La città incantata

Nel prologo del film un’automobile sfreccia fra le campagne,
incurante della natura circostante. All’interno ci sono Chihiro e i suoi
genitori, impegnati nella ricerca della nuova abitazione cui sono destinati.
Finiscono col perdersi, forse proprio a causa di quella velocità così moderna
da rendere frettolosa ogni scelta, e giungono all’imbocco di un tunnel, dove
parcheggiano, e scendono. I genitori sono curiosi, Chihiro no, Chihiro è
spaventata, metafora di un nuovo modello di adolescenza in scatola, che perde
sicurezza fuori dagli involucri sociali cui è stata abitualmente destinata. I
tre procedono, inevitabilmente, superano una sala d’attesa, per poi ritrovarsi
al cospetto di una sorta di parco giochi in stato di abbandono. I genitori
avanzano, avvertono profumo di cibo, ne seguono la scia, mentre la bimba,
incurante del richiamo olfattivo, vaga, tanto incuriosita quanto dubbiosa, in
quella che appare sempre più chiaramente come una città fantasma. Incontra un
ragazzino, Haku, che la mette in guardia, le dice di scappare, prima che si
faccia notte e si accendano le luci. Così Chihiro scappa, corre in cerca dei
genitori, e li ritrova ancora seduti a mangiare, a ingozzarsi voracemente, ad
affogare in una frenetica ingordigia che li ha tramutati in maiali. Di qui si
viene proiettati in un mondo fantastico, in cui la protagonista dovrà
districarsi per liberare i genitori dal sortilegio.

Il regista introduce così lo spettatore in una città termale
per anime, un luogo di mezzo in cui gli spiriti sono, per così dire,
intrappolati, o in cui i medesimi sono di passaggio semplicemente per
concedersi un bagno purificatorio in una delle vasche della città. Chihiro
incontrerà una serie di personaggi stravaganti, fra cui Kamaji, l’uomo-ragno
delle caldaie; Zeniba e Yubaba, le due streghe gemelle ma d’indole
contrapposta; il figlio di Yubaba, neonato gigante perché incapace di diventare
grande nell’involucro dorato cui la madre lo ha condannato; il gigante di
fango, che viene a lavarsi via le scorie dell’inquinamento umano; “Senza Volto”,
che attrae le anime con l’oro, chiedendo cibo in cambio, fino a divenire un
mostro, quasi fosse il sistema che l’uomo ha creato ed alimentato fino a non
poterne più controllare la crescita e l’evoluzione; ma soprattutto Haku, il
bambino-drago che merita una riflessione a parte. Ognuna di queste anime trarrà
giovamento dall’incontro con Chihiro, che rappresenta il disincanto, la
generosità, l’assenza di avidità e ingordigia al cospetto di una società che va
in direzione opposta.

Il sogno dipinto di Miyazaki incanta lo spettatore, lo
trasporta Altrove, lo disorienta e ammalia fra le maglie di disegni
strabilianti, rendendolo partecipe di un’immaginazione che finisce con l’esser
quasi una trappola, come la città per la protagonista.

Haku, il ragazzo-drago alle dipendenze di Yubaba, si svela
in modo graduale, ma sin dall’inizio è mosso dall’istinto di aiutare Chihiro,
di consigliarla in modo da poter salvare se stessa e i suoi cari; e così fa in
modo che chieda lavoro prima a Kamaji, e poi a Yubaba; il lavoro è l’unico modo
per poter rimanere in città senza “dissolversi”, e Yubaba è costretta da una
vecchia promessa a concedere lavoro a chiunque lo chieda; così concede lavoro
alla ragazzina, che in cambio rinuncia al suo nome: in questo modo la strega
diventa proprietaria della bambina, ribattezzandola come Sen, conscia che la
perdita del nome è il primo passo per smarrire ogni ricordo di vita terrena.
Haku ancora una volta interviene in suo aiuto, e scrive il vero nome di lei su
un bigliettino, affinchè possa sempre conservare traccia di sé. L’avventura si
dipana, gli avvenimenti si susseguono, Haku viene ferito e stavolta è Chihiro a
salvarlo, e poi veniamo trasportati lungo i binari immaginari di un treno
sull’acqua, e poi ancora ritroviamo Chihiro volare “in sella” al drago Haku, in
quella che è forse la scena madre del film: Chihiro improvvisamente ricorda un
avvenimento della propria infanzia, rammenta di aver rischiato di annegare
nelle acque di un fiume. Pronuncia il nome di quel fiume, e così facendo libera
Haku dal proprio personale oblio; Haku è infatti lo spirito di quel fiume, di
cui la cementificazione ha cancellato ogni traccia, e tutto si rivela, così
come il legame istintivo fra i due.

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