E ORA DOVE ANDIAMO? – Nadine Labaki

Il film si apre con la danza funebre e onirica di vedove di fedi diverse che condividono un tragitto dissestato, prima di giungere in prossimità dei due cimiteri in cui sono seppelliti i propri morti: qui i loro percorsi si separano in ossequio ai rispettivi rituali.

La vicenda si svolge in un villaggio sperduto e assolato del Libano, nel bel mezzo di un paesaggio aspro e semi-desertico e di un territorio che nasconde mine inesplose e l’ombra spettrale di conflitti irrisolti.

Nel villaggio vivono due comunità ben distinte: una musulmana, l’altra cristiana. Gli screzi e le baruffe fra gli uomini delle opposte “fazioni” sono all’ordine del giorno, anche per questioni banali, e la situazione pare sempre sull’orlo del precipizio della reciproca intolleranza, nonostante l’azione mitigatrice dell’imam e del prete del paese.

Le donne sono il vero collante della piccola struttura sociale, che si regge soltanto grazie agli espedienti messi in opera dal gruppo in cui spiccano Amale, Takla, Yvonne, Afaf e Saydeh, cinque vedove, cinque amiche pronte a tutto per evitare che il sangue scorra ancora in mezzo a loro.

E così le donne tramano all’oscuro di uomini accecati da una rabbia ottusa, e pongono in essere comportamenti più o meno visibili per ridurre al minimo gli attriti: gridano e ciarlano per coprire l’audio di un notiziario che riferisce di scontri bellici fra cristiani e musulmani; tentano di manomettere la parabola “comunale”, così da oscurare i messaggi guerrafondai che ne scaturiscono; fingono un miracolo della Madonna per mettere in guardia chi intenda insistere sulla via della violenza; ingaggiano un corpo di ballerine ucraine per distrarre la comunità in un momento critico; si spingono persino a drogare gli uomini del villaggio, coinvolgendo nel misfatto il prete e l’imam, per mitigare gli animi e coinvolgere l’intero villaggio in una serata di festa e aggregazione.

Nadine Labaki, già autrice e protagonista del coloratissimo Caramel, dirige e interpreta un’opera corale e poetica, capace di trattare con ironia il disastro sociale provocato dai conflitti fra religioni: il lato drammatico della follia separatista dei culti dissimili, che costringe l’uomo a creare delle categorie da difendere, nelle quali arroccarsi e sulle quali basare diversità insormontabili, viene attutito dall’azione di donne audaci e lungimiranti, che riescono a guardare oltre le differenti prospettive di fede. La regista libanese alterna gravità e leggerezza, leggendo con sagacia e intelligenza il problema dell’integrazione religiosa, mostrando l’aspetto tragicomico di una questione che si trasforma e si riduce –ai miei occhi- a un tira e molla insulso e mortale fra adulti immaturi che giocano alla guerra.

E ora dove andiamo?”

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