Avatar è un’opera tecnicamente ineccepibile e tecnologicamente sontuosa. Il film narra la storia di un nuovo mondo, anche se Pandora potrebbe essere la proiezione futura della Terra, dato che l’opera che i colonizzatori compiono sul pianeta alieno è una metafora neanche tanto velata di quanto il genere umano stia martoriando, oggigiorno e realmente, la propria casa nel vuoto. Pandora è un mondo di simbiosi, e il legame imprescindibile fra ogni creatura vivente è forse la rivelazione migliore del film: il messaggio, eccezionale nella sua semplicità, si cela dietro milioni di euro d’investimenti, dietro un set che è stato definito monumentale. L’altro messaggio importante è dato dal superamento dell’invalidità che l’avatar rappresenta, dalla possibilità, prima sinaptica, e poi effettiva, di conservare “se stessi” all’interno di un altro corpo, di prolungare il proprio pensiero, la propria coscienza, altrove, nello spazio e nel tempo. L’idea è fantastica, come sono fantastiche alcune ambientazioni, soprattutto notturne, ma viene da chiedersi se questo sia ancora cinema o qualcos’altro, se Avatar segni o meno la fine del cinema e l’inizio di un nuovo modello d’intrattenimento, e se tutto ciò sia giusto o sbagliato. L’impressione, almeno a tratti, è quella di venir proiettati all’interno di un videogame di proporzioni inimmaginabili, di essere scaraventati dentro una lavatrice per una doppia centrifuga, di perdersi fra le ammalianti architetture di un labirinto senza uscita. Il giudizio rimane quindi sospeso, e il dubbio rimane.