Eyes wide shut

Un uomo, una donna. E la magnificenza visiva di Kubrick esplode in ogni direzione.

Nel doppio sogno di Schnitzler la scena si svolge a Vienna nei primi del 900, i protagonisti si chiamano Fridolin e Albertin, ci si sposta in carrozza e la parola d’ordine è Danimarca.

In Eyes wide shut la vicenda si trasferisce nella New York degli anni 90, i protagonisti sono Bill e Alice, si viaggia in taxi, e la parola d’ordine è Fidelio.

Il film è un’odissea, simile a quella, spaziale, del 1968. E’ un viaggio dilaniante -a ritroso- nella psiche umana, è una scoperta inquietante di sé in cui tutto trema, in cui ogni certezza tentenna al cospetto di una verità sgradevole.
Il vortice ossessivo in cui cadono i due protagonisti è profondo, inarrestabile, e lambisce quasi le dimensioni del terrore.

Ecco qui di seguito una mia personalissima interpretazione del vortice in questione.

Una festa di sfarzo e luci, una scenografia sensuale, ammaliante.
Corteggiamenti esotici, vanità, autocompiacimento,
la morbida cadenza dell’ebbrezza, labbra che danzano e si sfiorano,
le prime avvisaglie, una donna nuda e quasi inanimata,
è la donna/oggetto, senza alcun valore,
E poi il ritorno a casa, la spezia,
la spezia come alibi, la rivelazione dell’oscenità,
il terrore negli occhi, la consapevolezza dei desideri di Alice,
la fuga – ma è fuga o vendetta? – l’infezione psicotica di Bill,
la brama del tradimento invade i suoi sogni di veglia,
l’ossessione prende campo,
e poi la camera segue l’uomo/strumento Bill,
un lutto lo conduce fuori,
il paradosso di una dichiarazione d’amore al cospetto della salma,
l’intuito di deviazione, il perturbamento,
la strada di notte,
una puttana, l’approccio, il cedimento,
una telefonata improvvisa, la faccia contro il muro,
l’estemporaneo ravvedimento,
e poi di nuovo in strada, l’incontro con l’amico,
poche parole sussurrate,
un suggerimento irresistibile,
il mistero di una situazione al limite,
l’esca, il richiamo,
la parola d’ordine, Fidelio per l’appunto,
il negozio di maschere, le personalità a noleggio,
la bizzarria dei personaggi.
E l’Apoteosi, l’orgia in maschera, il rito sessuale,
la scenografia esplode in una muta e inquietante espressività di cartapesta,
lo spettatore impazzisce,
Masked Ball”  completa l’opera penetrando l’orecchio, incontrastata,
corpi nudi e aggrovigliati in successione nella sublimazione dionisiaca,
e poi una donna avvisa Bill, lo mette in guardia,
“Scappa finchè puoi, tu qui non c’entri nulla!”
ma è tardi, è tardi in modo inevitabile, non c’è più tempo,
Bill viene scoperto, e smascherato,
in un delirio multi sfaccettato di colori ed espressività,
la maschera ribalta il proprio significato, diviene il volto vero,
Bill rischia la vita, ma la donna lo riscatta,
l’uomo è libero, se ne va, ma la sua mente è rapita,
le ossessioni divampano in lui,
Bill è fuori controllo,
dentro di lui
corpi nudi alla deriva
e la moglie Alice che si concede carnalmente a un marinaio,
è una discesa agli Inferi,
è quasi un ascensore per l’inferno, corrispettivo di quella scala a chiocciola in cui si percorre se stessi in doppio senso,
realtà e allucinazione si rimescolano,
ancheggiano insieme confusamente
,
e le minacce, la scoperta del pericolo,
la notizia della morte della donna mascherata,
della sieropositività della puttana evitata d’un soffio,
e la memorabile sequenza del pedinamento,
l’immagine e la musica accompagnano un lento e potentissimo inseguimento onirico,
le luci ammalianti dei locali abbarbicati ad una notte incerta,
il neon di un’edicola, e un duello statico di sguardi,
ora sembra un film western,
in realtà Bill sta scappando da se stesso,
da quanto ha scoperto di sé,
tutto si attorciglia, fino al crollo finale,
fino a quella maschera sul letto in cui vede riflessa la sua personalità nascosta,
e il pianto dirotto, la confessione ad Alice.
Ora Bill è patetico, nudo, vulnerabile, dimesso,
Alice è l’origine di ogni cosa,
Bill è soltanto lo strumento attraverso cui lo spettatore può vedere.
Ora la realtà si rivela mortificante,
e l’ultima parola in scena è la perfetta sintesi carnale in cui la vicenda si risolve.
Il sesso viene rappresentato come soluzione ultima, come espiazione,
come strumento per esorcizzare la paura e ripulire le coscienze.

In “Eyes wide shut” la tensione prodotta dal genio del regista è altissima, profonda, dilaniante, perfino fastidiosa.
La paura viene distillata da un oste eccelso, e non necessita di ritmi frenetici; la frenesia è nella mente, e Kubrick ce la mostra, senza protezioni di sorta.

Siamo distanti anni luce dagli odierni e schizofrenici montaggi che fanno sobbalzare lo spettatore in sovrapposizioni fini a se stesse.
Per fortuna, aggiungerei.

5 risposte a “Eyes wide shut”

  1. Avatar di Yngwie Yngwie ha detto:

    Strangers In The Night

  2. Avatar di Gabry Gabry ha detto:

    E’ uno dei miei film preferiti, l’ho visto, tra a pezzi e intero, almeno 15 volte, e ogni volta trovo un particolare che non avevo notato nella visione precedente, un piccolo particolare comunque importante per comprendere meglio la genialità di Kubrick e delle sue opere d’arte. La cosa più “spaventosa” secondo me è la cinica e direi violenta constatazione della presenza del lato B rispetto alla/e realtà che vediamo tutti i giorni. A partire da Bill e Alice, ma anche passando per il padrone di casa della festa (non mi ricordo mai il nome, gravissimo!), per la figlia del defunto, per il noleggiatore di costumi (mitico) e sua figlia, per la puttana, per nick il pianista: tutti i personaggi che kubrick ci regala nel film hanno qualcosa di nascosto, spesso anche a loro stessi, qualcosa che anche se li conosci non sai di loro. Una “corruzione”, che in realtà è la corruzione della società in generale, che rimane sempre ben nascosta dietro le proprie maschere.

  3. Avatar di Yngwie Yngwie ha detto:

    Victor Ziegler e sua moglie Ilona.

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