Paragone acrobatico con il mito di Orfeo ed Euridice

“La città incantata” è chiaramente un paradigma della società
odierna, ma se si vuol fantasticare, riflettendo ad esempio sul
personaggio di Haku, sul suo rapporto con Chihiro, sulla simbologia del luogo
che al passante si rivela, si possono intravedere ulteriori
verosimiglianze.

Mi propongo e mi permetto di porre in parallelo con “La
città incantata”, storia d’amore ed ecologia, le vicende narrate dal mito di
Orfeo ed Euridice, senza alcuna pretesa d’illuminazione.

Narra il mito come il cantore Orfeo, figlio del dio Apollo e
di Calliope, la Musa della Poesia, pianga e canti disperatamente la perdita di
Euridice, la bellissima ninfa morta in condizioni sfortunate. Orfeo è mosso da un
amore aulico, cavalleresco, nostalgicamente elegiaco, un amore che trascende i
concetti stessi di vita e di morte. Decide così di scendere negli Inferi, nel
Regno di Ade, per ritrovare l’amore perduto. Utilizza però uno stratagemma: si
rivolge a Mnemòsyne, dea e depositaria della memoria e madre di sua madre, affinché
gli consenta di non dimenticare, di lottare contro l’oblio nel lungo viaggio
che lo attende. Le vicende sono note, Orfeo scende nell’Ade ed ottiene di
riportare con sé Euridice, a patto di non voltarsi a guardarla nel ritorno alla
vita terrena. Ma Orfeo si volta, e perde Euridice per sempre.

Ciò che accomuna l’animazione di Miyazaki e il mito di Orfeo
ed Euridice non è certamente la storia in sé, ma alcuni singoli frammenti dell’una
e dell’altro.

Anzitutto la perdita di memoria, intesa come coscienza di
ciò che si era in vita: il bambino-drago Haku non rammenta d’essere stato un
fiume in vita, poiché ha dimenticato il suo nome; Euridice, invece, come tutte
le anime dei morti, ha bevuto l’acqua del Lete, dimenticando ogni cosa della
sua vita, cadendo nel completo disorientamento dell’oblio.

L’acqua e il fiume sono elementi fondamentali in entrambe le
narrazioni: nel Mito, il Lete incarna l’oblio, è il fiume infernale, le cui
acque hanno il potere di far dimenticare alle anime dei defunti la vita terrena;
in Miyazaki, lo spirito di un fiume dimentica se stesso a causa della
cementificazione che ne ha cancellato ogni flutto, ogni ansa, ogni traccia terrena.

In entrambe le vicende poi, i vivi varcano il confine dei
luoghi deputati alle anime: Chihiro non cerca qualcuno, ma troverà se stessa, e
l’amore, in vicende che la faranno maturare profondamente; Orfeo cerca il suo
amore, sfida le forze infernali per raggiungerlo, ma acquisirà la drammatica
certezza dell’impossibilità che vita e morte possano incontrarsi.

Sono due storie d’amore e formazione:
Chihiro salva Haku perché ne è in qualche modo innamorata,
e nel prolungato contatto del viaggio in volo
ricorda il legame antico con il fiume in cui rischiò di annegare;
Haku e Chihiro sentivano di conoscersi fin dall’inizio della vicenda,
e si sono protetti vicendevolmente
in un processo naturale di recupero,
fino a ricostruire all’unisono la vicenda che li unì;
Orfeo sfida forze a lui superiori
per tentare di recuperare l’amore impossibile,
scuote Euridice dall’oblio,
tenta di riportarla con sé in vita, ma invano.

Orfeo e Chihiro tornano dal regno delle anime: il primo con
la rafforzata consapevolezza di un amore disperato che canterà fino alla morte;
la seconda con nuova maturità, con la consapevolezza, assai diversa, di un
amore che l’ha fatta crescere e di scelte che ha potuto compiere autonomamente;
se in Orfeo regna la rassegnazione della perdita, in Chihiro questa perdita è
rafforzativa e vissuta come momento di passaggio inevitabile, scritto come
quella strada smarrita che la condusse nella città incantata.

L’amore, l’acqua, il fiume, l’oblio scorrono in modo
contrapposto lungo i canali delle due opere nella cognizione comune della
necessaria separazione fra realtà terrena ed ultraterrena.

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