Sono andato con grande entusiasmo e un’overdose di aspettative a vedere “Skyfall”, l’ultima versione di 007 targata Sam Mendes. Per quanto io non sia un appassionato del genere, tre fattori mi hanno spinto ad andare a vedere il film: anzitutto la regia di Mendes, indubbiamente un ottimo autore; in secondo luogo, i commenti entusiastici di alcuni amici cinefili; infine e soprattutto un giudizio lusinghiero da parte di Gian Luigi Rondi, un critico che stimo, in cui il medesimo esprimeva il suo (raro) entusiasmo, parlando di un film convincente, della magnificenza visiva dell’opera, di una trama ben costruita, e di personaggi più intensi rispetto agli standard dei film su James Bond. Oltretutto la mia eccitazione è montata a causa del tempo (circa due settimane) che ho dovuto attendere prima di vedere il film: non amo andare al cinema da solo, e non ho trovato nessuno disposto a venire prima di incontrare, nel corso di un pomeriggio uggioso, il mio caro amico Paolo, col quale ci siamo concessi l’ultimo spettacolo di Skyfall, in una serata umida e carica di dubbi.
Ecco un resoconto dell’opera in pillole.
Pronti via e veniamo proiettati ad Istanbul, dove parte un inseguimento mozzafiato fra i bazar turchi, con la jeep di Bond chetravolge indiscriminatamente bancarelle e passanti; poi l’inseguimento si prolunga, in moto, sui tetti della città, e ancora su un treno dove Bond aziona una pala meccanica con la quale squarcia uno dei vagoni in corsa; pochi istanti e lo stesso 007 viene colpito per errore da una “collega” precipitando nel fiume da un’altezza di decine di metri; seguono alcuni minuti di videoclip, con la splendida voce di Adele a far da sottofondo; ben presto Bond resuscita, e gioca a scolarsi tequila chissà dove con uno scorpione per amico; vede in tv esplodere la sede inviolabile dei servizi segreti britannici e decide di tornare a Londra, dove supera test psico-fisici per essere riabilitato come agente dello MI6 (cioè non li supera realmente ma viene riammesso perché senza di lui non è la stessa cosa); e così d’un tratto è di nuovo operativo a Shangai, dove si aggrappa per 40 piani ed oltre a un ascensore in salita rapida, nonostante una spalla a pezzi; arrivato in cima devasta un piano del palazzo, scaraventando di sotto il malcapitato antagonista, che stranamente muore; due minuti e Bond è a Macao, dove finisce in mezzo a una rissa cruenta, e salta con destrezza sul dorso di un varano mentre un altro drago divora i nemici di turno; s’infila nella
barca (e nella doccia) della donna che lo condurrà per incanto dal viscido e spietato Silva (Javier Bardem), che fa di tutto per farsi catturare anche se nessuno se ne accorge (e la chiamano Intelligence); ma siamo di nuovo a Londra, dove Silva subito scappa e inizia a far brillare le viscere della città; Bond lo insegue, salta sul metrò in corsa, lo raggiunge, ma Silva gli fa deflagrare alcune tonnellate di cemento addosso; Bond si ripulisce, si rialza, ma dalla voragine post-esplosione gli piomba addosso un intero treno della metropolitana; si procura una lieve escoriazione ma non desiste, e corre a risolvere la cambogia scatenata da Bardem in un tribunale londinese, e poi ancora inseguimenti, e infine la scena si trasferisce in Scozia, nella casa d’infanzia di Bond, dove M, vero obiettivo del nemico, farà da esca; arriva l’imbrunire e Silva si presenta con un commando che pare Platoon, scarica addosso alla casa di Bond tutti i mitragliatori a disposizione mentre 007 schiva pallottole come neanche Neo su Matrix, finchè un elicottero non si schianta sul cottage e tutto esplode nella notte e il cielo sembra venire giù; ma Bond è fuggito dal passaggio segreto, e mi aspetto che entri in scena Harry Potter, ma no, Bond scappa nella notte e, braccato, precipita con l’ennesimo cattivo in un lago ghiacciato, dove ha il tempo di battersi, soffocare il tizio, risalire in superficie, rendersi conto di non trovare una via d’uscita, ridiscendere, tornare dal tizio ormai cadavere, prendergli un razzo, spararlo verso il pelo congelato dell’acqua e uscire; raggiunge quindi la cappella dove Silva sta per finire M, e uccide l’infido nemico con una stilettata improvvisa lanciata nell’oscurità con mano ferma nonostante il principio di congelamento, neanche fossimo nella foresta dei pugnali volanti.
Mi è capitato di ammirare Daniel Craig in alcune buone performance, come in “Millennium”, ma l’attore inglese non sembra tagliato per il ruolo di 007: non ha la classe e l’eleganza di Connery o l’aplomb britannico di Moore, ed è quasi ovvio che finisca col fornire una versione esasperata e fin troppo muscolare di Bond; i suoi movimenti da Robocop sono goffi e rigidi, e ancor più incomprensibile è la scelta di mostrarlo spesso in una stramba posa contemplativa, con le gambe divaricate fra i 45 e i 60 gradi e lo sguardo vacuo e perso nell’orizzonte impalpabile dell’opera.
Oltre a non intravedere i cambiamenti epocali (tanto annunciati) di questa rilettura del celebre personaggio di Fleming, mi pare di intuire che Sam Mendes abbia voluto fare su 007 un lavoro simile a quello che è stato fatto su Batman da Christopher Nolan; ma Mendes, per quanto bravo, non è Nolan,e James Bond non è un personaggio dei fumetti.
Eppure Londra sembra Gotham City, 007 diventa un Cavaliere Oscuro, M. fa un discorso sulle ombre che recupera il decadentismo concettuale e le atmosfere di Batman, Q sembra una versione giovane e sofisticata di Lucius Fox, Bardem appare distintamente come un Joker albino ed effeminato, e , nonostante tutto, Skyfall non riesce ad esprimere con la stessa forza ed efficacia de “Il cavaliere oscuro” i concetti di bene e male e il loro legame imprescindibile ed interdipendente, e la conclusione è che questo nuovo Bond abbia smarrito completamente la propria identità, raggiungendo una forma ibrida e priva di significato.
In conclusione, cosa c’è in “Skyfall”, oltre l’intrattenimento, oltre la potenza estetica e i virtuosismi tecnici (la bellezza delle scene notturne a Shangai è innegabile), oltre gli effetti speciali sontuosi e l’azione sfrenata? Bè, io direi: un bel niente.
“Non spreco mai un panorama” – dice Craig/Bond a un certo punto dell’opera, ed è soltanto una delle frasi memorabili di un film amaramente inutile.