“Le nostre vite e le nostre scelte, come le traiettorie dei quanti, sono comprese momento per momento; a ogni punto d’intersezione, ogni incontro suggerisce una nuova potenziale direzione. Ieri la mia vita andava in una direzione, oggi va in un’altra”. Il concetto di Isaac Sachs –uno dei personaggi di “Cloud atlas”- illustra meglio di un’immagine il manifesto di presentazione del film.
“Cloud atlas” è il frutto del lavoro congiunto dei fratelli Wachowski e di Tom Tykwer (co-autore anche della colonna sonora del film): i tre registi hanno smontato e rimontato il romanzo omonimo di David Miitchell, realizzando un’opera caleidoscopica capace d’ingenerare infinite strutture parallele e simmetriche nell’arco di cinque secoli di storia dell’umanità.
“Cloud atlas” è qualcosa più di un film. E’ un esperimento di proporzioni immani, che si spinge oltre l’universo cinematografico conosciuto, che rifiuta forme e regole convenzionali, e l’idea stessa di seguire linee scontate o prevedibili di realizzazione: il film trascende ogni genere o catalogazione, infrange ogni barriera di tipo stilistico, concettuale, narrativo, e si propone di riscrivere il modo di fare cinema secondo canoni rivoluzionari; è una Babele multicolore in cui si dipana ed estrinseca la storia dell’uomo, è un mosaico quadrimensionale i cui tasselli fluttuano alla ricerca della giusta collocazione; è un’esperienza visiva e sensoriale di altissimo livello, che priva di ogni comune certezza percettiva e ribalta il modo di leggere e interpretare gli avvenimenti; è un film sul continuum spazio temporale, è l’acqua, l’oceano, la vita; è la vibrazione prodotta da microscopiche e affilatissime superstringhe; è una sinfonia orchestrata magistralmente, la cui eco si diffonde in ogni direzione, e persino oltre i confini dell’opera, che recapita un messaggio di cui è degna testimone: “Io non sarò mai soggetto a maltrattamenti criminosi”.
Il film è organizzato su vari livelli: c’è un piano superficiale in cui si sviluppano sei storie piuttosto semplici ambientate in epoche lontanissime fra loro; c’è poi un secondo livello narrativo, la meta narrazione che contiene –come uno scrigno magico- il prezioso significato del film, il collante universale che tiene insieme le singole vicende, che in apparenza e di primo acchito sembrano separate, per poi rivelare un legame d’interdipendenza così intenso da divenire esso stesso il fulcro su cui ruota l’intera esistenza. .
Un vecchio sfigurato racconta una storia nella notte. E subito si finisce fra le maglie aggrovigliate e fittissime di “Cloud atlas”, nel cuore di sei storie che fungono da specchietti per uomini e allodole, che luccicano e ingannano e stordiscono, finchè il prospetto d’insieme non diviene chiaro e delineato in ogni suo particolare, e le trame e gli orditi del film si districano armonicamente.
1839. Il diario dell’avvocato Ewing racconta il viaggio d’affari dell’uomo nel Pacifico: Ewing rischierà di morire a causa dell’avidità umana, e stringerà amicizia con lo schiavo clandestino Autua, grazie a cui maturerà la forza di concepire una società diversa da quella in cui vive.
1936. Robert Frobisher, giovane e spiantato compositore innamorato dell’amico Rufus Sixsmith, parte in cerca di fortuna e approda nei pressi di Edimburgo, a casa di Vyvyvan Ayris, celebre ma ormai vecchio musicista in crisi di creatività. Qui Frobisher comporrà la sua prima opera, “The cloud atlas sextet”, ma sarà costretto a decisioni drastiche a causa dei ricatti di Ayris.
1973. California. La giornalista Luisa Rey, alle prese con un’inchiesta sulle scarse misure di sicurezza di una centrale nucleare, s’imbatte nel vecchio fisico Rufus Sixmith e in Isaac Sachs, un dipendente della centrale, che, assieme a un vecchio amico del padre, l’aiuteranno a fare luce sulla vicenda. Un sicario è sulle loro tracce.
2012. Timothy Cavendish, attempato editore londinese, ha grande successo grazie all’autobiografia di un criminale. Finito nei guai per via dei debiti, chiede aiuto al fratello, che, con l’inganno, lo fa internare in una casa di riposo gestita come un carcere, da cui Cavendish tenterà di evadere.
2144. Neo Seul. In una società totalitarista gli uomini sono fabbricati ad uso e consumo del sistema, senza poter ambire a una vita reale. Somni 451 è un clone che lavora come cameriera/schiava presso una mangeria . Somni, con l’aiuto di sua “sorella” Yoona 939 matura l’idea che quel sistema è sbagliato, che si può ambire a un modo diverso di vivere. Il “purosangue” Hae-Joo Chang , membro dei ribelli, la libera e la conduce nel cuore della resistenza, dove Somni scoprirà quanto è profonda la tana del bianconiglio.
2321. Hawai, dopo l’apocalisse. In un mondo devastato dalle radiazioni, i superstiti sono tornati a uno stile di vita semplice, primitivo. Zachri è un pastore che vive in una valle col suo popolo, nel terrore quotidiano della spietata tribù cannibale di Kona e del diavolo Old Georgie, che tormenta e infetta la mente dell’uomo. Meronym, membro di una civiltà tecnologicamente avanzata, giunge sull’isola in cerca di un luogo misterioso, ma gli serve una guida. Zachri le sarà d’aiuto.
Queste sono le sei tracce narrative, che i registi propongono inizialmente in una successione frammentaria e non lineare che spiazza e disorienta l’occhio dello spettatore. Le infinite traiettorie individuali si sommano gradualmente fino a fornire un quadro unico, immenso, onnicomprensivo. Cause ed effetti si sincronizzano e i legami fra epoche e personaggi diversi si allacciano fino a comporre un affresco di rara bellezza estetica.
La successione di eventi interconnessi, la concatenazione delle idee e delle azioni fungono da ponte di passaggio fra presente, passato e futuro.
Gli avvenimenti si susseguono in un tourbillon tale che tempo e spazio si comprimono e dilatano come abnormi fisarmoniche, fino a smarrire consistenza e significato; ogni cosa è adesso e sempre , nonostante muti forma e si traduca in una sfumatura più o meno intensa del medesimo colore. Nulla si perde, ed ogni gesto ed ogni persona lasciano un segno; ogni scelta produce conseguenze che si ripercuotono nella cassa di risonanza dell’eternità, e i percorsi dei singoli individui si propagano in modo esponenziale fino a delineare e comporre l’odissea della vita. Le sei tracce narrative rappresentano quindi i minuti ma essenziali filamenti di una ragnatela tessuta da sarti eccelsi, una ragnatela che rappresenta l’immensità. “La nostra vita non è nostra” –rivela Somni 451- “Da grembo a tomba siamo legati ad altri, passati e presenti, e da ogni crimine e ogni gentilezza generiamo il nostro futuro”
L’equilibrio che gli autori riescono a creare grazie al montaggio sontuoso e incalzante di Alexander Berner assume le sembianze di un prodigio dell’immaginazione: capita di balzare improvvisamente da un parete di vetro in frantumi nella tetra e tecnologica Neo-Seoul del 2144 alla crepa che si allunga sul vetro dell’auto di Luisa Rey nel 1973.
L’impressione è di muoversi fra le malferme dune di un deserto sconfinato che concede di orientarsi per pochi istanti prima di perdersi ancora, e ancora, fino al punto in cui l’intricata e sopraffina architettura diviene il film stesso.
Il film punta un obiettivo situato oltre la superficie, verso la pura coscienza; è un viaggio alla ricerca del sè e della Verità, un progetto di navigazione alla deriva che dondola lo spettatore lungo un’orbita emozionale che termina sulla volta nera e stellata dello spazio profondo, laddove tutto era iniziato. “Cloud atlas” è un’opera inclassificabile che racconta la vita, è un film che non inizia e non finisce realmente, è un lento e dolce barcamenarsi alla ricerca di un Graal che è l’uomo stesso, è tutto e niente, e le risposte non esistono; esiste un enorme meccanismo che ruota su se stesso, grazie alla spinta di azioni e reazioni di infinite particelle che compongono una forza unica.
“Essere vuol dire essere percepiti. Pertanto conoscere se stessi è possibile solo attraverso gli occhi degli altri. La natura della nostra vita immortale è nelle conseguenze delle nostre parole e azioni, che continuano a suddividersi nell’arco di tutto il tempo.”
Per seguire il falsopiano espositivo proposto da Tykwer e i Wachowski, occorre mettere tutto in discussione, a partire da un certa abitudinaria attitudine a recepire le immagini: è necessario lavorare su stessi, lasciarsi alterare, intercettare il flusso meta-narrativo che scorre oltre le circostanze, slegarsi dai singoli accadimenti, pur tenendoli in considerazione per comprendere la circolarità della messa in scena.
Occorre abbandonarsi, lasciarsi estraniare e guidare lungo l’impercettibile sopraelevata che funge da raccordo e campo unificato di tutte le forze dell’universo.
Ogni caratterizzazione contiene una parte sepolta ed una che affiora, un germoglio immaturo ed uno pronto a sbocciare: in tal senso gli interpreti si rivelano straordinariamente versatili: la dedizione degli attori è tale da rendere credibile ogni singola trasformazione, ogni minuta evoluzione della biglia iridescente che l’opera incarna. Ciascuno è frutto e risultato di mille contrasti e sovrapposizioni: sulla mappatura genetica di ognuno c’è scritto chi è e chi potrebbe essere, c’è la somma di tutto quanto ne abbia potuto condizionare la vita e il pensiero, in modo più o meno consapevole. Le persone possono rimanere uguali a se stesse oppure mutare ed evolversi, e tale cambio di rotta non si compie lungo il percorso di una singola vita ma attraverso l’immensità. Tutto si riduce- in sintesi- al libero arbitrio (“Devi fare tutto quello che non puoi non fare”-dice Luisa Rey a Napier).
Tutti i protagonisti del film sono importanti perché mossi da una sorta d’illuminazione potentissima, un’intuizione che insinua un dubbio violento, che genera la forza e la convinzione di poter abbattere la statizzazione forzosa delle idee e ribaltare il sistema precostituito di una società corrotta. “Ogni confine è una convenzione che attende d’essere trascesa. Si può superare qualunque convenzione, solo se prima si può concepire di poterlo fare” – scrive Frobisher in una delle sue lettere a Sixsmith. Minuscole comete segnano simbolicamente la pelle di tutti i personaggi coinvolti in questa rivoluzione delle idee, nella possibilità di concepire qualcosa di diverso e di lasciare un segno importante ai propri simili, di ispirare e modificare il futuro, di comunicare geneticamente quella intuizione embrionale all’uomo che verrà, in modo che qualcuno la raccolga e sviluppi, ne prenda consapevolezza, ne tragga quindi ispirazione per ovviare alla paura e passare all’azione.
L’intuizione di ribellarsi si trasmette e moltiplica nel tempo fino a guadagnare forza e autorevolezza e ad esplodere poi nel divenire dell’essere. “Non importa se siamo nati in una vasca o in un grembo” –annuncia al mondo il clone Somni– “Siamo tutti purosangue. Dobbiamo tutti combattere, e se necessario morire, per insegnare alle persone la verità“.E’ un deja vu genetico, esistenziale, che illumina la via diretta a quel campo singolo e unificato che è alla base di tutti i fenomeni dell’universo; è l’intuizione dell’idea di giustizia, dell’ordine naturale delle cose, dell’unione primigenia di tutte le particelle, di quel punto da cui tutto ha origine e verso cui tutto tende senza soluzione di continuità.
“Libertà, il frivolo motivetto della nostra civiltà” –spiega il vecchio Cavendish in cattività– “Ma solo quelli che ne sono privati hanno il benché minimo sentore di cosa sia realmente”.“Cloud Atlas” esprime il desiderio universale di libertà del genere umano.





