A Gabriele, caro e fraterno amico
Accade sovente di scartare un film a priori, per via del genere sotto la cui egida viene collocato. E’ –questa- una scelta discutibile, perché il cinema dovrebbe essere una forma di comunicazione che utilizza un linguaggio universale, a prescindere dalla catalogazione delle sue singole, mutevoli estrinsecazioni. La qualità è un dato che percorre trasversalmente i generi, ed è pacifico che ci si possa imbattere in un buon thriller o in una pessima commedia. Ogni film è potenzialmente in grado di trasportare un concetto, di rendersi foriero di messaggi diretti o simbolici che trascendono la famiglia d’origine dell’opera.
Il genere non è una parola come può esserlo Alphonse o Barnaby, non è un movimento o una corrente artistica, non è una tendenza culturale o ideologica, ma si riduce a semplice aggettivo ornamentale, a fregio che parla dello stile ma non denota i contenuti intrinseci di un’opera.
E allora può accadere che vi sia tutt’altro sotto le bombe di un film di guerra, dietro una sparatoria di un western, o al di là del cavallo alato di un film fantastico.
Il cinema riproduce sogni, è base e terreno fertile per le fantasie umane, anche quando tratta di argomenti reali. Chi realizza siffatte produzioni cinematografiche (biopic e simili) compie sempre e necessariamente uno sforzo di fantasia per riportare a galla la storia di una vicenda o di un uomo, incidendo su di esse a livello interpretativo, anche nel caso in cui si raggiungano eccellenti livelli di verosimiglianza.
Mi soffermo ora – in particolare- su alcune opere attribuibili al presunto genere di fantascienza.
“2001: Odissea nello spazio” è davvero un film di fantascienza? O è forse un immenso e sublime manifesto antropologico che percorre la storia umana dalla formazione del linguaggio al rapporto con le macchine, inoltrandosi in un viaggio che attraversa lo spazio e conduce dentro l’uomo stesso?
E “Blade Runner” è un film che narra di un cacciatore di taglie e di androidi antropomorfi o è forse un’opera che introduce il sofisticato argomento delle intelligenze artificiali e del rapporto dell’uomo con esse?
“Moon” è un film che ipotizza la presenza di basi spaziali sulla luna o è piuttosto un modo per analizzare e condannare la clonazione e le conseguenze della sua applicazione al genere umano?
E ancora, “Brazil” è il dipinto folle di un regista visionario o forse la versione utopica e lungimirante di una società di cui Gilliam ha colto gli eccessi trent’anni prima che questi producessero i loro effetti distorti?
Queste ed altre opere utilizzano il veicolo fantascientifico (l’intuito mi suggerisce un’astronave) per comunicare significati universalmente riconosciuti; dietro la targhetta di facciata rivelano una natura complessa che merita di essere approfondita, non una ma più volte.
Gli esempi da citare sono innumerevoli, di qualsiasi genere si tratti.
“Apocalypse now” , “La sottile linea rossa” o “La grande guerra” sono semplicemente film di guerra? “Amarcord” o “Il marchese del grillo” sono commedie o qualcosa di più? E “Parnassus” è un film fantastico o un’esplorazione della mente? “Eyes wide shut” è un dramma o un viaggio nella coscienza e nelle paure umane? E “Inland empire” o “Shining”, cosa sono esattamente? Il “Batman” di Nolan è un film tratto da un fumetto, o una interpretazione estrema della lotta fra il bene e il male? Il “Dracula” di Francis Ford Coppola è la storia di un vampiro o il più intenso racconto d’amore che sia mai stato trasferito in pellicola? “Fantozzi” è un film comico o la rappresentazione caricaturale (ma non troppo) dell’italiano medio? “I cancelli del cielo” o “Corvo rosso non avrai il mio scalpo” sono film western e basta? E “La città incantata” o “Il castello errante di Howl” sono cartoni animati o cos’altro ancora?
Cosa ci potremmo perdere se fossimo detrattori o scarsi estimatori del genere giallo o drammatico o fantastico?
E allora è un dovere abbattere paletti e barriere che non consentano una visuale nitida della proposta di un’opera cinematografica, perché altrimenti potrebbero sfuggire di mano piccoli film o grandi capolavori quali “Big fish”, “L’impero del sole”, “Fino alla fine del mondo”, “L’esercito delle dodici scimmie”, “C’era una volta il west”, “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, “Io non sono qui”, “Dersu Uzala”, “Sogni”, “La città proibita”, “Kill Bill”, “Fight club”, “Allucinazione perversa”, “Control”, “Francesco”, “Man on the moon”, “Eternal sunshine of the spotless mind”, “Angel heart”, “Existenz”, “Vero come la finzione”, “Lemony Snicket”, “Stand by me”, “Il grande freddo”, “Motel Woodstock”, “Quei bravi ragazzi”, “I love radio rock”, “Dune”, “A serious man”, “Via da Las Vegas”, “Full metal jacket”, “Le relazioni pericolose”, “La finestra sul cortile”, “Rosemary’s baby” , solo per citare alcune delle gemme che brillano nelle immense distese cinematografiche.
E’ bene sapersi concedere e porsi senza pregiudizi al cospetto di categorie che lasciano il tempo che trovano.
Senza la giusta dose d’indiscrezione è difficile assaporare il gusto imprevisto e ammaliante della sorpresa. E’ quindi necessario approcciarsi al cinema con lo sguardo curioso dei bambini, perché può capitare di trovare contenuti d’interesse filosofico, culturale, artistico laddove non lo si ritiene possibile, e di scovare oggetti preziosi all’interno di scrigni insospettabili.