Scene da ricordare
18 mercoledì Lug 2012
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18 mercoledì Lug 2012
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“Shame”, opera seconda del regista inglese Steve McQueen, è l’impietosa e glaciale rappresentazione cinematografica della vita di Brandon, un controverso single newyorkese: da un lato è un brillante e disinvolto uomo d’affari, dall’altro una persona arida e solitaria, incapace di coinvolgimenti emotivi, dedita al sesso in modo compulsivo e incontrollabile. Brandon conduce un’esistenza asettica e squallida, in cui il sesso viene vissuto e “utilizzato”come valvola di sfogo, come unico linguaggio possibile, come via di fuga da un tempo che diviene schiavitù, come frenesia di colmare un vuoto costante e impossibilità di affrontare affettivamente una relazione. L’uomo riduce ogni cosa all’atto sessuale, atto nel quale inizia e termina ogni suo rapporto con il prossimo (e forse con se stesso).
Brandon posa il suo sguardo languido su ogni donna, e, nella “maledizione” che lo condanna, l’impersonale universo femminile cui si rivolge capta inevitabilmente quel suo contorto e irresistibile magnetismo di segno negativo. Le prostitute rappresentano la spezia ideale, che concede di vivere rapidamente e intensamente la carnalità senza il boomerang di un rapporto umano che lui non potrebbe sostenere.
Egli tollera a stento perfino il torbido rapporto con la sorella (Carey Mulligan), una giovane e fragile donna, il cui bisogno estremo di affettività la spinge a concedersi a uomini cui vorrebbe affidare la vita stessa. Anche lei utilizza il sesso in modo istintivo, ma le sue motivazioni sono opposte rispetto al fratello: per Sissy, questo tipo di approccio rappresenta uno strumento di accesso facilitato alle persone cui vorrebbe legarsi, in un procedimento illusorio che diviene l’anticamera dell’autolesionismo.
Michael Fassbender interpreta magistralmente il protagonista del film, prestando ogni singola piega espressiva del viso e del corpo a un personaggio complicato, fastidioso, irrisolto.
Il sesso, in “Shame”, diventa dolore e assuefazione, impedisce di sentire, amare, corrispondere, costringendo ai gesti più estremi, agli ambienti più infimi, all’evidenza del rischio, alle prove più assurde, a visi sconosciuti e inconoscibili, in una città come New York che tutto permette e nasconde, che non pone limiti di coscienza, che muta ad ogni angolo, che consente di agire senza pause, di non smettere mai, di indossare ogni giorno una nuova maschera senza complicazioni di sorta.
McQueen mostra Brandon e Sissy come le due facce arrugginite della stessa medaglia, che nasconde a fatica i segni di un’usura profonda e remota, legata forse all’infanzia, che s’intravede appena, come un’ombra pallida e indefinibile.
Il finale resta sospeso nello sguardo tentennante e metropolitano di Fassbender e in un corpo femminile che vacilla e freme, prima che la vicenda sprofondi nel tetro abisso della solitudine da cui era emerso.
11 mercoledì Lug 2012
Posted in Dogma
Ogni parola immersa nel liquido amniotico d’Osteria scaturisce da un’insaziabile brama di conoscere, vedere, immaginare, assorbire e poi tradurre in lettere. E’ la curiosità a muovere il meccanismo, a non dare tregua, a ingenerare uno scambio osmotico implacabile fra la Persona e il Sè (indi fra l’Oste e il Sè), ad alimentare il flusso delle idee che prima dilata e infine colma il divario di concentrazione in essere fra concetto ed opera.
09 lunedì Lug 2012
Posted in Pensieri
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06 venerdì Lug 2012
Posted in Soundtrack
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E se tu la credevi vendetta
il fosforo di guardia
segnalava la tua urgenza di potere
mentre ti emozionavi nel ruolo più eccitante della legge
quello che non protegge la parte del boia.

Fabrizio De Andrè (1940-1999), sommo poeta, cantautore,
lungimirante e visionario interprete di una società in versi
Imputato,
il dito più lungo della tua mano
è il medio
quello della mia
è l’indice,
eppure anche tu hai giudicato.
Hai assolto e hai condannato
al di sopra di me,
ma al di sopra di me,
per quello che hai fatto,
per come lo hai rinnovato
il potere ti è grato.
Ascolta
una volta un giudice come me
giudicò chi gli aveva dettato la legge:
prima cambiarono il giudice
e subito dopo
la legge.
Oggi, un giudice come me,
lo chiede al potere se può giudicare.
Tu sei il potere.
Vuoi essere giudicato?
Vuoi essere assolto o condannato?
04 mercoledì Lug 2012
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L’attrice inglese Judy Dench, magnifica nell’ultimo film di John Madden, 04 mercoledì Lug 2012
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“Marigold hotel”, del regista britannico John Madden, racconta la storia di sette inglesi attempati che decidono per i motivi più disparati di recarsi in India per trascorrere i loro ultimi anni di vita in un mondo antitetico alla sobria e ordinata Inghilterra.
Evelyn (Judy Dench) è una vedova che deve fare i conti con i debiti del marito, e che compie la prima scelta “indipendente” della sua esistenza; Muriel (Maggie Smith) è una ex governante rigida e xenofoba, alle prese con un intervento al femore che sceglie di fare a Mumbai per ovviare alle liste d’attesa inglesi; Graham (Tom Wilkinson) è un giudice in pensione omosessuale con un passato misterioso in India; Douglas e Jean (Bill Nighy e Penelope Wilton) sono una coppia in crisi dopo quarant’anni di matrimonio; Norman e Madge (Ronald Pickup e Celia Imrie) sono due single alla perpetua ricerca di una nuova avventura.
Le vite e le vicende di questi individui s’intrecciano nel cuore pulsante del Rajasthan, al Marigold Hotel, una struttura gestita dal giovane e maldestro Sonny (Dev Patel), che si rivela ben presto più fatiscente di quanto il titolare sostenesse: il Marigold è infatti un palazzo esotico e affascinante, ma in evidente stato di degrado.I protagonisti si trovano immersi in una realtà inimmaginabile, storditi dai colori, dai sapori e dagli odori di una terra travolgente che accosta un’intensa spiritualità a un caos ininterrotto, che vede cadenti baracche a ridosso di strutture opulenti e modernissime.
“Come i fringuelli di Darwin, ci stiamo lentamente adattando all’ambiente circostante, e chi riesce ad adattarsi, mio dio, quanta ricchezza trova! Il passato non torna più, non importa quanto lo desideri, resta solo un presente che prende forma mano a mano che il passato si ritira”- scrive Evelyn nel suo blog, ponendo l’accento sullo spirito di adattamento necessario ad affrontare ogni cambiamento.
03 martedì Lug 2012
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29 venerdì Giu 2012
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27 mercoledì Giu 2012
Posted in Poesie
Mare Luna.
Il tramonto non si placa.
Torsi nudi in torretta d’avvistamento.
Emersione cementificata.
Cielo aperto a doppio malto.
E vasi deflorati in successione libera.
Lungomare.
Il convivio prende forma.
Paglierino,
il vino dei castelli cavalca la brezza estiva.
Il piacere del vento all’imbrunire.
Le magiche atmosfere neorealiste.
Gli scatti da rivista patinata.
E un palco d’avanspettacolo.
22 venerdì Giu 2012
Posted in Pensieri
I Diodati furono un’eminente famiglia di Lucca.
A causa della loro adesione alla riforma protestante, nel sedicesimo secolo furono costretti all’esilio a Ginevra, assieme ad altri intellettuali lucchesi.
La loro residenza svizzera è conosciuta come Villa Diodati.
Nell’aprile del 1816 , il poeta inglese George Gordon Byron, meglio noto come Lord Byron, fu costretto a lasciare l’Inghilterra, a causa degli scandali provocati da una relazione incestuosa prima e da una omosessuale poi. Iniziò a viaggiare per l’Europa, accompagnato da John Polidori, suo medico personale. I due, nello stesso anno, giunsero a Ginevra, dove Lord Byron prese in affitto Villa Diodati. In quel periodo si trovavano a Ginevra anche il poeta Percy Bisshe Shelley, la fidanzata Mary Godwin Wollstonecraft e la sorella di lei, Claire.
Accadde così che l’assortito quintetto si trovasse sovente a trascorrere del tempo insieme a Villa Diodati; durante il soggiorno in questione, Claire rimase incinta di Byron: nacque così Allegra, che venne ben presto lasciata dal padre in un convento romagnolo, dove morì in tenera età.
Ma non è la vicenda che ci interessa in questa sede. Come detto, le succitate persone trascorsero discreti lassi di tempo nella dimora dei Diodati: riempirono quel tempo leggendo romanzi dell’orrore . In una sera di giugno una tempesta li costrinse in casa, e Byron, forse per ovviare alla noia, propose ai suoi improvvisati coinquilini di scrivere di proprio pugno delle storie surreali.
John Polidori, ispirandosi allo stesso Byron, scrisse una storia che sarà poi intitolata “Il vampiro”, la prima opera letteraria di sempre a narrare delle affascinanti creature della notte: l’invenzione di Polidori inaugura un genere che verrà poi riprodotto, ripensato, riscritto nelle forme più disparate fino ai giorni nostri, fino a divenire uno dei soggetti più popolari e riletti nella storia della letteratura e del cinema. Il successo de “Il vampiro” sarà immediato, ma mitigato in Inghilterra della falsa notizia che l’autore fosse Byron stesso, all’epoca contestatissimo in patria.
In quella magica e fertile notte, la signorina Mary Godwin Wollstonecraft, appena diciannovenne, ideerà l’altrettanto celebre personaggio di Frankenstein; poco tempo dopo, la medesima signorina sposerà Percy Bisshe Shelley, divenendo Mary Shelley, il nome con cui è giunta fino a noi.
E’ curioso pensare che le figure del vampiro, capostipite di Dracula e Nosferatu, e di Frankenstein vennero partorite nell’arco di poche ore e nello stesso luogo, una villa svizzera abitata dagli esuli di terre diverse in epoche fra loro lontane, un luogo in cui cinque persone condivisero un tempo brevissimo ma significativo.
John Polidori e Mary Shelley non potevano sapere, allora, quanto fossero rilevanti le loro invenzioni per l’immaginario collettivo del presente e del futuro: le storie che scaturirono da quella notte in tempesta continuano ancora oggi a popolare ogni possibile forma artistica, dopo aver nutrito incessantemente il lato più oscuro e recondito delle fantasie umane.
L’impero della mente, il potere che tutto muove.
13 mercoledì Giu 2012
Posted in Jung Carl Gustav
La nostra vita è la stessa che è sempre stata in eterno; è tutto fuor che effimera, nel senso nostro, perchè i medesimi processi fisiologici e psicologici propri dell’uomo da migliaia di anni durano tuttora e danno al sentimento interiore la profonda intuizione della “eterna” continuità di quel che vive. Ma il nostro Sè, quale compendio del nostro sistema vivente, non soltanto contiene il deposito e la somma di tutta la vita vissuta, ma è anche il punto di partenza, il terreno materno gravido di tutta la vita futura, il presentimento della quale è intimamente altrettanto chiaro quanto l’aspetto storico. Da questo fondamento psicologico proviene legittimamente l’idea dell’immortalità.