Come saetta,
come dardo improvviso,
il concetto di Retrobottega mi taglia in due il cranio.
Poniamo che ogni individuo sia un ufficio in cui si scambiano informazioni,
una microstruttura deputata al baratto delle idee.
Se si scavasse sotto la superficie comunicativa,
se non c’interfacciassimo tramite limitanti Front-Offices,
se mettessimo in contatto diretto i legni tarlati dei Retrobottega,
quei non-luoghi in cui creiamo pensieri, in cui plasmiamo concetti,
tutto sarebbe diverso.
Si delineerebbero fervide relazioni senza filtro.
Se fossimo imbarcazioni,
penserei alla sala-macchine che ne alimenta ogni spostamento.
Se fossimo il Pianeta,
citerei il nucleo fuso e iridescente,
che trasporta elementi vitali in superficie grazie alle spaccature vulcaniche,
sistema che tanto somiglia al modo che le idee hanno di emergere dalle profondità.
La valvola di sfogo,
il vulcano,
elemento insieme creativo e distruttivo,
eleva i minerali che concedono alla vita d’essere,
espelle il magma rigenerante della creazione,
ma è altresì foriero di morte e resurrezione.
Può annichilire senza preavviso,
per poi riavviare lentamente il sistema in modalità provvisoria.
Così è per le idee.
All’incrocio fra mente cognitiva e mente sensibile
potremmo trovare,
-cigolante-
un segnavento in ferro,
ad indicare la direzione oscillante verso il Piano Sottile,
altro non-luogo,
di condivisione e di scambio liquido fra i retrobottega,
fra le sale-macchine,
fra i nuclei fusi che battono il tempo alla rovescia della giostra esistenziale.