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5 – Quinta de Cumieira – Vila Real – Casa de Mateus – Alvao National Park – Arouca – Passadicos do Pavia – Esposa – Manteigas

E’ già venerdì, la prima settimana è andata, siamo (o crediamo d’essere) viaggiatori e le nostre soste sono sempre brevi, faccio una doccia e ripartiamo. Devo guidare parecchio, la strada oggi non è il massimo, e nemmeno io. Arranco pesantemente, i miei sensi di ragno non sono i soliti al volante, percepisco la ragnatela del traffico e la strada in modo distorto e i miei navigatori mi supportano guidandomi e annaffiandomi al bisogno, e dopo un paio d’ore arriviamo in un paradiso intitolato Quinta de Cumieira, una masseria dell’800 con quattro stanze per gli ospiti. E’ un posto probabilmente incantato, di certo bellissimo, dove solo una lieve brezza rompe il silenzio inducendo il viandante al riposo e al sonno. Non sembra vero d’essere qui, dopo uno sforzo simile.

Le vigne circondano ogni cosa e ci avvolgono, un passaggio verdeggiante fra di esse conduce a una piccola piscina. L’ombra di un nocciolo ci tiene al riparo dalla luce e dal mondo fuori, la febbre scende ma non passa, però quel luogo gradualmente mi guarisce, cullandomi in una dimensione di pace rara. I gestori vanno e vengono, ci sono e non ci sono, ogni loro apparizione è discreta, estemporanea. Assaggiamo i loro vini, ci rilassiamo, i bambini trovano in questo luogo rurale e idilliaco una dimensione che incredibilmente li acquieta. La natura ci asseconda, e noi assecondiamo lei.

Passiamo ore nella quinta, eccezion fatta per la visita alla Casa de Mateus, una residenza settecentesca cinta da una flora rigogliosa e variegata, e per una piccola sortita alla cascata de Galegos da Serra, nel parco di Alvao: non è nostra abitudine stazionare tanto a lungo nelle strutture in cui pernottiamo, ma questo sembra il posto ideale per infrangere alcune regole di viaggio.

Quinta de Cumieira e le sue vigne raccontano storie antiche, storie di lavoro e di fatica, di vita e di benessere bucolici. Il tempo sembra essersi fermato perchè non c’è traccia delle sovrastrutture della modernità, eppure è chiaro che qui c’è tutto ciò di cui un essere umano abbia bisogno per vivere bene. Forse all’ingresso un filtro invisibile trattiene e tiene lontane le impurità e le tempeste mediatiche che oltre il recinto si diffondono senza ritegno e interruzioni. Forse questo luogo è una parentesi spazio-temporale, un buen retiro utile a ritrovare e ricomporre se stessi.

Dentro la quinta c’è una fonte di acqua fresca e purissima, arrivano gli amici dei gestori, si scambiano saluti e abbracci, si riforniscono. La loro posa, le movenze, e le parole, che pure non comprendo, sono di un’affettuosità reciproca e musicale che mi colpisce intensamente, infondono tranquillità. Decidono di fermarsi a cena, e anche noi, a pochi passi da loro. Stiamo davvero bene, tanto che quello stare bene si può sintetizzare, distillare e chiudere nella boccetta magica dei ricordi da portare sempre con sé.

La quinta ci regala due giorni magnifici, non la dimenticherò, come il succo delle arance che il gestore coltiva vicino a un rio che non vediamo, tanto è estesa la proprietà di questi signori d’altri tempi, o come la mano esile della mamma 92enne dei gestori, che ci saluta prima di partire. Se ripenso all’anziana signora, l’immagine che mi restituisce la memoria è quella della spassosa madre di George Jefferson, il mitico re delle lavanderie newyorkesi.

Domenica. Ci aspetta Arouca e il Passadicos che costeggia il fiume Pavia per 9 km. La strada per arrivarci è stretta e tortuosa ma panoramica, è divertente guidarla. Un mix fra le anse maestose che condussero me e Fra a Las Alpujarras in Spagna, più di 15 anni fa, e gli altopiani della Mesa Verde in Colorado, dove lasciammo il cuore nel 2010. Dopo anni di viaggi, i luoghi si mescolano, si confondono, si sovrappongono come se gli uni sfumassero per poi dissolversi negli altri, un sito te ne ricorda un altro o tanti altri per i motivi più disparati, e forse fa bene Francy a ritenere di aver fatto un solo grande viaggio che li comprende tutti, in questi anni e negli anni a venire, dato che il futuro del viaggiatore è comunque segnato.

Ad Arouca c’è uno dei ponti sospesi più lunghi d’Europa, ma qualcuno in famiglia soffre di vertigini da un po’ di tempo, e per solidarietà rinunciamo. Il percorso del Passadicos do Pavia è bello e articolato ma alcune salite sono faticose, ci impieghiamo 3 ore, i bambini sono esausti ma non deludono nemmeno oggi. Le loro possibilità e la loro prospettiva si allungano ogni giorno, sotto i nostri occhi. Acquistano indipendenza, iniziano a capire il valore del nostro modo di viaggiare (affascinante, ma faticoso), cominciano a intuire che tipo di viaggiatori vorrebbero e potrebbero essere, smaltiscono ogni forma di timidezza ma conservano il rispetto (più o meno), sanno quando è il momento di dare tutto e quando è tempo di ricaricarsi, imparano l’arte di arrangiarsi e le usanze dei popoli, lussi che gli sarebbero preclusi se in questi anni li avessimo rinchiusi nei villaggi in cui spopolano forme di turismo omologato e artificiale.

Un taxi pronto all’uso ci riporta alla macchina. Durante il tragitto, sullo schermo dello smartphone dell’autista compare la scritta “Esposa”. Giusto uno squillo. Sono curioso, e il signore di una certa età mi spiega che lui vive proprio sopra la strada, e che la moglie gli fa uno squillo quando lo vede passare. Mi racconta che vivono una bella vita, che l’aria è pulita e il cibo molto sano. Non stento a credergli. Ci ripuliamo, tento di fare pipì nel nulla, fra alberi e arbusti, ma come sempre quando tocca a me passano carovane di mezzi di ogni tipo, parate commemorative chilometriche e persino le frecce bicolori portoghesi.

Mi ricompongo, ripartiamo, abbiamo parecchia strada da percorrere in direzione Manteigas, un villaggio incastonato nel cuore della Serra de Estrela. Gim e Iri si sono meritati l’ipad e un bel film per trascorrere le oltre due ore di tragitto. Arriviamo tardi, il tempo di cenare e mangiare di nuovo benissimo. Forse troppo, rispetto al solito. Guardiamo le stelle e la luna, che gioca a nascondino con la valle, prima di sprofondare nel sonno profondo e scuro della montagna.