Il cinema è la forma artistica attualmente più rappresentativa del grado evolutivo di questa società, poichè l’immagine domina incostrata quel che rimane dell’umanità.
Ci siamo consapevolmente violentati, nel momento in cui abbiamo affidato all’immagine il processo di disumanizzazione.
Come lo hurt locker toglie la possibilità di detonare ai gingilli bellici, il nostro culto della carne ha bloccato la fonte stessa dell’umanità.
Dunque, il cinema.
Considero il cinema uno specchio, lo specchio del livello di creatività, di genialità, di robustezza della società che va a rappresentare. No, meglio, della società cui si rivolge, del grado di consistenza da sostenere in riferimento ad un determinato target.
Il cinema degli ultimi anni mi sorprende quotidianamente per la diffusa pochezza delle storie narrate, per la mancanza di qualità, per la sfarzosa tecnica che svuota il plot, che consente a chi mette in scena un’opera di tralasciare la trama stessa.
Noi siamo l’ordigno detonato, il cinema pure.
Tecnologia e culto dell’immagine ci stanno affossando, svuotando, ridicolizzando.
E noi osserviamo muti, nell’inerzia quotidiana.
Sarebbe interessante analizzare l’iconografia cinematografica dagli anni 70 ad oggi, estrapolarne i caratteri distintivi, confrontare dati in una Caccia Sadica, che, pur nella sua ovvietà, potrebbe poi fornire una scala di valori molto interessanti, uno specchio itinerante della società in cui quel cinema, negli anni, si è dovuto collocare.
Nel frattempo, frammenti cinematografici entrano ed escono dal mio campo visivo interno in completa autonomia.
Il suono dell’armonica di Armonica in “C’era una volta il west”; il valzer di Strauss negli spazi cosmici e introspettivi di “2001: odissea nello spazio”; la pioggia battente sul viso del cacciatore Deckard in “Blade runner”; lo sguardo fuoriuscito di Aberto Sordi in “Detenuto in attesa di giudizio”; il delirio del comandante Willard/Brando in “Apocalypse now”; il cinema che entra nella vita in “La rosa purpurea del Cairo”; la stralunata evasione in bianco e nero di Tom Waits e Roberto Benigni in “Daunbailò”; la roulette russa ne “Il cacciatore”; il bimbo che osserva se stesso, adulto, morire, ne “L’esercito delle dodici scimmie”.
Si, forse ci siamo persi qualcosa.