Cigolante vetustà

Un tempo parlai con un vecchio signore,

incattivito dalla solitudine e da un conseguente e cinico pragmatismo.

 

Gli domandai:

“Come vanno le cose? Come passa i suoi giorni? Cosa fa?”

Lui mi rispose

– con voce trascinata, e cigolante come un armadio tarlato :

“E cosa vuole che faccia! Aspetto!”

Ed io:

“Ma cosa aspetta?”

E lui:

“Cosa vuole che aspetti?

Aspetto…la morte!!”

 

Dall’epoca ho fantasticato molto sulla morte stessa,

su come fosse viva per questa persona,

che l’attendeva con una certa trepidazione.

 

Quella voce cigolante mi suggerì di sdrammatizzare l’evento della morte,

anche se poi i procedimenti emotivi tentano sovente,

ed inevitabilmente,

di staccarsi dalla cordata lineare di una verità in ascesa collettiva.

 

Poi, un giorno, e senza alcun preavviso, si affacciò alla mia finestra Suttree,

splendida creatura mccarthiana.

I morti sono oltre la morte. La morte è ciò che i vivi si portano dentro. Uno stato di angoscia, come un’inquietante anticipazione di un ricordo amaro. Ma i morti non hanno memoria e il nulla non è una maledizione”  – mi spiegò in lettere.

 

Concetti interessanti.

La morte come una sorta di angoscia a vibrare sottopelle,

la morte come anticipazione di un ricordo amaro.

 

Ciò fornisce una dimensione futura al ricordo,

e pone la morte dentro la vita,

come se l’angoscia fosse la consapevolezza di qualcosa che già sappiamo,

come se il ricordo non avesse un’esatta collocazione temporale.

 

Le parole che scrivo si tramutano automaticamente in ricordo,

e nella successione tutto si appiattisce.

 

Ogni cosa è adesso, ieri, domani, sempre.

Per questo la morte è ciò che i vivi si portano dentro,

per quanto i morti vengano dopo la morte stessa.

 

Ritorno al concetto di morte come anticipazione di un ricordo.

Ma allora mi chiedo: i morti hanno memoria?

 

Il ragionamento potrebbe così condurre alla teorizzazione di una coscienza

collettiva eterna e  multi-sfaccettata,

a banalizzare la morte  -che diviene parte della vita-

a leggere la fine di ciascuno

come un impercettibile continuum del pensiero nello spazio e nel tempo.

 

Madre Natura,

miniera di bellezza,

fonte infinita di sorprese interdipendenti.

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