PARADISO AMARO (THE DESCENDANTS) – Alexander Payne

La prima considerazione che sono costretto ad esprimere su “Paradiso amaro” è che in realtà s’intitola “The descendants”; la seconda è che continuo a non capire il lavoro di adeguamento fatto dai traduttori italiani: perché c’è bisogno che un film venga reinventato come “Paradiso amaro”? Capisco che un termine muti senso e sonorità nella traduzione, ma come mai il pubblico italiano non viene considerato all’altezza dei titoli originali e di una libera interpretazione dei loro significati?

Ma parliamo di cinema, che è meglio.

“Paradiso amaro” narra la storia di Matt King, un avvocato placido e agiato, discendente dei reali delle isole Hawaii: King è immerso nel lavoro e nelle questioni familiari che lo vedono a capo della vendita di un immenso territorio di natura vergine. La sua vita è sconvolta dal coma della moglie in seguito a un incidente in mare, e il passaggio tra la veglia fiduciosa al suo capezzale e la notizia della morte certa e ormai prossima di lei è rapido e spietato, tanto da stravolgere le giornate e le certezze di King, che dapprima non rivela la notizia, come se non volesse ammetterlo nemmeno a se stesso.

Le prime attenzioni dell’uomo sono naturalmente rivolte ad Alexandra e Scottie, le figlie quasi sconosciute per via della scarsa intimità concessa dal padre: Matt recupera lentamente e in modo traumatico la loro fiducia, finchè la situazione non viene scossa ulteriormente dalla scoperta che Elizabeth  lo tradiva e meditava di lasciarlo, rivelazione che inserisce nel dramma gli elementi della commedia (ecco a cosa servono i generi cinematografici), e spinge l’uomo a cercare Brian Speer, l’amante della moglie, in compagnia delle due figlie e di Sid, un amico di Alexandra.

A questo punto la storia prende una piega dolceamara e a tratti comica per la strana composizione del quartetto che tenta goffi pedinamenti ai danni di Speer, fino a spingersi a cercarlo in un’altra isola dell’arcipelago hawaiano: qui Matt scoprirà che Speer è sposato e che la terra dei suoi avi è destinata alle sue speculazioni edilizie.

La forza di “Paradiso amaro” sta in primo luogo nella pacatezza narrativa di Alexander Payne (già autore di “Sideways”), nel suo modo di mostrare i protagonisti con grazia e delicatezza tali da ingenerare nello spettatore la speranza che il film non finisca mai; sta inoltre nella potenza espressiva di un Clooney in continua crescita:  l’attore americano si cala con maestria in un ruolo diverso e più maturo, conservando lo sguardo sornione e il lato ironico sotto le contrazioni di un viso sofferente e smarrito , trovando un perfetto equilibrio nell’altalenante incertezza espressiva che accompagna la sua presenza in scena. Gli altri attori, in particolar modo i giovanissimi Shailene Woodley e Nick Krause, seguono la scia di Clooney e ne completano le movenze.

L’opera miscela in modo lieve amarezza e piacere, e si dimostra capace di mitigare il dolore con l’ironia della quotidianità, di non smarrirsi nelle scontata banalità del melodramma, e di creare un tessuto tragicomico originale e ovattato, sullo sfondo di un paradiso in terra in cui i fatti della vita accadono nella stessa misura in cui si verificano in ogni parte del mondo.

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