La maschera

Oggi l’avatar rappresenta una sorta di proiezione iconografica di sé nel mondo del web, è il filtro attraverso cui le persone instaurano relazioni e l’incarnazione stessa dell’individuo in tale contesto: una maschera, per l’appunto.

Nell’antichità, la maschera accompagnò la nascita dell’arte drammatica: l’attore tragico indossava la maschera per staccarsi dalla sua identità, per immedesimarsi nel personaggio tragico, per universalizzare le vicende del palcoscenico.

La maschera segna una linea di demarcazione, di confine fra territori tanto contrapposti quanto interdipendenti, una linea mobile, instabile, una borderline sul cui filo danzano concetti sovente incollocabili.

In Socrate, la maschera è la bussola nella distinzione fra verità ed errore, per il cui tramite si fissano i concetti di vero e di falso.

In Schopenhauer , fra la soggettività della specie che mira a conservare e riprodurre se stessa,  e la soggettività individuale che s’illude di ricreare un mondo basato sui propri intendimenti per poter vivere, o sopravvivere, dell’illusione che non si viva per prolungare la vita della specie stessa; e quindi fra la verità della vita dell’individuo che lo definisce come strumento di conservazione, e la vita stessa, che per esser vissuta necessita di quella maschera illusoria che è l’Io e che lo supporta in quell’opera di traslazione della verità dell’esistenza.

In Nietzsche,  la maschera segna il confine fra essere e apparire, fra essenza e coscienza, fra natura e spirito.

Egli definisce la maschera apollinea come lo strumento per  regolare ed “elevare” nella forma il caos dionisiaco: l’uomo quindi edifica convenzioni sociali nell’insano tentativo di ingabbiare gli istinti primordiali.

La maschera rappresenta l’ipocrisia degli individui, la mentalità tradizionale e tradizionalmente gretta di una società intera , la via di fuga che gli uomini utilizzano per non vedere la realtà, un vile tentativo di travestimento volto ad ingannare se stessi e gli altri.

La maschera è un mezzo ambiguo, ma l’uomo ne ha bisogno, e N. sostiene che l’uomo moderno in particolare indossa le sue maschere per combattere le proprie paure e debolezze, per ovviare all’assenza di certezze che veleggiano poco oltre la soglia di galleggiamento dell’essere.

In Jung,  la maschera separa l’Inconscio, sede della verità della esistenza, dall’Io, reparto delle macchinazioni illusorie concesse all’individuo per vivere.

Ed ecco di seguito alcuni passi tratti da “L’io e l’inconscio” dello psicoanalista svizzero:

“Se analizziamo la Persona, stacchiamo la maschera e scopriamo che ciò che pareva individuale è, in fondo, collettivo, in altre parole che la Persona era soltanto la maschera della psiche collettiva. La persona non è nulla di “reale”. E’ un compromesso fra l’individuo e la società su “ciò che appare” …..  L’individuo prende un nome, acquista un titolo, occupa un impiego, ed è questa o quella cosa. In un certo senso ciò è reale, ma in rapporto all’individualità del soggetto in questione è come una realtà secondaria, un mero compromesso, a cui talvolta altri partecipano ancor più di lui …..  La Persona è un’apparenza ..… La costruzione di una Persona collettivamente conveniente è una grave concessione al mondo esteriore, un vero sacrificio di sé, che costringe l’Io a identificarsi addirittura con la Persona, tanto che c’è della gente che crede sul serio di essere ciò che rappresenta …. L’uomo non può impunemente sbarazzarsi di se stesso a favore di una personalità artificiale.”

Per concludere, riportiamo qui di seguito alcuni versi del brano “The end” del gruppo rock “The Doors”, in cui il dionisiaco Morrison scrive e canta quanto segue:

“The killer awoke before dawn. He put his boots on. He took a face from the ancient gallery. And he walk on down the hall” (“L’assassino si svegliò prima dell’alba. S’infilò gli stivali. Prese una maschera dall’antica galleria. E s’incamminò verso l’atrio”).

Forse, oggigiorno, se Morrison fosse vivo, scriverebbe: “He took an avatar from the future gallery”.  

Forse, aggiungo forse, perché è solo una parola, e una parola cambia tutto.

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