IL CAVALIERE OSCURO – IL RITORNO – Christopher Nolan

L’ultimo capitolo della trilogia di Nolan dedicata a Batman si dimostra all’altezza dei primi due episodi. Il lavoro del regista inglese procede sulla falsariga delle opere precedenti, con una serie di immagini imponenti e potentissime a scandire i contorni di una storia che travolge e cattura lo spettatore per quasi tre ore.

Sono passati otto anni, e Gotham City, lugubre e cadente specchio della società odierna, vive una fase di tregua apparente, benché lo status quo affondi le sue radici da un lato sulla beatificazione del falso eroe Harvey Dent e del decreto anti-corruzione che porta il suo nome, dall’altro sulla condanna di Batman, il mostro scomparso nel nulla con l’accusa dell’omicidio di Dent.  Gotham pone quindi le sue basi sulla menzogna e sulla messa in scena, strumenti utilizzati per fornire ai cittadini un idolo da seguire come idea di bene assoluto, e un colpevole mascherato da additare come capro espiatorio universale. Il commissario Jim Gordon è l’uomo cui vengono affidati la dolorosa verità  e tutto il peso che la stessa comporta: egli vive il travaglio di un senso di colpa che lo logora e attanaglia, ma tace per non compromettere il sottile equilibrio di Gotham.

Nel frattempo Bruce Wayne è divenuto il pallido riflesso dell’uomo brillante che era in passato, e vive nell’isolamento del suo palazzo, distante dalla città e dalla gestione della Wayne Corporation, che lentamente si sgretola e cede senza difese all’assalto di speculatori senza scrupoli, che si riveleranno poi i meri burattini di un meccanismo assai complesso.

Il grande burattinaio ha le sembianze di Bane (Tom Hardy), un uomo forgiato nell’odio e nella sofferenza, in un turbine di violenze e torture inaudite che ne hanno temprato lo spirito.  Bane si presenta a Gotham come la chiave per rovesciare l’ordine costituito e il regime di privilegi cristallizzati; fornendo ai cittadini l’infida illusione della rivoluzione e di una società più equa, instaura un regime di terrore e violenza senza precedenti, paralizzando ogni possibile controffensiva grazie a un sofisticato e subdolo ricatto di massa.

L’arrivo di Bane costringe Bruce Wayne a indossare di nuovo la sua maschera, ma Batman, debilitato nel corpo e nell’anima,  sottovaluta la ferocia e la determinazione del suo antagonista: Bane non conosce la paura, e la sua forza è un liquido nero e densissimo che riempie inesorabilmente ogni possibile anfratto della coscienza, fino a invadere poi tutto lo spazio fisico disponibile; Bane è il male stesso, è l’esecutore materiale di un credo, la mano armata di una fede cieca, in nome della quale annienta Batman e lo costringe all’esilio nelle prigioni in cui egli stesso nacque: in quel luogo dimenticato, Wayne avrà modo di ricostruirsi, di rinascere (“The dark knight rises“- recita il titolo originale del film) nella stessa violenza che aveva cullato Bane:  il cavaliere oscuro risorgerà dalle ceneri dei propri convincimenti, dopo aver recuperato la paura di morire, e di riflesso l’amore per la vita.

Bane è il frutto perverso di una società corrotta, l’elemento incontrollabile, il figlio di tutti i mali, che torna per riversare sulla società l’abominio delle sue storpiature; Bane rappresenta la sintesi delle peggiori inclinazioni umane, l’intera specie nel folle intento di autodistruggersi;  è tutto ciò che si tende a stipare e nascondere nelle fogne come segreti irrivelabili, come rifiuti tossici, e che, dalle fogne, a un certo punto, sgorga in superficie, sotto forma di agghiacciante rivelazione. Bane è il nulla all’ennesima potenza, è la a somma di tali e tanti prodotti di scarto da non avere alcuna pietà dei suoi simili, ma è anche l’afflitto, il miserabile, colui che non ha alternative all’odio, che non ha potuto scegliere una strada diversa, un uomo così saldo nei suoi propositi da mostrare persino coerenza, da meritare il rispetto di quanti hanno avuto un’alternativa.

Tutti i personaggi  mantengono invero una marcatissima ambiguità nel corso del film, perché rappresentano l’oscillazione che regna in ogni individuo, il balletto isterico e globale cui tutti prendono parte, e in cui si muovono passi maldestri al di qua e al di là della linea che sancisce il confine tra bene e male. L’opera di Christopher Nolan è un fine marchingegno, un delirio di illusioni in correlazione, un nuovo gioco di prestigio che mostra ancora una volta che “niente è come sembra”, e che l’inganno è all’ordine del giorno, che la società e i suoi interpreti  rappresentano un subdolo teatro in cui i ruoli s’invertono in un impianto che non conosce morale o giustizia, e che si alimenta grazie ai corrotti e miseri desideri dell’uomo stesso.

La costruzione dialettica forse non è pari a quella del precedente capitolo, e il ghigno storpiato di Ledger rimane un’icona a se stante, ma il film è un ottimo mix di tensione e potenza estetica, e i dubbi e le ombre che costellano la narrazione hanno una cadenza talmente intensa da togliere il fiato in alcuni frangenti. Il fascino del Batman di Nolan rimane invariato, per lo spazio che il regista concede alle battaglie interiori dei protagonisti, ai risvolti etici di una vicenda che si pone come l’intricato paradigma dell’ipocrisia umana, allo scontro di ideali e all’eterna lotta che assilla il cavaliere oscuro,  un uomo che dietro la maschera tende a liberarsi, e non a nascondersi

Il cast è eccellente, ma Christian Bale e Tom Hardy meritano una menzione d’onore: i due attori inglesi furoreggiano sulla scena, imponendosi con talento e personalità , e il regista affida saggiamente alle loro modulazioni espressive l’intero equilibrio dell’opera, che corre sulla corda tesa dai rispettivi personaggi; Marion Cotillard e Anne Hathaway, alle prese con caratterizzazioni molto diverse rispetto ai loro consueti standard, sorprendono:  entrambe sfoggiano un fascino ambiguo  e sfuggente, donando imprevedibilità e contorni incerti a Miranda Tate e Selina Kyle, tasselli femminili imprescindibili nel perturbante puzzle di Nolan.

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