E d’improvviso Jung

Mi viene in mente un passo di “Io e l’Incoscio” di Carl Jung, per un motivo semplice:
la pochezza della societas humana e dell’uomo in rapporto ad essa,
la follia della logica autolesionista cui essa conduce chi l’ha creata,
la visione della società come via di fuga collettiva, come spazio che cancella l’individuo,
come maschera dietro cui poter celare, sovente, il nulla presso le cui sponde approdammo, senza poterlo sapere.

L’identificazione con l’ufficio o col titolo ha perfino qualcosa di seducente,
sicchè molti uomini non sono nient’altro che l’ufficio conferito loro dalla società.
Sarebbe vano cercare sotto tale scorza una personalità. Dietro la gran gonfiatura si troverebbe solo un miserabile omiciattolo.
Perciò l’ufficio (o quale altra sia questa scorza esteriore) è così seducente: perchè rappresenta una comoda compensanzione delle insufficienze personali
.”

Questa società finirà per vincerla sull’individuo,
dietro la boria non rimane altro,
dietro il ruolo s’annida la pochezza,
dietro l’arroganza imperversa il vuoto,
dietro la struttura si cela l’inconsistenza.

3 risposte a “E d’improvviso Jung”

  1. Robert Walser, in Jacob Von Gunten, capovolge completamente questa prospetiva peraltro piuttosto ben sedimentata nell’immagianrio collettivo dei colletti bianchi, in un passaggio in cui il protagonista afferma, cito a memoria, di non volere un lavoro che non lo impegni anima e corpo ;
    personalmente non credo molto al dualismo indviduo società, in cui l’individuo viene schiacciato come vittima sacrificale, anche perchè la società dei lavori grigi e tutti uguali ( impiegati/operai), ha saputo ben allevare individui grigi e tuti uguali, e peraltro con l’imminente crollo di energia e risorse pro capite da declino dei combustibili fossili tornerà di moda il lavoro manuale.
    Mentre assistiamo al crollo della facile morale per tutti da light crude, ed al crollo dei titani della tecnica , consiglio, Jungerianamente , ( Ernst Junger ), di darsi alla macchia. ( Der waldgang)

  2. …Forse da una società ipertrofica per l’abbondanza di risorse e gli smisurati appettiti, ma poco differenziata, dovremo sforzarci di costruire, ( giocoforza per il declino di risorse procapite), una comunità qualificante e di persone ben impegnate e quindi anche più soddisfatte, lasciando perdere ogni vana ambizione di PIL…Il problema è che la transizione non sarà niente altro che una lunga emergenza in cui ci troveremo a compostare la necessità di trovare qualcosa di buono per tutti : ci aspetta un ” banchetto di conseguenze ” (Robert Louis Stevenson)

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