• Staff
  • The Program
  • Vademecum
  • FilmOsteria
    • A SERIOUS MAN – Joel Coen, Ethan Coen
    • ALMANYA – Yasemin Samdereli
    • AVATAR – James Cameron
      • La maschera
    • BLADE RUNNER 2049 – DENIS VILLENEUVE
    • DARK SHADOWS – Tim Burton
    • DJANGO UNCHAINED – Quentin Tarantino
    • DOPO IL MATRIMONIO – Susanne Bier
    • E ORA DOVE ANDIAMO? – Nadine Labaki
    • HUGO CABRET – Martin Scorsese
      • Georges Meliès e la magia del cinematografo
    • HUNGER – Steve McQueen
      • 5 maggio 1981
    • IL CAVALIERE OSCURO – IL RITORNO – Christopher Nolan
    • IL GRANDE CAPO – Lars von Trier
    • L’AMORE CHE RESTA – Gus Van Sant
    • L’ARTE DI VINCERE (MONEYBALL) – Bennett Miller
    • LA PARTE DEGLI ANGELI – Ken Loach
    • LA PELLE CHE ABITO – Pedro Almodovar
    • LA TALPA (TINKER TAILOR SOLDIER SPY) – Tomas Alfredson
    • LE CENERI DI ANGELA – Alan Parker
    • MARIGOLD HOTEL – John Madden
    • MARILYN – Simon Curtis
    • MILLENNIUM – UOMINI CHE ODIANO LE DONNE – David Fincher
    • MIRACOLO A LE HAVRE – Aki Kaurismaki
    • PARADISO AMARO (THE DESCENDANTS) – Alexander Payne
    • PICCOLE BUGIE TRA AMICI – Guillaume Canet
    • REDACTED – Brian De Palma
      • Nemici immaginari – Dall’Iraq a Buzzati e ritorno
    • RUGGINE – Daniele Gaglianone
    • THE EDGE OF LOVE – John Maybury
    • THE HELP – Tate Taylor
      • Il fascino sottile dell’intolleranza
    • THE IRON LADY – Phyllida Lloyd
    • THIS MUST BE THE PLACE – Paolo Sorrentino
    • UNA SEPARAZIONE – Asghar Farhadi
    • VENTO DI PRIMAVERA – Rose Bosch
    • WARRIOR – Gavin O’Connor
  • Il precipizio
    • Andy Kaufman – Man on the moon
    • Antonio Sampaolesi – Mio nonno, il mio idolo.
    • Caccia sadica
    • Central Park
    • Cigolante vetustà
    • Compenetrante Simbiosi Nordica
    • Cosmogonia d’Osteria
    • Crisi gravitazionale
    • Da Zachar a Wall-E in pilota automatico
    • Effetto Domino
    • Follia o rivelazione?
    • Freccia rossa
    • Fuga d’ombre nel capanno
    • Generi cinematografici
    • I cantanti
    • Il pelo del pile
    • Il Visa
    • Inchiostro
    • L’Estetica del Toro
    • L’incontro
    • La chimica del mare
    • Magma dal retrobottega
    • Mezzosogno
    • Mine vaganti su Skyfall – L’altalena delle aspettative
      • Assenza di aspettative – Mine vaganti
      • Overdose di aspettative – Skyfall
    • Mostri alati
    • Nonna Jole
    • Nonno Dino e il bambino che è in me
    • Prima del tempo
    • puntofisso.com ovvero Il colloquio
    • Salomon
    • Sogni & Catapulte
    • Sotto/Sopra
    • Terza fase
    • The Nightmare before Christmas – Reloaded
    • Tuta alare
    • E-voluzione
    • La fine 1.0
  • Photo buffet
    • Antelope Canyon
    • C’era una volta un ghiacciaio
    • Cattedrali nel deserto
    • Children of Lesotho
    • Cold beer
    • Duddingston Village
    • Evoluzione Alentejana
    • Grandpa riding
    • La isla del viento
    • Libera Sopravvivenza
    • Opi-Wan KenOpi
    • Pipò – Il Cane Guida
    • Satara – After lunch
    • Spanish patrol
    • Swazi Stand (Commerce and Laughters)
    • Un giorno al Pincio
    • Under the Golden Horn Metro Bridge – Istanbul
    • White Sands
    • Zabriskie Point – Sunrise
  • Tolstoj
    • Anna Karénina
      • Scena di caccia
  • L’Atlante delle Nuvole
    • Brazil
      • Soldatini di plastica
    • Cloud atlas
      • Tutto è connesso – Odissea nella coscienza unificata
    • Faust
    • Melancholia
      • E d’improvviso Jung
    • Mulholland drive
    • Stay
    • The imaginarium of Doctor Parnassus
      • Oltre lo specchio
    • The lobster
    • The tree of life
  • Once upon a time
    • The Adam Show – Una favola moderna per bambini precoci
      • Atto I
      • Atto II
      • Atto III
      • Atto IV
      • Atto V
  • I Grandi Classici
    • A history of violence
    • Amour
    • Casinò
    • Easy rider
    • Eyes wide shut
      • La tana del Bianconiglio
    • La città incantata
      • Paragone acrobatico con il mito di Orfeo ed Euridice
    • Schindler’s list
    • The artist
  • Singolar tenzone
    • 1883 – Epopea migratoria
    • Auster, Paul
      • Moon Palace
      • Viaggi nello scriptorium
    • Baudelaire, Charles
      • I fiori del male
    • Buzzati, Dino
      • Il deserto dei Tartari
    • Cicerone, Marco Tullio
      • L’amicizia
    • Consoli, Carmen
      • Sud est
    • Dalla, Lucio
      • Com’è profondo il mare
    • De Filippo, Edoardo
      • Cos’e nient
    • De Gregori, Francesco
      • Un guanto
    • Dickens, Charles
      • Il nostro comune amico
    • Fitzgerald, Francis Scott
      • Tenera è la notte
    • Flaubert, Gustav
      • Memorie di un pazzo
    • Genna, Giuseppe
      • Italia de profundis
    • Ginsberg, Allen
      • L’urlo
    • Goncarov, Ivan Aleksandrovic
      • Oblomov
    • Grass, Gunter
      • Il tamburo di latta
      • La ratta
    • Guerra, Tonino
      • I bu (I buoi)
    • Hesse, Herman
      • Il piacere dell’ozio
    • Jung, Carl Gustav
      • L’io e l’inconscio
    • Kristof, Agota
      • Trilogia della città di K. – La terza menzogna
    • Levi-Montalcini, Rita
      • Collana di Perle (Libera raccolta d’Osteria)
    • Lynch, David Keith
      • In acque profonde
    • Manzarek, Raymond Daniel
      • Light my fire – My life with Jim Morrison
    • Maugham, William Somerset
      • La luna e sei soldi
    • McCarthy, Cormac
      • Meridiano di sangue
      • Suttree
    • Morrison, James Douglas
      • Le poesie hanno i lupi dentro
      • Sono tornato
      • The crystal ship
    • Musil, Robert
      • L’uomo senza qualità
    • Nabokov, Vladimir
      • La vera storia di Sebastian Knight
      • Parla, ricordo
    • Paasilinna, Arto
      • Piccoli suicidi tra amici
    • Pessoa, Fernando
      • Il libro dell’inquietudine
    • Quasimodo, Salvatore
      • L’uomo e la poesia
    • Rimbaud, Arthur
      • Carreggiate
    • Salustri, Carlo Alberto
      • La cornacchia libberale
    • Schnitzler, Arthur
      • Doppio sogno
    • Steinbeck, John
      • Al Dio sconosciuto
      • Furore
      • La valle dell’Eden
    • Thomas, Dylan
      • Distesi sulla sabbia
    • Thoreau, Henry David
      • Walden ovvero vita nei boschi
  • 6 DAYS IN NEW YORK
    • MOMA – Selezione d’Osteria
  • Portogallo on the road
  • Pubblicazioni

osteriacinematografo

osteriacinematografo

Archivi Mensili: settembre 2023

6 DAYS IN NEW YORK Mezzosogno di finestate a puntate

In evidenza

Posted by osteriacinematografo in film, Lynch, David Keith, Pensieri, Storie, Viaggi, Woody Allen

≈ Lascia un commento

DAY 2 – Greenwich – One World – Gotham – Seaport – Chinatown – Little Italy – Birdland

Sabato 2 settembre. Ci svegliamo alle 6e30 per essere a colazione alle 7 in punto. A parte il fervido desiderio di ricominciare a esplorare NY, va premesso che io e Francy sfruttiamo a pieno ogni potenzialità del primo pasto del giorno. La colazione rappresenta a tutti gli effetti un breathing, perchè di norma in quella sede, oltre a dare il meglio di noi al cospetto del ricco buffet, raccogliamo le idee della sera prima e mettiamo a punto un piano sommario per la giornata. Ci può capitare di restare anche un’ora in sala, muniti di guida e appunti di viaggio. L’idea di oggi è di andare verso sud a piedi, e di arrivare fin dove riusciamo, senza limiti di sorta. Ne uscirà fuori una giornata memorabile, che ci consentirà di scoprire un quadrante consistente di Manhattan. E grazie alla corposa colazione americana non avremo bisogno di pranzare, e anche questo ci sarà utile per risparmiare tempo.

Usciamo in strada che il sole è ancora basso e parzialmente scremato dietro ai palazzi, la luce della mattinata è splendida, il traffico scarseggia, la gente in giro è poca. Incontriamo per lo più lavoratori che in silenzio azionano gli enormi ingranaggi che regolano i meccanismi della città. Visitiamo il Chelsea market ancora dormiente: anche qui vige un’operosità sommessa e discreta, lungo i suoi corridoi corrono pavimenti scuri e pareti a mattoncini, sopra le nostre teste tubature a vista e condotti dell’aria avvolti nell’alluminio tradiscono un passato industriale. D’altronde questa fu la fabbrica della Nabisco, dove nel 1912, esattamente due mesi prima del naufragio del Titanic, idearono e produssero il biscotto Oreo. E chissà che nei più remoti recessi di questa suggestiva struttura a misura di Umpa Lumpa non si realizzi una produzione clandestina di cioccolato Wonka.

Usciamo e puntiamo il One world, ma non prendiamo nemmeno in considerazione di utilizzare i mezzi pubblici, vogliamo goderci a piedi Chelesea, Greenwich, Soho, Tribeca. E lungo il nostro percorso scopriamo perle che ci ripagano della fatica, se vogliamo chiamarla così. Siamo partiti da Midtown, e ci rendiamo conto ben presto di entrare gradualmente in un altro mondo. La luce filtra dolcemente fra gli alberi, i giganti d’acciaio sono svaniti nel nulla, probabilmente banditi da queste terre. Procediamo a zig zag fra le vie incantate di Soho e Greenwich Village, sperando di goderci qualche scorcio degli interni delle splendide case della zona.

Qui hanno girato Allen, Scorsese, i Coen, qui troviamo gli esterni di alcune note produzioni per la tv, qui è cresciuto De Niro. Case di mattoncini multicolore si avvicendano lungo viali alberati e pacifici. Gli abitanti si muovono pigramente. Chi porta a spasso il cane, chi si occupa della spazzatura, chi si incontra per strada e si concede due chiacchiere. Un giornale attende con garbo davanti a un portone turchese che il padrone di casa esca a prenderlo, il silenzio è incantato. Forzando un paragone acrobatico, azzarderei che la sensazione è di trovarsi a Garbatella dopo aver fatto un giro in pieno centro a Roma. Greenwich è una dimensione elegante ma quasi rurale, tanto è rilassata e distante dalla frenesia caotica della città senza sonno.

Io e Francy pensiamo che – se fossimo newyorkesi- sarebbe questo il luogo in cui vivremmo, anche perchè il quartiere somiglia all’America di provincia che abbiamo vissuto e amato. Ci convinciamo di ciò una volta di più dopo esser finiti per caso fra i banchi di un mercato di frutta e verdura in prossimità di un parco minuto. Acquistiamo due pesche e proseguiamo nell’incanto del sud ovest di Manhattan, mentre il vapore acqueo sotterraneo sbuffa in superficie dagli appositi camini bianco-rossi, regalando un alone di mistero al nostro percorso. Ti immagini che dai fumi di quel vapore spuntino fuori i gangster in erba di C’era una volta in America, ma non c’è tempo di rimuginare perchè nel giro di pochi minuti ci imbattiamo per caso in Ladder 8, la caserma dei pompieri in cui Reitman ambientò il covo dei Ghostbusters.

Proseguiamo verso Tribeca, dove cerco senza successo il locale in cui De Niro pochi giorni prima ha festeggiato gli 80 anni con tanti mostri sacri del cinema. Ignoro il motivo per cui si sia dimenticato di me, ma tant’è, trattasi probabilmente di una banalissima svista. Tribeca è un quartiere alla moda che sancisce il ritorno a un’architettura più moderna e slanciata verso l’alto. I grattacieli riprendono campo gradualmente, il One world domina l’orizzonte, svoltiamo l’angolo in direzione Battery park e ci troviamo al limitare di una delle due enormi vasche che sostituiscono le due torri e ne proteggono la memoria. E’ un luogo toccante e ciò che più fa impressione è scorrere i nomi e i cognomi delle persone che persero la vita l’11 settembre 2001, perchè ci si rende conto che vi è rappresentata ogni parte del mondo. Le Olimpiadi dell’orrore.

Entriamo nel grattacielo del One world observatory, scannerizziamo i pass in autonomia, registriamo i nostri dati e all’ingresso un contatore aggiorna in tempo reale grafici sui Paesi di provenienza dei visitatori.

Quindi attraversiamo le rocce vecchie 400 milioni di anni che costituiscono le fondamenta ancestrali del One World e forse dell’intera America. In 60 secondi saliamo al 102esimo piano, in ascensore propongono una rapida e suggestiva narrazione visiva della storia di New York. In cima a me e Francesca tremano le gambe perchè il salto nell’iperspazio è tanto impercettibile quanto destabilizzante.

Da lassù osserviamo NY da una prospettiva unica: il cielo è limpido e la visuale perfetta, a sud vediamo Staten island e i mitici traghetti arancioni intrecciare le scie e le storie dei pendolari che salgono a bordo ogni giorno; la Statua della libertà ed Ellis Island con le orde di turisti che le cingono d’assedio concentricamente; ad ovest l’Hudson e il New Jersey; a nord il cuore di Manhattan fino a Central park e Harlem; a est il Financial district e i ponti che uniscono la penisola a Brooklyn e al Queens. E’ un luogo perfetto per meravigliarsi e comprendere la geografia di Metropolis, la versione luminosa di NY .

Siamo sazi di tanta luce e torniamo a terra a capofitto, come siamo saliti. Dopo una rapida decompressione ci avviamo verso Financial district, quella che nel mio immaginario cine-fumettistico è Gotham City. Identifico la porta di Gotham in Trinity church, una cattedrale gotica dall’aspetto crepuscolare anche in pieno giorno, le cui mura sono circondate da un cimitero di bambini.

Davanti a Trinity si allunga Wall street, stiamo entrando nel cuore bancario e finanziario di NY. Non considero questa zona attrattiva in quanto tale, ma in funzione delle fantasie cinematografiche di cui mi sono nutrito negli anni. Mentre passeggiamo per quelle vie emergono dal liquido nero dei ricordi i lupi Douglas e DiCaprio e le loro straordinarie interpretazioni del controverso mondo della finanza.

Ma il ricordo più vivido e legato anche e soprattutto visivamente a questi luoghi è la Gotham cupa e claustrofobica dipinta nel Batman di Nolan, che si può respirare a pieni polmoni, come fosse un vero e proprio set: qui il cavaliere oscuro potrebbe dispiegare il suo mantello nero dagli abissi del cielo e calarsi fino al dedalo di ponti e sottopassi sovrapposti in cui si annidano degrado e paura; dal portellone di un furgone postale parcheggiato potrebbe deflagrare la follia del Joker e cospargere la città di puro terrore distillato; al crocevia fra Wall street e Board street, Bane e il suo esercito di rifiuti umani potrebbero scatenare la propria violenza irreversibile sul mondo intero. Queste visioni di Gotham provengono da lontano, e fanno parte dell’immaginario collettivo. Posso solo immaginare l’aspetto decadente del distretto finanziario in versione notturna.

Lasciamo Wall street, abbandono le mie tetre fantasie gotiche. Ci dirigiamo d’istinto verso est, andiamo incontro all’acqua, passiamo davanti al Malibù Barbie Cafè e pensiamo che a nostra figlia sarebbe di certo piaciuto. Ora ci troviamo in South Street Seaport. Facciamo due passi sul Pier 16, dove è ancorata la nave d’epoca Wavertree e si può godere di una fantastica vista sui palazzoni di Lower Manhattan ma soprattutto sul ponte di Brooklyn.

Videochiamiamo i bambini perchè siamo circondati da meraviglie a 360 gradi e vogliamo condividerle con i frammenti di cuore che abbiamo lasciato a casa. Sui moli che affacciano sull’East river ritroviamo l’atmosfera leggera e festosa che si respira a San Francisco. Musica, mercatini e gente rilassata in giro. L’ennesima New York che si dipana magicamente sotto il nostro sguardo attonito.

Camminiamo lungo fiume verso nord, protetti dall’ombra di un ponte viola addobbo funebre. D’un tratto viriamo verso Chinatown, che è più o meno sempre la stessa in ogni angolo di mondo. Ho letto che i cinesi hanno una caratteristica che favorisce la conservazione -quanto meno parziale- degli edifici storici della città. In effetti, mentre il volto della gran parte di Manhattan cambia continuamente, perchè è un attimo che costruiscano un grattacielo in luogo di 2-3 vecchie palazzine, i cinesi, se acquistano immobili, non fanno altro che smontare le vecchie insegne per sostituirle con le loro. Diciamo che un certo modo di fare assai sbrigativo, che mira a un’immediata operatività, si traduce per una volta in utile strumento conservativo. Chinatown comunque è un bel casino, il suo moto è incessante come quello di un formicaio, e per quanto i colori sgargianti e gli odori siano allettanti, la tagliamo da est a ovest senza trovare angoli di pace. Forse una volta che hai visto una Chinatown le hai viste tutte, e ce la lasciamo alle spalle senza rimpianti.

Non esiste più un confine certo a dividere Chinatown da Little Italy, ma se la prima non sorprende, la seconda lascia perplessi. Sembra una fiera, un baraccone di paese, una rappresentazione che ritrae la caricatura del nostro Paese. Ghirlande ed archi tricolori adornano ogni strada, assieme ai versi di “Volare” e di altri pezzi nostrani. E’ un quartiere di soli locali, e i gestori tentano di accalappiare turisti in strada in modo istrionico. Nonostante l’aspetto niente affatto autentico, Little Italy è piena di gente e assai festosa, e ci spinge a sederci per una birra e un po’ di riposo. Oltre la facciata parodistica, si nota subito che qui si interagisce in modo immediato e verace, c’è buona osmosi fra gli avventori, e la gente seduta ai tavoli, di ogni nazionalità, sembra allegra e a proprio agio. Quando noi italiani vogliamo far sentire a casa la gente non abbiamo rivali, nessuno sa farlo come noi, e questa dote è una prerogativa di cui andare fieri.

Così conosciamo una coppia di americani simpaticissimi, John e Carol. Vengono da Boston e anche loro hanno lasciato i figli a casa. Beviamo qualcosa insieme, brindiamo, e ci divertiamo a raccontarci i nostri viaggi. Loro amano l’Italia, noi l’America. Un idillio perfetto, che si scioglie soltanto dopo la foto e l’abbraccio di rito.

Penso a quanta gente abbiamo conosciuto in giro per il mondo, anche solo di striscio, penso alla magia di quegli scambi culturali tanto intensi quanto fulminei, penso a cosa ne sarà di loro, a quali vie abbiano imboccato, a quali territori abbiano visitato. Penso al fatto che senza di loro i nostri viaggi non sarebbero stati gli stessi. Viaggiare è anche conoscere, scambiare, interagire, tentare, sporcarsi, perdersi, fallire. Viaggiare è vivere e io e Franci proviamo a essere noi stessi ovunque andiamo. Di norma funziona, e ci consente di stare bene e stringere buoni rapporti con chi incontriamo lungo il cammino. Viaggiare ti insegna a non avere paura, a non nasconderti mai, anche perchè capisci presto che il tuo orticello è troppo piccolo per conservare consistenza al cospetto del mondo.

A questo punto sono le 15 circa e improvvisiamo. Ho una fissa chiamata Tenement Museum, un museo del Lower East Side che riproduce le abitazioni fatiscenti dei primi immigrati europei. Ne so qualcosa grazie a “New York è una finestra senza tende”, un bel libro di Paolo Cognetti. L’autore scrive che non si può capire New York e la sua storia senza aver visitato questo museo. Mi ha convinto e chiedo a Franci di assecondarmi nonostante la stanchezza. Lei non è convinta ma accetta. Entriamo in una libreria, che è l’anticamera del museo, prenotiamo la visita e pochi minuti dopo siamo con un giovane Freddy Mercury in giro per i palazzi adiacenti. Lo ammetto, il ragazzo è troppo veloce per il mio livello di comprensione della lingua inglese, si mangia troppe parole ed enfatizza eccessivamente alcune espressioni. Vado a senso e percepisco più o meno quello che già sapevo dai libri, Freddy ci racconta la storia di una famiglia e della donna che ne reggeva l’economia con opere di sartoria che le pagavano una miseria. Ci muoviamo fra gli spazi angusti di questi appartamenti che erano condivisi da più famiglie, che poi subaffittavano ad altre famiglie come fossero matrioska. Forse il museo ha intrapreso la strada di una narrazione in serie, forse la guida non ci coinvolge per una questione di pelle e di elettricità. Fatto sta che ci aspettavamo di più sotto il profilo emotivo. Il beneficio del dubbio resta per i problemi linguistici di cui sopra, ma siamo stanchi e un tantino annoiati, e la fine del tour si rivela un sollievo.

Pensiamo per un attimo di prendere la metro, ma no, qui dietro c’è una fantastica birreria, la McSorley’s Old Ale House. Entriamo senza manco pensarci. Ora siamo in un rural pub irlandese, fuori non c’è più New York, ci sono solo distese verdi accarezzate dal vento a perdita d’occhio. Ci fanno accomodare in un tavolo condiviso con altre persone. Sul muro una targa recita: “be good or be gone”. Ordiniamo due birre e ce ne portano quattro. Questo posto mi piace. Una tizia sbraita manco avesse inghiottito un megafono, ma non ci facciamo caso perchè nel pub il baccano sostituisce ogni altra cosa. E’ un discorso stereofonico unico, le voci di ciascuno si sommano in una soltanto, e probabilmente nessuno capisce nulla di quel che dicono gli altri, ma non importa, non è essenziale. L’unica a farsi capire è la tizia che sbraita.

Ordiniamo altre due birre, anzi una, che sono due naturalmente, e poi ci dileguiamo verso Washington square, dove suonatori, giocolieri, cartomanti animano ogni angolo della piazza. Un gruppo di pazzi vestiti da suore intona cori in riferimento a un gioco chiamato “I suck this fantasy football”, che dovrebbe essere un gioco di abilità molto diffuso fra i giovani. I ragazzi si divertono a fare acrobazie con gli skate. Si sta bene ma dobbiamo andare, perchè abbiamo altri progetti.

Risaliamo verso il Chelsea Market che alle 18 è preso d’assalto. Troviamo posto in un ristorante indiano dove mangiamo un paio di piatti deliziosi, e uno meno. Non sto a rimarcare chi abbia scelto il piatto insipido, ma è semplice intuirlo. Sfamati, torniamo in albergo. Doccia rapida, cambio d’abito e via nel crepuscolo newyorkese.

Stasera ci attende il concerto di Catherine Russell al Birdland, uno storico locale jazz in Theater District. Ho prenotato il concerto dall’Italia, ma non potevo sapere che nell’arco della stessa giornata avremmo fatto quasi 20 km a piedi nella parte meridionale di Mannahatta, l’isola dalle tante colline. Siamo annebbiati ma curiosi. La ragazza all’ingresso cerca il mio nome su un elenco cartaceo, come ai tempi in cui si entrava in disco in lista, e il mio nome c’è. Simon? Yess!

Entriamo e la luce rossa e soffusa del club ci avvolge dolcemente. Ci fanno accomodare a bancone, come richiesto. La Russell è una bomba jazz, riempie il locale con la sua voce calda, e la sua band l’accompagna egregiamente. L’atmosfera del locale è onirica, i tavoli sono al completo e altrettanto i bar seating. Beviamo vino californiano e assaggiamo un ottimo cocktail di cui non ricordo il nome, i barman sfilano di corsa e versano incessantemente, sembrano seguire il ritmo del jazz.

E’ una situazione che ho sempre sognato, godermi un concerto simile con Francy in un locale tanto denso di storia musicale. Ed è stato esaltante, un insieme di sensazioni che non dimenticherò. Se fossi newyorkese, farei incetta di eventi simili. E’ uno dei risvolti eccezionali di cui gode chi abita qui, uno dei tanti.

Gli stimoli non hanno fine in questa città, e non appena il concerto termina ci troviamo immersi in Times Square, che sembra un acquario avveniristico. Nuotiamo nella folla come pesci fuor d’acqua, i mega schermi illuminano il viso di Francesca di ogni colore. La mia ragazza sembra Alice nel paese delle meraviglie, oppure Dorothy nella città di smeraldo. Continuiamo a fluttuare senza peso nella bolla illusoria in cui ci troviamo dalle prime luci del mattino, sembra uno dei sogni di Lynch e la paura è soltanto quella di potersi svegliare, prima o poi, e di scoprire che nulla è come sembra.

D’un tratto torniamo in noi, come se la maga dell’est avesse rotto l’incantesimo che ci teneva al riparo della realtà, ma è solo la folla che cresce e che preme, fino a trascinarci verso sentieri meno frequentati, che ci condurranno a casa dopo una giornata che somiglia a un’epopea. Questo giorno, visto dagli specchietti retrovisori della notte, pare una vita intera.

Oggi abbiamo iniziato ad amare New York, e le siamo grati per tutto quanto ci ha concesso di vivere in poche ore. Francy oggi si è sbilanciata, e l’ha definita “strepitosa”. E’ proprio così, non esiste aggettivo migliore, New York è strepitosa. Ne parliamo a letto, la sentiamo ancora pulsare, poi mi addormento, o perdo i sensi. A un certo punto sento palleggiare, la pallina rimbalza come un mantra fra le mie sinapsi in dormiveglia, chiedo a Franci chi mai si sia messo a giocare a tennis in strada, poi mi giro, lei dorme, ci sono gli US Open in tv. Realtà e immaginazione sono indistinguibili nella città dei sogni.

Rattle and ham

23 sabato Set 2023

Posted by osteriacinematografo in Poesie

≈ Lascia un commento

Tag

dailyprompt, dailyprompt-2067

Impulso di scrittura giornaliero
Qual è il tuo album preferito di sempre?
Visualizza tutte le risposte

6 DAYS IN NEW YORK MezzoSogno di finestate a puntate

In evidenza

Posted by osteriacinematografo in film, immagini, Pensieri, Storie, Viaggi

≈ Lascia un commento

DAY 1

Venerdì 1 settembre, 4e15 del mattino. Io e Francesca ci svegliamo, ci muoviamo con passo leggero, ci vestiamo senza far rumore e usciamo alla chetichella, come due ladri, ma in casa propria. Il bottino è la libertà di un viaggio a New York, un viaggio solo per noi, che siamo innamorati da diversi anni degli Stati Uniti. Dopo un paio di lustri di viaggi in famiglia, i bambini resteranno a casa con nonna Simonetta per una settimana scarsa. E’ un fenomeno senza precedenti, ma dobbiamo rendere omaggio ai nostri 25 anni, e pensiamo di meritarci questa fuga a due, nonostante quel lieve senso di colpa che poi svanirà in un battito d’ali di boeing.

Alle 5 usciamo, è ancora notte in realtà. Il viaggio in macchina per Roma è tranquillo, troviamo rari frammenti di traffico pendolare al GRA. Alle 8 chiamo il numero del Car Valet, riferisco che sarò in sosta breve per la consegna del mezzo entro un quarticello, e il tizio scoppia a ridere perché probabilmente il mio slang marchigiano possiede risvolti comici insperati. Mi saluta dicendo: “t’aspettamo ar parcheggio, Quarticè”, e ride di gusto. Questa cosa mi piace, è di buon auspicio, io godo nel far ridere la gente, è un fenomeno che mi procura enorme piacere da quando ero bambino, e quando capita di far ridere qualcuno senza volerlo, la soddisfazione raddoppia. Arriviamo al parcheggio, mi dichiaro subito: “Ciao, sò Quarticello”, lui ride e risponde che si, gli avevo detto un quarticello, ma poi ho tardato. Non gli spiego che a Roma non azzecco mai la via per il T3, che sta agli arrivi, e non alle partenze, e io lo so bene ma non la prendo mai lo stesso. “Ahò ma andate a New York e nun ve portate gnente?” E’ la battuta con cui ci salutano prima di rapire Zelda e portarla chissà dove. La mia teoria è che, visto il costo esiguo del parcheggio, utilizzino i mezzi per qualcosa di losco. Rapine, scambi di coppia, corse clandestine. Auguro intimamente buon divertimento alla mia macchina, che di norma ha una vita abbastanza regolare e monotona, ed entriamo in aeroporto.

I nostri bagagli sono leggeri, quasi inconsistenti, non abbiamo nulla da stivare, tanto meno da dichiarare. Sbagliamo terminal, ma di poco, e in breve superiamo i controlli di routine. Mi sento sospetto senza i figli appresso, e invece sono anche più trasparente del solito. Arriviamo al gate, ci imbarchiamo sul volo American airlines che tarda mezzora per aspettare un gruppo di passeggeri dispersi chissà dove. Verso le 11 decolliamo, mangiamo il mangiabile, beviamo, guardiamo il film di rito e tentiamo di riposare un po’. Annunciano una discreta turbolenza, ma non è nulla di che, e arriviamo addirittura in anticipo. Alle 13e30 siamo al JFK.

I controlli sono più lunghi del previsto, non perché siano diversi dal solito, ma perché c’è molto meno personale rispetto alle altre volte, e la fila ristagna, nonostante una buona organizzazione. Osservo l’impiegato delle dogane di origine nipponiche che fa il suo lavoro, controllo impronte digitali, controlli fotografici, attesa riscontro e timbro sul passaporto, apposto con una sorta di rigetto giustificato, considerate la fila di visitatori da vistare e la prassi che l’uomo dovrà ripetere per ore dentro a un gabbiotto identico a tutti gli altri gabbiotti. Un lavoro duro e ripetitivo, a maggior ragione perché il ruolo non consente di familiarizzare con nessuno a parte il proprio device. Quei loculi e la trafila disumanizzante mi riportano ai sogni di Sam Lowry, al povero Buttle confuso col “terrorista” Tuttle per colpa di un insetto, ai mezzi uffici in serie del ministero dell’informazione, al mondo assurdo che Terry Gilliam dipinse in Brazil, e che tanto inizia a somigliare al nostro.

Salutiamo il sol levante, e la mia solidarietà svanisce in un attimo. Prendiamo al volo l’Airtrain che dal terminal ci condurrà a Jamaica, una stazione di smistamento da cui partono metropolitana e treni per il centro. Noi scegliamo la LIRR (Long island rail road), un treno che costa poco più della metro ma impiega molto meno tempo ad arrivare a Manhattan. Treno in partenza dal track 2, ci affrettiamo, prendiamo al volo anche questo ma stavolta sbagliamo. Il nostro era quello successivo.

Il treno su cui saliamo è con ogni probabilità il Polar express, ci condurrà al Polo nord, e ciò sembra evidente dall’aspetto del controllore e dalle movenze magiche con cui bucherella i nostri biglietti. Invece a sorpresa ci fermiamo a Grand Central station, e noi alloggiamo proprio sopra Penn station, a circa 2 km a sud ovest. Poco male, non abbiamo zavorre di sorta, il bagaglio è leggero (non leggerissimo, a dire il vero, per colpa dei libri che mi ostino a portarmi appresso), e decidiamo di compiere i primi passi a NY.

Saliamo le scale fino in superficie e subito New York è ovunque intorno a noi. L’impatto è affascinante ma non ci destabilizza, forse perché abbiamo già visitato altre grandi città. O forse perché non si capisce subito cosa sia New York. Ciò che catalizza immediatamente la nostra attenzione è la ragnatela di scale antincendio che s’inerpica sulle pareti dei palazzi più vecchi. Forse immaginiamo Spiderman, o una ragazzina in fuga dalla finestra di casa, oppure l’incontro furtivo di due amanti clandestini. Certo è che quelle scale in un modo o nell’altro scatenano fantasie che arrivano da lontano, dalle piccole tv in cui negli anni 80 scoprivamo l’America e i suoi film.

Percorriamo la quinta verso sud, passiamo davanti alla Public Library e la prima cosa a cui pensa il mio cerebro deformato dal cinema è se effettivamente ci potrebbe stare la nave cargo incagliata sul fondo nella NY sommersa di The day after tomorrow. Il dubbio resta. Alla 33esima giriamo a destra, è l’angolo dell’Empire State Building, il grattacielo più rappresentativo di NY, una sorta di faro per navigatori alla deriva, che adesso quasi non percepiamo ma che poi avremo modo di osservare da ogni prospettiva possibile. Superiamo il Madison Square Garden, e dopo pochi passi siamo al Marriott, l’hotel di Midtown in cui stazioneremo per 5 notti. Ho riflettuto poi sul fatto che questa è con ogni probabilità la permanenza più lunga di sempre in un luogo, per me e Francesca insieme.

La nostra stanza è a un piano comodo ed è un bene perché le attese per gli ascensori si rivelano spesso dilanianti. Lasciamo i bagagli, ci facciamo una doccia, ci vestiamo e ci fiondiamo in strada per assaggiare la nostra prima fetta di grande mela. A un passo da noi c’è l’Edge, il più alto osservatorio esterno dell’emisfero occidentale. Saliamo al quarto piano del 30 di Hudson Yards per prenotare –con il consueto box automatico- la nostra visita alle 19e40. Riscendiamo per fare due passi ad High line, che non è altro che un passaggio sospeso lungo circa 2 km, costruito in luogo di una linea ferroviaria sopraelevata in disuso.

Ci godiamo le prime immagini del quartiere Chelsea da questo luogo particolare: il traffico che scorre sotto ai nostri piedi sembra distante, alcuni scorci sono bellissimi, i palazzi che incontriamo lungo la strada hanno linee ricercate e di indubbio gusto, qui il moderno e l’antico si fondono e confondono senza farsi del male, e così i mattoni rossi e marroni dei vecchi edifici rimbalzano cromaticamente sulle vetrate a specchi dei loro fratelli più giovani creando una corrispondenza di amorosi sensi.

Il problema è che High line d’un tratto si rivela affollatissima, e si cammina a stento, un passo che mal si addice a due mangiatori di strade come me e Franci. Dopo la birra di rito bighelloniamo un po’, diamo un’occhiata all’Hudson che scorre placido oltre una schiera di treni d’argento. I vagoni lasciano rimbalzare sciami iridescenti sui grattacieli circostanti, che controbattono in una sorta di partita in cui la luce si propaga avanti e indietro senza intervalli di sorta. I giocatori palleggeranno fino al tramonto, e solo allora si concederanno una tregua.

Decidiamo di lasciare High line e di scendere in strada, di attraversare a ritroso il ventre di Chelsea, di goderci il quartiere da dentro. E in effetti funziona. Si, è vero, il traffico ora ci tallona, ma questa visione più interiore ci aggrada, sembra più autentica e viscerale.

Torniamo verso l’Edge, saliamo al quarto piano, mostriamo la prenotazione e il pass, che merita una piccola parentesi. NY propone una serie di pass per visitare le attrazioni principali ma anche per accedere ad attività “minori”, e questo strumento consente di risparmiare tempo e denaro. Noi abbiamo scelto il Sightseeing pass, perchè ha una peculiarità rispetto agli altri: la maggior parte dei pass fornisce l’ingresso alle attrazioni per tot giorni, mentre il Sightseeing concede di effettuare un certo numero di attività, a scelta del sottoscrittore, senza particolari limiti di tempo. Questo pass ci ha concesso grande libertà, e lo rifaremmo, se dovessimo avere la fortuna di tornare a NY. Ma torniamo a noi (che tanto poi non torniamo mai nei posti che visitiamo). Entriamo piuttosto rapidamente dato che gli ingressi sono scaglionati, e saliamo in pochi secondi al 100esimo piano.

L’Edge è una terrazza panoramica triangolare sospesa nel vuoto a oltre 300 metri d’altezza, con una piccola porzione di pavimento a vetro. Le vetrate dividono la folla dal vuoto, e per eluderne l’ostacolo si possono salire le scale oltre cui la visuale è talmente pulita e libera da filtri da generare stordimento. Siamo fortunati, il tramonto inizia proprio in questo istante a calare il suo sipario multicolore. Le tinte del cielo limpido di questo venerdì newyorkese mutano intensità davanti ai nostri occhi, Manhattan da quassù è una meraviglia, e io e Francy siamo sbalorditi, perché un po’ te lo aspetti ma poi è effettivamente impressionante ammirare le mille luci di New York da un simile punto di vista. La folla è numerosa anche quassù, ma c’è spazio per tutti, e gli spiragli si aprono e si chiudono con frequenza, lasciando a ciascuno modo di respirare lo stupore di una tale visione. Lo stupore è una sensazione preziosa, lo stupore è vita.

Più la notte invade il proscenio e più mi aspetto di veder sfrecciare davanti a me le auto volanti di Blade Runner, di cui questa scena sembra l’incipit. E’ fantascienza, è un sogno al cloro che rimescola materia onirica e cinematografica, è un luna park a perdita d’occhio, una foresta di sequoie di vetro e d’acciaio, una distesa di luci e bagliori nel buio.

Forse è persino troppo per un viaggiatore come me, che ha visto un pezzettino di mondo ma rimane pur sempre un uomo da saloon, in cuor suo. Le grandi opere dell’uomo di norma mi sovrastano perché non le concepisco, ma sull’Edge la pellicola scorre diversamente e mi concede uno smarrimento ossigenato. Per Franci è diverso, lei hai il terrore delle altezze eccessive, e forse la sua euforia deriva dallo shock di quel terrazzo a precipizio sul mondo, mentre per il resto riesce a gestire lo spettacolo con più classe e disinvoltura.

Ma la fatica inizia a farsi sentire, a prevalere sullo stupore, sono le 22 ormai e quindi le 4 del mattino del giorno dopo per noi. Ergo, siamo a spasso da 24 ore, e il crollo è dietro l’angolo. Scendiamo dalla giostra e decidiamo di mangiare due piatti di verdure miste in uno dei market in cui ci si può anche sedere. Usciamo di scena in dissolvenza rapida, le fauci del Marriott ci fagocitano, in camera perdiamo i sensi in pochi istanti, nel silenzio ovattato della perdita di sè.

PORTOGALLO ON THE ROAD Racconto di viaggio

In evidenza

Posted by osteriacinematografo in immagini, Pensieri, Storie, Viaggi

≈ Lascia un commento

Tag

Cronache e Storie d'Osteria

Cap.8 – The end

Venerdì. Scappiamo dalla casa mobile di Santiago do Cacem senza rancore, proseguiamo verso nord infilandoci nella striscia di terra e sabbia che insiste davanti Setubal. Lungo la strada incontriamo paesini anonimi, ma di uno mi colpisce il nome: Deixa o resto, ovvero Lascia il resto, un invito curioso per una cittadina, che mi porta indietro negli anni al primo viaggio negli Stati Uniti, quando io e Francesca incrociammo un paese chiamato Truth or consequences, esattamente fra Las Cruces ed Albuquerque, in New Mexico. Sono nomi che non si dimenticano più, per quanto poi la memoria si fermi lì.

Arriviamo al mare e visitiamo due spiagge: praia da Malha da Costa e praia da Costa da Galè. Qui la sabbia è bianca e finissima, il mare più caldo, le acque caraibiche. Tutto bello, tutto selvaggio, ma mancano le infrastrutture utili a spezzare un po’ la monotonia della spiaggia, per chi, come noi, non riesce a stazionare in spiaggia senza far nulla oltre il minimo indispensabile. Così ci facciamo due passi che diventano duemila per percorrere la striscia di sabbia fino all’estremo settentrione, dove troviamo la più frequentata praia da Troia Galè.

Questo luogo merita una riflessione, perché al di là della mancanza di ogni tipo di servizio, a ridosso di queste splendide spiagge è in corso una cementificazione selvaggia, ma di lusso, tanto da far pensare che nel giro di pochi anni queste spiagge saranno appannaggio di pochi. Già ora l’ingresso è suddiviso fra owners e visitors, un ragazzo segna il numero di quanti entrano ed escono, quasi sia in corso un’indagine statistica utile a rilevare il flusso effettivo di persone in loco. Tutto lascia presumere che la speculazione edilizia in essere produrrà un piccolo paradiso per pochi eletti, perché la zona si presta ed è posizionata in modo strategico.

Mandiamo in frantumi la monotonia di quella bellezza illusoria e apparentemente virtuale, dato che le spiagge sembrano quelle di Valerian, un film/videogame che mi è capitato di vedere coi bambini, e ci mettiamo alla ricerca di un’altra spiaggia o di un bosco o di una possibile via di fuga. A pochi passi dal parcheggio c’è un traghetto già pronto a salpare per Setubal. Venti minuti e siamo di là. Sbrighiamo alcune urgenze e ci fermiamo a pranzo in una trattoria che pare il Boschetto di Diego. Mangiamo in questa allegra baraonda di cui inizialmente non comprendiamo i meccanismi e poi ci dirigiamo verso la nostra ultima tappa, che è un camping di bungalow immersi nel parco naturale di Arrabida. Il posto è perfetto per noi, decidiamo di fermarci lì e goderci la natura, l’ultimo tramonto portoghese e un bel piatto di pasta.

Sabato. 5 del mattino. E’ ora di andare. Restituiamo la macchina, imbarchiamo il bagaglio, stavolta va tutto liscio, a parte le file bibliche cui ci costringe Ryanair sia in fase di imbarco che di ritiro bagagli. Di voli ne abbiamo tanti sulle spalle, ma i due atterraggi di questo viaggio non sono stati dei migliori, forse a causa del vento. Scendiamo a Bologna e ci aspira un caldo soffocante cui non eravamo più abituati. La cappa della grande pianura termina all’altezza di Rimini più o meno. Il cielo si fa limpido e l’aria più fresca. Mentre guido non faccio che pensare alle prossime opzioni di viaggio, a dove puntare il dito sul mappamondo, a cosa sognare nei prossimi mesi per respirare bene e mantenere una prospettiva profonda. Qualche idea credo di averla già

Chiudo con un breve ma significativo resoconto finale, valido per ciascun membro del viaggio, eccezion fatta per poche sporadiche sortite di Irene sulla mia schiena:

km percorsi a piedi in 15 giorni: 113;

km percorsi in bicicletta a Lisbona in una giornata di sole: 34;

km percorsi in automobile sul territorio portoghese in 11 giorni: 2135.

PORTOGALLO ON THE ROAD Racconto di viaggio a puntate

In evidenza

Posted by osteriacinematografo in immagini, Pensieri, Storie, Viaggi

≈ Lascia un commento

Tag

Cronache e Storie d'Osteria

CAP.7 – Algarve – Sarges – Praia de Dona Ana – Praia Beliche – Praia Marthinal – Praia Amado

Apro il capitolo con una nota introduttiva sull’Algarve, premettendo che no, non sono un patito del mare. Prediligo altri tipi di ambienti naturali di norma. Ma non puoi non visitare l’Algarve, se decidi di girarti il Portogallo da nord a sud. L’Algarve è allegria pura, soprattutto nella parte più occidentale e selvaggia, dove si possono godere spazi immensi e persone speciali, che trasmettono energia positiva. Un luogo per cui le immagini parlano più e meglio delle parole.

E’ una terra costantemente sferzata da venti impetuosi, che insinuano ovunque la sabbia finissima ma coriacea, producendo un effetto simile al ticchettio martellante di una tempesta di neve e ghiaccio in alta montagna. Queste coste in alcuni frangenti non hanno nulla da invidiare alle scogliere sudafricane o irlandesi, di cui probabilmente rappresentano la giusta miscela. Il taglio nettissimo, le forma allungate, la maestosità, e poi le immense spiagge di sabbia sono elementi ricorrenti.

L’acqua è spesso freddissima, la temperatura atmosferica è godibile come del resto nel resto del Portogallo, ma qui il sole sembra stendersi e deflagrare sopra ogni cosa, fino a divorare in modo famelico ogni millimetro di superficie disponibile. Sole e vento spingono il viaggiatore a godersi un territorio a tratti ostile da punti di vista privilegiati, siano essi grotte, baracche, ristorantini, o caleidoscopici chiringuitos, che somigliano a visioni sciamaniche nel momento stesso in cui entrano nella dimensione dei ricordi.

Mercoledì. Il gestore del b&b Andmar è un ragazzo gentilissimo e ci fermiamo spesso a fare due chiacchiere con lui. La colazione che propone è squisita, i prodotti sono freschi e variegati, la salsa guacamole è da urlo, e non manca una doggy bag da portare in spiaggia per pranzo. Per la prima mattinata in zona scegliamo due calette sotto Lagos, molto belle e ricche di passaggi da perlustrare.

Passiamo ore piacevoli a praia de Dona Ana, facciamo il bagno, chi più chi meno, ma non reggiamo il sole del sud e alterniamo spiaggia e chiringuto sia nel pomeriggio che il giorno dopo, girovagando per spiagge stupende, come Beliche e Martinhal. Visitiamo il faro di Cabo de Sao Vicente e ci infiliamo in qualche allegra bottega in zona, dove ognuno di noi si concede un piccolo acquisto.

Concludiamo il nostro tour marittimo a Praia Amado, la più bella in assoluto fra quelle visitate, per l’atmosfera rilassata che si può respirare a pieni polmoni da quelle parti. I surfisti punteggiano l’oceano in quel disordine organizzato che è difficile comprendere per noi profani. Da lontano sembra un branco di foche, poi li vedi che galleggiano e si barcamenano e chiacchierano leggeri in attesa dell’onda giusta, col sole enorme a campeggiare alle loro spalle e il vento che domina ogni recesso ed agita il mare.

Poi persone e cani che vagano senza una direzione precisa, un po’ come il vento, bimbi che giocano e si rotolano, il blu intenso dell’Atlantico che quasi stordisce per la sua vastità. Il chiosco in cima al promontorio, in cui regna la felicità. Tutti ridono o sorridono, dai baristi agli avventori più o meno trasandati che si alternano a bancone alla rinfusa. Qui sembra non esistere alcuna forma d’ansia, qui non sembra esserci domani, è un oggi eterno, la cui consistenza, forse effimera, è dettata dal panorama che incanta e chiude chiunque dentro la bolla delle possibilità infinite. Nulla è precluso, forse nulla serve.

Mi piace immaginare le persone ad Amado -tuttora e sempre- intente soltanto a divertirsi e parlare di niente, di quel niente così pieno da contenere verità oceaniche. Finito l’incanto, urge la nostra contingenza che impone di proseguire verso nord. Ci attende un bel posto ma una casa mobile assai fatiscente, da cui ci affrettiamo a togliere le tende in fretta, l’indomani.

Retrobottega d’Osteria

africa art blog Cronache e Storie d'Osteria dailyprompt dailyprompt-2067 Fermo Immagine Galleria Il Consiglio dell'Oste italy L'Oste deluso letteratura mare news Parole Pensieri photography Poesie Prima del volo senza-categoria Soundtrack Titoli di testa travel turismo Viaggi

Top Posts & Pages

  • Goncarov, Ivan Aleksandrovic
  • Lord Byron, Villa Diodati, Inland Empire
  • Meridiano di sangue
  • THE EDGE OF LOVE - John Maybury
  • Oblomov
  • I Grandi Classici
  • "Il tempo non è che il ruscello dove io vado a pesca"

Sottoscala d’Osteria

ArchiviOsteria

AlmanaccOsteria

settembre: 2023
L M M G V S D
 123
45678910
11121314151617
18192021222324
252627282930  
« Ago   Ott »

Enter your email address to follow this blog and receive notifications of new posts by email.

Pagine

  • 6 DAYS IN NEW YORK
    • MOMA – Selezione d’Osteria
  • FilmOsteria
    • A SERIOUS MAN – Joel Coen, Ethan Coen
    • ALMANYA – Yasemin Samdereli
    • AVATAR – James Cameron
      • La maschera
    • BLADE RUNNER 2049 – DENIS VILLENEUVE
    • DARK SHADOWS – Tim Burton
    • DJANGO UNCHAINED – Quentin Tarantino
    • DOPO IL MATRIMONIO – Susanne Bier
    • E ORA DOVE ANDIAMO? – Nadine Labaki
    • HUGO CABRET – Martin Scorsese
      • Georges Meliès e la magia del cinematografo
    • HUNGER – Steve McQueen
      • 5 maggio 1981
    • IL CAVALIERE OSCURO – IL RITORNO – Christopher Nolan
    • IL GRANDE CAPO – Lars von Trier
    • L’AMORE CHE RESTA – Gus Van Sant
    • L’ARTE DI VINCERE (MONEYBALL) – Bennett Miller
    • LA PARTE DEGLI ANGELI – Ken Loach
    • LA PELLE CHE ABITO – Pedro Almodovar
    • LA TALPA (TINKER TAILOR SOLDIER SPY) – Tomas Alfredson
    • LE CENERI DI ANGELA – Alan Parker
    • MARIGOLD HOTEL – John Madden
    • MARILYN – Simon Curtis
    • MILLENNIUM – UOMINI CHE ODIANO LE DONNE – David Fincher
    • MIRACOLO A LE HAVRE – Aki Kaurismaki
    • PARADISO AMARO (THE DESCENDANTS) – Alexander Payne
    • PICCOLE BUGIE TRA AMICI – Guillaume Canet
    • REDACTED – Brian De Palma
      • Nemici immaginari – Dall’Iraq a Buzzati e ritorno
    • RUGGINE – Daniele Gaglianone
    • THE EDGE OF LOVE – John Maybury
    • THE HELP – Tate Taylor
      • Il fascino sottile dell’intolleranza
    • THE IRON LADY – Phyllida Lloyd
    • THIS MUST BE THE PLACE – Paolo Sorrentino
    • UNA SEPARAZIONE – Asghar Farhadi
    • VENTO DI PRIMAVERA – Rose Bosch
    • WARRIOR – Gavin O’Connor
  • I Grandi Classici
    • A history of violence
    • Amour
    • Casinò
    • Easy rider
    • Eyes wide shut
      • La tana del Bianconiglio
    • La città incantata
      • Paragone acrobatico con il mito di Orfeo ed Euridice
    • Schindler’s list
    • The artist
  • Il precipizio
    • Andy Kaufman – Man on the moon
    • Antonio Sampaolesi – Mio nonno, il mio idolo.
    • Caccia sadica
    • Central Park
    • Cigolante vetustà
    • Compenetrante Simbiosi Nordica
    • Cosmogonia d’Osteria
    • Crisi gravitazionale
    • Da Zachar a Wall-E in pilota automatico
    • E-voluzione
    • Effetto Domino
    • Follia o rivelazione?
    • Freccia rossa
    • Fuga d’ombre nel capanno
    • Generi cinematografici
    • I cantanti
    • Il pelo del pile
    • Il Visa
    • Inchiostro
    • L’Estetica del Toro
    • L’incontro
    • La chimica del mare
    • La fine 1.0
    • Magma dal retrobottega
    • Mezzosogno
    • Mine vaganti su Skyfall – L’altalena delle aspettative
      • Assenza di aspettative – Mine vaganti
      • Overdose di aspettative – Skyfall
    • Mostri alati
    • Nonna Jole
    • Nonno Dino e il bambino che è in me
    • Prima del tempo
    • puntofisso.com ovvero Il colloquio
    • Salomon
    • Sogni & Catapulte
    • Sotto/Sopra
    • Terza fase
    • The Nightmare before Christmas – Reloaded
    • Tuta alare
  • L’Atlante delle Nuvole
    • Brazil
      • Soldatini di plastica
    • Cloud atlas
      • Tutto è connesso – Odissea nella coscienza unificata
    • Faust
    • Melancholia
      • E d’improvviso Jung
    • Mulholland drive
    • Stay
    • The imaginarium of Doctor Parnassus
      • Oltre lo specchio
    • The lobster
    • The tree of life
  • Once upon a time
    • The Adam Show – Una favola moderna per bambini precoci
      • Atto I
      • Atto II
      • Atto III
      • Atto IV
      • Atto V
  • Photo buffet
    • Antelope Canyon
    • C’era una volta un ghiacciaio
    • Cattedrali nel deserto
    • Children of Lesotho
    • Cold beer
    • Duddingston Village
    • Evoluzione Alentejana
    • Grandpa riding
    • La isla del viento
    • Libera Sopravvivenza
    • Opi-Wan KenOpi
    • Pipò – Il Cane Guida
    • Satara – After lunch
    • Spanish patrol
    • Swazi Stand (Commerce and Laughters)
    • Un giorno al Pincio
    • Under the Golden Horn Metro Bridge – Istanbul
    • White Sands
    • Zabriskie Point – Sunrise
  • Portogallo on the road
  • Pubblicazioni
  • Singolar tenzone
    • 1883 – Epopea migratoria
    • Auster, Paul
      • Moon Palace
      • Viaggi nello scriptorium
    • Baudelaire, Charles
      • I fiori del male
    • Buzzati, Dino
      • Il deserto dei Tartari
    • Cicerone, Marco Tullio
      • L’amicizia
    • Consoli, Carmen
      • Sud est
    • Dalla, Lucio
      • Com’è profondo il mare
    • De Filippo, Edoardo
      • Cos’e nient
    • De Gregori, Francesco
      • Un guanto
    • Dickens, Charles
      • Il nostro comune amico
    • Fitzgerald, Francis Scott
      • Tenera è la notte
    • Flaubert, Gustav
      • Memorie di un pazzo
    • Genna, Giuseppe
      • Italia de profundis
    • Ginsberg, Allen
      • L’urlo
    • Goncarov, Ivan Aleksandrovic
      • Oblomov
    • Grass, Gunter
      • Il tamburo di latta
      • La ratta
    • Guerra, Tonino
      • I bu (I buoi)
    • Hesse, Herman
      • Il piacere dell’ozio
    • Jung, Carl Gustav
      • L’io e l’inconscio
    • Kristof, Agota
      • Trilogia della città di K. – La terza menzogna
    • Levi-Montalcini, Rita
      • Collana di Perle (Libera raccolta d’Osteria)
    • Lynch, David Keith
      • In acque profonde
    • Manzarek, Raymond Daniel
      • Light my fire – My life with Jim Morrison
    • Maugham, William Somerset
      • La luna e sei soldi
    • McCarthy, Cormac
      • Meridiano di sangue
      • Suttree
    • Morrison, James Douglas
      • Le poesie hanno i lupi dentro
      • Sono tornato
      • The crystal ship
    • Musil, Robert
      • L’uomo senza qualità
    • Nabokov, Vladimir
      • La vera storia di Sebastian Knight
      • Parla, ricordo
    • Paasilinna, Arto
      • Piccoli suicidi tra amici
    • Pessoa, Fernando
      • Il libro dell’inquietudine
    • Quasimodo, Salvatore
      • L’uomo e la poesia
    • Rimbaud, Arthur
      • Carreggiate
    • Salustri, Carlo Alberto
      • La cornacchia libberale
    • Schnitzler, Arthur
      • Doppio sogno
    • Steinbeck, John
      • Al Dio sconosciuto
      • Furore
      • La valle dell’Eden
    • Thomas, Dylan
      • Distesi sulla sabbia
    • Thoreau, Henry David
      • Walden ovvero vita nei boschi
  • Staff
  • The Program
  • Tolstoj
    • Anna Karénina
      • Scena di caccia
  • Vademecum

Blog su WordPress.com.

  • Abbonati Abbonato
    • osteriacinematografo
    • Unisciti ad altri 54 abbonati
    • Hai già un account WordPress.com? Accedi ora.
    • osteriacinematografo
    • Abbonati Abbonato
    • Registrati
    • Accedi
    • Segnala questo contenuto
    • Visualizza sito nel Reader
    • Gestisci gli abbonamenti
    • Riduci la barra
 

Caricamento commenti...