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Lettera a Monica Vitti

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Cronache e Storie d'Osteria

Ciao Monica,

ti scrivo per dirti che non mi interessa la tua età, non mi interessa che fai, con chi sei o dove vivi, anche se spero che te la passi bene, e che ti godi la vita come meglio puoi. No, qui non c’entra il tempo, il tempo non conta, conti solamente tu, conta quello che rappresenti per me e per una miriade di persone che forse nemmeno ti immagini.

Monica Vitti - 1968Eri la mia preferita a cinque anni, perchè mi facevi ridere, e lo sei anche adesso che ne ho quaranta, perchè ho potuto capire meglio con chi avevo a che fare. Si, perchè la sensazione è di aver condiviso qualcosa di importante, per quanto hai dato di te al mondo. Sei un’artista straordinaria e una donna vera, che può cavarsela benissimo tra straccioni e poveracci in una bettola di quart’ordine o a un gran galà con la meglio gente. Ti vorrei dire che mi manchi, in senso romantico, ma non posso perchè sei dappertutto, perchè hai prestato il corpo, il viso, la voce e la tua più intima essenza ai sogni di chi, come me, è cresciuto coi tuoi film. Il fatto è questo: sei la più grande di sempre, la mia preferita, e ci tenevo a ringraziarti per la generosità, la classe, la genuinità, la maestria dimostrate negli anni. Rendi onore al cinema e alla vita, alle donne ma anche agli uomini, al punto che il tempo diventa inutile, e non può farci niente, tanto che con te si arrende: e così -come fosse uno di noi- si ferma e ti osserva ridere piangere danzare cantare incarnare tutte le forme e le espressioni umane fino a perdere la cognizione di sè.

Ti abbraccio

S

Joan Mirò

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L'oro dell'azzurro

L’oro dell’azzurro – 1967

Antonio Sampaolesi – Mio nonno, il mio idolo.

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Cronache e Storie d'Osteria

Storie e Personaggi d’Osteria

“Siamo ogni persona, ogni cosa la cui esistenza ci abbia influenzato o che la nostra esistenza abbia influenzato, siamo tutto ciò che accade dopo che non esistiamo più e ciò che non sarebbe accaduto se non fossimo mai esistiti” (Almanya).

Antonio Sampaolesi

Antonio Sampaolesi (1909-1990)

Mio nonno Antonio era un personaggio interessante. Perito tecnico e agrario, il Commendator Sampaolesi è stato socio fondatore della Federazione Italiana Coltivatori Diretti e, dopo la guerra, Presidente Nazionale degli agenti di consorzio agrario. Mente ardita e inquieta, fondò la I.M.A. Sampaolesi, industria di macchine agricole all’avanguardia -tuttora operante sotto la direzione di una nuova proprietà. Fu anche sindaco di Ostra Vetere, il comune in cui risiedeva. Io l’ho conosciuto nelle vesti di nonno attento e affettuoso, per quanto fosse sempre indaffarato a leggere e scrivere chissà che cosa, e non ho saputo chi fosse realmente se non dopo la sua morte, avvenuta quando avevo 15 anni. Ho trascorso buona parte della mia infanzia con lui. Uno dei miei primi ricordi in assoluto lo riguarda: nel breve periodo che ho passato all’asilo, lui stava in piedi, immobile, in fondo al giardino che delimitava il Negromanti. Mi osservava senza lasciarmi, e io osservavo lui. I miei coetanei mi interessavano relativamente, e a sprazzi: non potevano reggere il confronto con nonno Antonino. E così combinai ogni tipo di mascalzonata per far capire che non ero tagliato per l’asilo. E riuscii nell’intento di trascorrere tante mattine con nonno, tra una passeggiata e una commissione. Un periodo impresso in modo indelebile nella parte di me in cui riposa la dimensione infantile. Nonno emanava carisma e otteneva il mio rispetto senza bisogno di manifestare alcuna autorità; i suoi baffi odoravano di tabacco, storpiava i nomi delle cose per farmi ridere e mi voleva un bene che sento addosso tuttora, un bene che è arrivato fin qui, un bene ciclico, che saprò rendere a chi di dovere: d’altra parte, per chi -come me, agnostico praticante- crede in una sorta di coscienza unificata, nulla è più importante del fatto che l’acqua di chi lascia continui a scorrere nell’alveo di chi resta. Nonno Antonino è semplicemente evaporato, e parte dell’acqua che si portava appresso l’ha lasciata a me.

Ciao nonno, ti voglio bene e ti penso ogni giorno, da allora.

After Dust Bowl

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FERMO IMMAGINE D’OSTERIA

AFTER DUST BOWL - South Dakota, 1936

AFTER DUST BOWL.  South Dakota, 1936.

Chiedi chi erano gli Okies

06 venerdì Nov 2015

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Cronache e Storie d'Osteria

Okies a San DiegoNegli anni 30 –sul solco tracciato dalla Grande Depressione americana del 1929- gli Stati Uniti sud-orientali furono teatro di una migrazione interna senza pari. Una migrazione imposta dall’azione combinata di banchieri privi di scrupoli e di grandi latifondisti, che sradicarono gradualmente i coloni dai propri territori con inganno, furbizia, violenza e false promesse.

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Le tempeste di sabbia che negli stessi anni imperversarono in quei territori (causate peraltro da decenni di agricoltura dissennata) rappresentarono  il colpo di grazia per una popolazione già ridotta alla fame. L’esodo verso la California, che rappresentava il miraggio dorato in cui riporre ogni speranza, raggiunse così proporzioni immani.

Madre migranteLa fotografa statunitense Dorothea Lange (1895-1965), seguì e documentò l’epopea di alcuni fra i tanti disperati che presero la via della west coast.

Dorothea Lange - Migranti“Ed ecco che” -scrisse John Steinbeck- “d’un tratto, nel Kansas e nell’Oklahoma, nel Texas e nel Nuovo Messico, nel Nevada e nell’Arkansas, le trattrici e la polvere si alleano per spodestare i coloni e cacciarli nel West. Ed ecco formarsi ed apparire le carovane dei nomadi: ventimila, centomila, duecentomila. Varcando le montagne si riversano nelle ricche vallate: tutti affamati, inquieti come formiche in cerca di cibo, avidi di lavoro, di qualunque lavoro”.

Okie children

Tali migranti vennero denominati “Okies” per via della provenienza dall’Oklahoma della maggior parte di essi. Ma il termine assunse ben presto il significato di “buzzurro” o “cafone” per via della miseria e del degrado in cui i migranti vissero, al loro arrivo nella terra promessa: in effetti erano stipati a centinaia in tendopoli fatiscenti e prive di qualsiasi servizio igienico. Una storia che ne ricorda tante altre, in ogni tempo.

CRONACHE E STORIE D’OSTERIA

Black beauty – Duke Ellington celebra Florence Mills

04 mercoledì Nov 2015

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Cronache e Storie d'Osteria, Soundtrack

Soundtrack / Cronache e Storie d’Osteria

Nel 1928 Duke Ellington (1899-1974), uno dei maggiori compositori jazz della storia, dedicò “Black beauty” a Florence Mills, artista scomparsa un anno prima a soli 32 anni.

Duke Ellington nel 1930

Duke Ellington nel 1930

Immagino senza fatica il suono cupo di questo magnifico pezzo blues uscire dagli apparecchi radiofonici dell’epoca, immagino Ellington e la sua band suonarlo ad Harlem, in locali densi di fumo, storie e odori del passato.

 

Florence Mills (1895-1927)

The Queen of Happiness

 

 

Una poesia in musica -“Black beauty”- un omaggio alla memoria di una grande artista: la Mills, attrice, ballerina e cantante di fama internazionale, nota come “The queen of happiness” per la verve che la caratterizzava sul palcoscenico, avrebbe accennato un sorriso e spalancato gli occhi se avesse ascoltato la nobile dedica di un jazzista del calibro di Duke Ellington.

 

Ma quella musica c’è, esiste, come filo conduttore, come forma di comunicazione che trascende la sfera delle possibilità conosciute. Forse Duke e Florence se la suonano e se la ballano, in un mondo soltanto sognato, in un recesso remoto della memoria condivisa degli uomini che furono, sono, saranno. Pensarlo lo rende vero, in un certo senso.

Black beauty  – youtube

The lobster

02 lunedì Nov 2015

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The lobster

Colin Farrell e Raquel Welch nell’ultimo film di Yorgos Lanthimos

 

The lobster

02 lunedì Nov 2015

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Titoli di testa

L’Atlante delle Nuvole

The lobster“The lobster” è un film/laboratorio del regista greco Yorgos Lanthimos, sviluppato su due binari che corrono in parallelo verso opposti modelli sociali:  da un lato la ricerca affannosa e forzata di un partner,  dall’altro la fuga spasmodica da ogni forma di legame.  I protagonisti devono scegliere la direzione prediletta in un contesto che si mantiene costantemente semiserio e grottesco.

The lobster

Gli spettatori/cavie osservano due ambienti, il “dentro” e il “fuori”, che insieme compongono un habitat complessivo oltre cui non sembra esistere altro. I due contesti sono uniti da una sola strada che sancisce una labile e approssimativa linea di confine.

Yorgos Lanthimos“Dentro” è una sorta di hotel di lusso, dove tutto è organizzato in modo maniacale e sistematico: attività imposte e per lo più inutili si succedono senza soluzione di continuità, così da non lasciare spazio e tempo residui a disposizione dei membri. Una situazione che tanto somiglia alle civiltà occidentali più frenetiche ed “evolute”, in cui persino l’umanità viene tecnicizzata.  “Dentro” occorre trovare qualcuno da amare entro un tempo stabilito per essere considerato membro a tutti gli effetti: le alternative sono la trasformazione in un animale a scelta o la fuga. Ogni individuo è pertanto indotto alla ricerca compulsiva di un elemento che lo accomuni a un’altro tanto da renderli affini:  non è difficile intuire come tanti siano spinti alla simulazione onde evitare la muta, e come quindi si scelga la via meno dolorosa, cioè una convivenza costruita, per evitare l’emarginazione dalla società. L’inganno, ove rivelato, conduce parimenti alla muta.

The lobster“Fuori” –nel bosco-  si è in apparenza liberi, ma è una libertà che si riduce ad una costrizione capovolta rispetto al primo sistema: in effetti la libertà è limitata allo stato brado in cui i membri vivono, poiché la regola in tal caso è la solitudine:  di primo acchito la conquista dell’emancipazione assume le sembianze di una catarsi, ma poi si rivela per quello che è, ovvero una nuova imposizione. Il divieto di allacciare relazioni rappresenta  l’ennesimo diktat, la condicio sine qua non di una trappola senza vie d’uscita. Le conseguenze di un approccio amoroso sono terribili menomazioni.

Segui l’aragosta oltre le nuvole

Via dalla pazza folla – Allarme Vinterberg

13 martedì Ott 2015

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L'Oste deluso

L’oste deluso

Via dalla pazza folla

“Via dalla pazza folla” non sembra un film di Thomas Vinterberg, per quanto l’evidenza delle cose non sia fatto opinabile. L’autore di grandi opere quali “Festen”, “Riunione di famiglia, “Il sospetto”, un così fine indagatore della psiche umana e delle sue storture, realizza una collezione di clichè senza pari, un trionfo di scontatezze a tal punto disarmante da condurre alla resa anche i più fervidi sostenitori del regista danese. Perchè riesumare il romanzo di Thomas Hardy per questa scialba trasposizione cinematografica? Perchè questo remake inutile? Cosa c’è di interessante in questo intreccio amoroso che vede coinvolti una volubile ereditiera, un pastore scoglionato, un ricco zitello fuori di testa e un soldato pazzo? Forse l’ambientazione vittoriana, la splendida campagna inglese, le prove di Sheen e della Mulligan, la fotografia degna di una tale natura, niente altro. Due ore sembrano due giorni, l’elettrocaridogramma dell’opera si mantiene assolutamente piatto, il film è privo di vita e di emozioni, e il finale sfocia in una banalità dai contorni persino comici: il pastore scoglionato incontra per caso l’ereditiera, le comunica con soddisfazione che è entrato nel coro della chiesa, che sta andando alle prove. Poi aggiunge che se ne va, che è lì per dirle addio, che all’alba partirà per l’America. Ma dico io, stai per partire per sempre per un viaggio epico, per cambiare terra e vita, e la sera prima vai alle prove del coro della chiesa? Non mi stupisco che una simile sceneggiatura venga proposta al grande pubblico, ma è sconcertante che sia Vinterberg a utilizzarla per una sua opera. E’ un mistero che può avere queste possibili soluzioni: una precoce e improvvisa demenza del regista; una forma di provocazione o un depistaggio; un incidente di percorso; una vecchia promessa fatta a uno sceneggiatore in crisi mistica. E’ per quest’ultima ipotesi che propendo.

Ho ucciso Napoleone – Micaela Ramazzotti

29 martedì Set 2015

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Diapositive d’Osteria

Ho ucciso Napoleone 4

Micaela Ramazzotti è l’attrice per antonomasia. Una donna nata per fare cinema. Il suo trasformismo ha un che di            perennemente autentico. L’assoluto controllo di sè corrisponde in effetti a una verace e carnale genuinità.                            E tale corrispondenza non può che stupire e terrorizzare l’uomo d’osteria.

Ho ucciso Napoleone – “Io sono così”

29 martedì Set 2015

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Il Consiglio dell'Oste

Il Consiglio dell’Oste

Ho ucciso Napoleone

Donna di ghiaccio. Solo lavoro. Nessun coinvolgimento emotivo. E poi, l’imprevisto. L’onta del licenziamento. Il mondo crolla. Napoleone muore. Tutto cambia. Solidarietà femminile.Vendetta e restaurazione dello status quo ante. Innamoramento e amore. No. Pia illusione. Vite camuffate. Macchinazioni impercettibili. Niente è come sembra. Il nemico è alle porte. Il nemico è ovunque. Il tempo aggiusta le cose (“A tutti i mali ci sono due rimedi: il tempo e il silenzio”). La donna di ghiaccio torna al lavoro. “Eh ma sei fai così te ricacciano!” “Io non faccio così, io sono così”, e la porta si chiude in faccia allo spettatore e al lungo giro che la protagonista si era imposta per ovviare a se stessa. Lo sguardo nuovo e transnazionale di Giorgia Farina. Il suo cinema trascende i confini geografici. I confini non esistono. Ineludibile è soltanto la personalità degli individui.      Un implacabile sciabordio che conserva identità e struttura. Anche nella tempesta.

La parole e l’azione: Roth versus Ibsen

28 giovedì Mag 2015

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Cronache e Storie d'Osteria, Parole, Pensieri

“Un migliaio di parole non lasciano un’impressione tanto profonda quanto una sola azione” – dichiarò sinteticamente il celebre drammaturgo norvegese Henrik Ibsen (1828-1906).

Joseph Roth, talento d'Osteria

Joseph Roth, talento d’Osteria

Lo scrittore austriaco Joseph Roth (1894-1939) la pensava diversamente. O meglio la pensava diversamente Golubcik/Krapotkin, eccelso protagonista del suo romanzo “Confessione di un assassino”:

“Solo molto più tardi ho imparato che le parole sono più potenti delle azioni, e spesso rido quando sento l’amata frase: “Fatti e non parole!”.Quanto sono deboli i fatti! Una parola rimane, un fatto passa! Di un fatto può essere autore anche un cane, ma una parola può essere pronunciata soltanto da un uomo. Il fatto, l’azione, è solo un fantasma se lo si confronta con la realtà, e persino con la realtà immateriale della parola.L’azione sta alla parola press’a poco come le ombre bidimensionali del cinema stanno all’uomo vivo tridimensionale, oppure, se preferite, come la fotografia all’originale. Anche per questo sono diventato un assassassino”.

Per aver sottovalutato il potere della parola, Golubcik entra a far parte dell’Ochrana, la terribile polizia segreta della Russia zarista, evento che influenzerà tutto il corso della sua vita, fino a saggiare “la più profonda di tutte le tragedie, la tragedia della banalità”.

Henrik Ibsen, padre della moderna drammaturgia

Henrik Ibsen, padre della moderna drammaturgia

La coincidenza di interessarsi contemporaneamente a due grandi autori conduce di rado a una simile evidenza: il contrasto dei concetti summenzionati è talmente evidente da indurmi alla conclusione che non posso decidere per l’uno o per l’altro. Oltretutto vari fattori limitano la portata delle rispettive idee: nel caso di Ibsen, il concetto è stringato e privo di un contesto più ampio che potrebbe chiarirne meglio il significato: potrebbe essere -ad esempio- un’amarezza personale ad aver spinto l’autore di “Spettri” a un considerazione che denigra a tal punto il potere della parola. Nel caso di Roth invece, il concetto è filtrato dal fatto che sia un suo personaggio, e non propriamente egli stesso, a concepirlo.

In conclusione, ritengo che parola e azione siano interdipendenti: si nutrono l’una dell’altra, si alimentano vicendevolmente, traggono senso e respiro ognuna dall’esistenza e dall’essenza dell’altra, e forse si smarrirebbero entrambe se cessasse lo scambio osmotico che ne caratterizza la relazione.

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    • MILLENNIUM – UOMINI CHE ODIANO LE DONNE – David Fincher
    • MIRACOLO A LE HAVRE – Aki Kaurismaki
    • PARADISO AMARO (THE DESCENDANTS) – Alexander Payne
    • PICCOLE BUGIE TRA AMICI – Guillaume Canet
    • REDACTED – Brian De Palma
      • Nemici immaginari – Dall’Iraq a Buzzati e ritorno
    • RUGGINE – Daniele Gaglianone
    • THE EDGE OF LOVE – John Maybury
    • THE HELP – Tate Taylor
      • Il fascino sottile dell’intolleranza
    • THE IRON LADY – Phyllida Lloyd
    • THIS MUST BE THE PLACE – Paolo Sorrentino
    • UNA SEPARAZIONE – Asghar Farhadi
    • VENTO DI PRIMAVERA – Rose Bosch
    • WARRIOR – Gavin O’Connor
  • I Grandi Classici
    • A history of violence
    • Amour
    • Casinò
    • Easy rider
    • Eyes wide shut
      • La tana del Bianconiglio
    • La città incantata
      • Paragone acrobatico con il mito di Orfeo ed Euridice
    • Schindler’s list
    • The artist
  • Il precipizio
    • Andy Kaufman – Man on the moon
    • Antonio Sampaolesi – Mio nonno, il mio idolo.
    • Caccia sadica
    • Central Park
    • Cigolante vetustà
    • Compenetrante Simbiosi Nordica
    • Cosmogonia d’Osteria
    • Crisi gravitazionale
    • Da Zachar a Wall-E in pilota automatico
    • E-voluzione
    • Effetto Domino
    • Follia o rivelazione?
    • Freccia rossa
    • Fuga d’ombre nel capanno
    • Generi cinematografici
    • I cantanti
    • Il pelo del pile
    • Il Visa
    • Inchiostro
    • L’Estetica del Toro
    • L’incontro
    • La chimica del mare
    • La fine 1.0
    • Magma dal retrobottega
    • Mezzosogno
    • Mine vaganti su Skyfall – L’altalena delle aspettative
      • Assenza di aspettative – Mine vaganti
      • Overdose di aspettative – Skyfall
    • Mostri alati
    • Nonna Jole
    • Nonno Dino e il bambino che è in me
    • Prima del tempo
    • puntofisso.com ovvero Il colloquio
    • Salomon
    • Sogni & Catapulte
    • Sotto/Sopra
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    • The Nightmare before Christmas – Reloaded
    • Tuta alare
  • L’Atlante delle Nuvole
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      • Tutto è connesso – Odissea nella coscienza unificata
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