi che la manifestazione fosse “Auto in città”, tante erano le macchine che intrecciavano i loro percorsi. Non capivo e non capisco tuttora dove andassero tutti in macchina in quella bella giornata di sole. Un vero spreco e una dannazione per me, costretto a mascherarmi con una fascia da bandito per respirare meno ossido di carbonio possibile. Forse, ho pensato, arrivano in macchina fin dietro i giardini, tirano fuori le bici e sfilano per dare l’illusione di aver percorso sulle due ruote ben 500 metri. Oppure -penso- boh!

Cosa numero 2:

continuo a correre, sono entrato in un loop immaginario che percorro abitualmente, un anello di 4,4 km. Sono all’inizio del primo giro, quando, fra le persone che incrocio, una mi incuriosisce particolarmente. E’ un ragazzo sulla quarantina (si perchè mentre una volta a 40 anni si era vecchi, oggigiorno alla stessa età si è ancora giovani): è in tenuta ginnica, ma cammina e fuma una sigaretta. Ho pensato: gente strana, davvero. O forse è un’illusione ottica, forse sono già stanco. Ma il pensiero vola via, e proseguo, finisco il secondo giro, e, a metà del terzo, incontro di nuovo quel ragazzo. Il sole inizia a battere forte, e lui adesso corre, respirando con un certo affanno. E il boh che è dentro di me inizia a veleggiare verso il cielo.

Cosa numero 3:

sempre durante il mio percorso mattutino, in un momento collocabile fra il primo e il secondo incontro con lo smoking runner, passo vicino a due automobili parcheggiate una dietro l’altra, a bordo strada. Entrambe hanno il motore acceso, e si scaldano al sole. La prima è vuota. Due portiere aperte, al suo fianco quattro persone estremamente sovrappeso mangiano dei panini e discutono. Il sudore imperla la fronte di uno dei quattro, e subito penso al Barone Arkonnen e alle sue magnifiche pustole. Nella seconda macchina, parcheggiata subito dietro la prima, c’è un uomo al posto di guida. Fuma una sigaretta e legge il giornale, con il finestrino quasi chiuso, m non del tutto, giusto per aspirare anche buone dosi del gas di scarico che gli sparano innanzi. A quel punto un alto cirro che si leva dritto davanti a me assume indiscutibilmente la forma di Grande Boh.

Cirrus sky

La sera prima mi ero trovato a riflettere sui meccanismi che inducono l’uomo -almeno apparentemente- all’autodistruzione. Forse la scintilla che ha permesso all’uomo di evolversi in modo inaspettato non è stata un bene, a conti fatti. Forse è una malattia, un agente patogeno, un virus. Forse è la prova che stiamo miseramente fallendo, che la nostra crisi d’identità è profonda quanto la tana del Bianconiglio.

La sera prima ero assalito da ogni sorta di dubbio.Ma poche ore dopo, ieri mattina appunto, quegli strani fatterelli hanno confermato i miei sospetti e fugato ogni dubbio: l’uomo si è davvero fottuto il cervello.