Formazione classica: Papa, Mamma, Giamma, Iri
Giorno 1
INTRO
Sono un viaggiatore un po’ matto, ma meticoloso, almeno di norma. Leggo molto, studio la storia e le usanze di un Paese prima di visitarlo, mi leggo qualche libro, cerco diari di viaggio di viaggiatori a me assimilabili, mi informo sulla documentazione necessaria, su eventuali vaccini, mi occupo di modulare la giusta copertura assicurativa. Non avendo mai utilizzato agenzie di viaggio, organizzo ogni cosa personalmente, curo i dettagli, cerco di essere pronto ad eventuali imprevisti, e di avere le informazioni utili a mantenere freddezza sul campo di gioco. Ho una compagna in gamba e due figli piccoli: li abbiamo cresciuti senza mai pensare che potessero limitare le nostre possibilità. E in effetti, da quando ci sono Giamma e Iri, probabilmente viaggiamo persino più che in passato. Ogni anno cerco di avere uno sguardo vigile su ogni aspetto del viaggio.
LA VIRATA IMPROVVISA
Questo però è stato un anno duro dal punto di vista lavorativo e della gestione degli impegni dei bambini, e per di più, dopo il solito consulto familiare di dicembre, che segue alle mie proposte di viaggio, avevamo praticamente deciso di andare in Sri Lanka, per iniziare finalmente ad esplorare l’Asia. Poi, dopo essermi informato e confrontato su alcuni canali social con viaggiatori esperti di quelle terre, è emersa un’indicazione che mi ha preso in contropiede: guidare in Sri Lanka è da pazzi, e conviene affidarsi a un driver locale. Questo fattore, la cui portata in divenire si è ridimensionata notevolmente, insieme a uno speciale di Alberto Angela sulla Namibia che ci è capitato di vedere una sera d’inverno a casa, ci ha convinti a virare verso l’Africa all’ultimo giro di boa. La Namibia era già in cima alla nostra lista mentale di viaggi possibili, e il timore di perdere autonomia (io amo guidare in terra straniera) in Sri Lanka e lo spettacolo profuso dal nostro divulgatore scientifico preferito ci ha spinti a rompere gli indugi e a cambiare radicalmente programma a un passo dalla prenotazione del volo. Quindi non ho potuto dedicare il tempo che avrei voluto alla programmazione, e qualche dettaglio mi potrebbe essere sfuggito (forse).
FOCUS SULLA NAMIBIA
Per la Namibia mi sono focalizzato su:
- Volo comodo, e in tal senso Lufthansa è stata quasi una scelta obbligata. Partenza da Bologna con scalo a Francoforte;
- Noleggio 4×4 più che affidabile: ho letto che l’85% delle strade namibiane sono gravel road, strade di roccia, terra e sabbia: meglio affrontarle con un mezzo idoneo;
- Copertura vaccinale di base, evitando l’anti-malarico, dato che la nostra estate corrisponde all’inverno australe, e che attraverseremo territori per lo più desertici, tralasciando le parti più interne e umide del Kunene, le Epupa Falls e le Victoria Falls, che saranno oggetto di una futura missione con probabile base in Botswana;
- Rinnovo passaporti dei bambini, che ha comportato alcuni incidenti di percorso per un palleggio di competenze territoriali che ci ha costretti a cancellare una prenotazione valida per un errore di valutazione, risolto poi grazie alla cortesia infinita del personale della Questura di Ancona, che ci ha consentito persino di anticipare l’appuntamento utile al rinnovo, per compensare il disservizio patito in altra sede;
- Richiesta presso la Motorizzazione della patente internazionale di guida, che sembra sia indispensabile in Namibia, anche se poi l’esperienza mi ha fatto sorgere più di un dubbio.
- Copertura assicurativa a 360 gradi, per garantire alla mia famiglia una certa tranquillità, almeno su carta.
LA PARTENZA

Quest’anno, dopo il trauma del 2023, causato da un eccesso di rilassatezza e da un incidente in autostrada che per poco non ci impediva di prendere il volo, partiamo presto da Jesi. Il volo è alle 14e30, e alle 9 siamo in macchina (sempre Zelda, sempre brillante, nonostante la tosse). Alle 11e30 siamo al parcheggio adiacente l’aeroporto per la consegna dell’auto. Pochi minuti dopo entriamo in aeroporto. Il check in per la consegna dei bagagli è ancora chiuso, a testimoniare che siamo stati fin troppo previdenti stavolta. Il desk apre, ci avviciniamo pigramente. Persino il peso della valigia è corretto per una volta. Da non crederci.
L’ATTESA
Attendiamo l’emissione dei biglietti. L’operatrice chiama qualcuno, resta al telefono, ci guarda di sottecchi dal suo lato della barricata, continua a parlare, poi dopo un po’ ci guarda e dice: avete i certificati di nascita dei bambini? E io: no, ma non credo siano necessari, i nostri nomi sono indicati anche sui loro passaporti. Lei richiama qualcuno al telefono, annuisce preoccupata, ci osserva sempre più cupa e dice: niente, non potete entrare in Namibia senza una copia autenticata di un certificato di nascita dei bambini, perché il Paese lo richiede espressamente per l’ingresso dei minori. Noi sbianchiamo letteralmente, mi appoggio al banco per non svenire, penso allo sforzo profuso per organizzare tutto, penso a dove dirottare la mia famiglia, a cosa fare adesso, nel momento. E’ venerdì, e forse è vero che di Venere e di Marte non si inizia e non si parte, anche se io non ho mai creduto a queste cagate.
LA BARAONDA
Non l’accetto, non posso, e penso: NO, non è possibile, non l’ho letto da nessuna parte, non esiste, cerco sul web e subito mi appare la sentenza di condanna definitiva alla mia leggerezza. In Namibia senza quel certificato i minori non possono entrare. Francesca sembra sul punto di crollare, i bambini sono totalmente spaesati, non comprendono quale sia il problema. Mi scatta una baraonda in testa, penso di chiamare una delle nonne, di mandarla a casa nostra a cercare una copia di questo certificato chissà dove, ma so che sto farneticando e perdendo tempo. La baraonda aumenta, è una sfilata multicolore di musicisti che suonano e cantano e non mi consentono di sentire i miei stessi pensieri. Non so che pesci pigliare, vaneggio, chiedo alla tizia se intanto possiamo imbarcarci per Francoforte, così prendo tempo per cercare una soluzione, per mettere a fuoco, ritrovare la lucidità e capire il da farsi. Lei mi spiega che non è possibile, perché il mio biglietto è per la Namibia. Lo scalo è semplicemente un passaggio lungo la tratta diretta in Africa. Poi ripenso al fatto che è venerdì, non si inizia e non si parte, e invece no, in realtà non è affatto un male, ma un vantaggio da prendere al volo. E’ quasi l’una, chiamo un amico speciale per avere un consiglio. Me ne fornisce uno prezioso, provo a chiamare un ufficio, è aperto per un pelo, per un caso fortuito, magari un oggetto dimenticato, o un ripensamento che coincide con il mio blackout. Mi risponde una persona estremamente calma e gentile che mi spiega che si, vista l’emergenza può aiutarmi se soltanto mi calmo e ascolto. Non mi calmo, è impossibile farlo, ma cerco di capire. E così scrivo una pec dal telefono con la richiesta di questi certificati, allegando i dati miei e di Francesca e le foto dei nostri documenti. Chiedo alla signora del banco quanto tempo abbiamo e lei mi dice che ci resta circa un’oretta. Passano alcuni minuti e mi accorgo che la richiesta non è partita. Forse la connessione è scarsa per caricare i jpg delle foto dei documenti, che sono senz’altro pesanti. Riprovo e la mail parte. Inviata. Passa qualche minuto, aggiorno la pagina, la aggiorno ogni cinque secondi, poi ogni due, e infine -anche se stento ancora a crederci- nel mio telefono appare la copia dei documenti richiesti, come una chimera ripresa al volo dopo una rimonta onirica mirabolante. Bando alle ciance, ora serve il cartaceo. La gentilissima dipendente Lufthansa si propone di stamparli, ma devo girarle i documenti all’indirizzo che mi indica. Inviamo e lei parte, diretta verso un ufficio al piano di sopra. Con noi rimane un’altra persona, che a un certo punto risponde al telefono e ci informa che la mail non è arrivata. Controlliamo l’indirizzo, nella foga lo abbiamo sbagliato. Ricominciamo. R-i-c-o-m-i-n-c-i-a-m-o. Rimandiamo la mail, osserviamo la signora armeggiare con una stampante, qualcosa non va, poi la vedo andarsene e rientrare con una risma di carta nuova di zecca, per alimentare la vorace macchina clonatrice. Scende rapidamente verso di noi, richiama chi di dovere, comunica i nostri dati, ci guarda e ci dice: ci siamo, ora è tutto a posto, siete stati fortunati, buon viaggio. Io vorrei abbracciarla, perché lo impone la mia natura che mi spinge a toccare o sfiorare o riconoscere una gratifica a chi ha fatto qualcosa di importante per me, ma non sembra il tipo, è la classica buona ma burbera, di poche parole. Noi di casa invece ci guardiamo e s’abbracciamo.
GRAZIE
Siamo riusciti in un’impresa titanica, che non avremmo mai superato senza l’ottimo consiglio di un amico che c’è sempre e la buona volontà di alcune persone che ci sono venute incontro in un momento di enorme difficoltà. E’ grazie a loro se posso raccontare il nostro viaggio.

I miei vanno al bagno, io corro al bar a bermi una birra, che quasi mi strozzo in gola per decomprimere il terrore vissuto nell’ultima mezzora. Ci calmiamo, siamo felici, ma i bambini fanno più storie del solito. Irene non trova pace, probabilmente abbiamo un accumulo di stress e stanchezza sulle spalle da smaltire. Comunque, partiamo, l’imbarco è lento e comporta un ritardo: ritrovare uno slot utile per il decollo implica un’ora di attesa a bordo. Niente di grave per noi, mentre altri viaggiatori sono praticamente certi di aver perso la coincidenza a Francoforte.


FRANCOFORTE
Arrivati in Germania, ci godiamo un pochino l’aeroporto, che è uno dei più grandi e frequentati d’Europa. Bighelloniamo, perdiamo tempo, troppo tempo. Siamo convinti di essere all’interno di un’area di flight connection, ma non è così.



Mi accorgo che dobbiamo rifare tutti i controlli. Prima i documenti, poi di nuovo i controlli di sicurezza già sostenuti a Bologna. Vai a capire perché. La brutta sorpresa è che c’è un muro di gente in fila davanti a noi e solo due check point aperti. La fila non scorre e così forziamo, insieme ad altri ritardatari, l’ingresso di lato. Provo a spiegarmi con gentilezza, ma il nervosismo regna sovrano fra le persone in attesa. Alla fine riusciamo ad anticipare (di poco) i controlli, davanti a noi troviamo persone molto anziane e difficili da posizionare e controllare.


Arriviamo al gate, che apre pochi istanti dopo. Entriamo in aereo immediatamente grazie alla priorità che i figli minori rappresentano. Ci piazziamo tutti e 4 in una fila delle file centrali. Mangiamo qualcosa, mettiamo su un film per poi addormentarci uno sull’altro. Mi trasformo rapidamente nel cuscino di Iri e capisco subito che sarà dura dormire per me, ma provo a prendere con leggerezza il poco sonno che verrà, dato che quella sarà la notte che ci condurrà in Africa.