“Mulholland drive” è un film del 2001, scritto e diretto da David Lynch . E’ un capolavoro di ingegneria onirica, un’opera che indaga sui misteri della psiche, sulla magnificenza delle creazioni che la mente sia in grado di generare nei suoi recessi più angusti e profondi. Il regista elabora un percorso fuorviante e apparentemente indecifrabile, irto d’ostacoli e messaggi simbolici che conducono poi al rovesciamento di tutto quanto appaia.
Dopo il fugace e travolgente preambolo che introduce la protagonista, radiosa vincitrice di una gara di ballo, la camera indugia fra le pieghe di una coperta rossa, per poi precipitare all’aeroporto di Los Angeles, dove Betty è sbarcata in cerca di fortuna. Betty proviene dalla provincia australiana, è una ragazza ingenua a e disincantata, convinta di poter sfondare nel mondo del cinema grazie al suo talento nella danza. Sua zia, attrice a sua volta, è partita per un lungo viaggio, lasciandole a disposizione una confortevole dimora. Giunta a destinazione, Betty trova in casa Rita, donna criptica e procace, che ha perso la memoria in seguito a un incidente stradale. La donna sembra nascondere un segreto orribile: paura, smarrimento, una chiave azzurra e una borsa piena di soldi rappresentano il suo biglietto da visita, ma Betty non si scompone e anzi si offre di aiutare Rita a ricostruire gli ultimi istanti della sua vita.
Mentre le due donne si conoscono e Betty si fa largo ad Hollywood in modo tanto repentino quanto insperato, alcune strambe vicende si susseguono in modo frammentario e volutamente caotico: due uomini approfondiscono il contenuto di un sogno in un bar e compiono un incontro spaventoso; una grottesca riunione di produzione cinematografica si svolge alla presenza di bizzarri malavitosi, sotto il controllo di un inquietante deus ex machina; il regista di successo Adam Kesher perde in un colpo solo la moglie, la casa, il lavoro e il conto in banca, e per salvare la carriera incontra un cowboy in una scena memorabile del film; infine un killer maldestro arranca in modo tragicomico nel tentativo di compiere la sua missione.
L’atmosfera è costantemente intrisa di suspense e di un orrore indecifrabile grazie alla regia sfuggente e non lineare di Lynch, all’indeterminatezza dei ruoli e dei personaggi, e all’enfasi prodotta dalla poderosa colonna sonora di Badalamenti, che carica di angoscia e trepidazione i momenti salienti della vicenda. In questa baraonda distonica le vicende delle protagoniste si velano di mistero fittissimo via via che tentano di risalire alla reale identità di Rita. Più si inoltrano a ritroso nel sentiero della memoria, più divengono complici ed intime, innamorandosi di un amore tanto intenso e istintivo da somigliare a un flashback. A cavallo di brandelli mnemonici, le due donne giungono in un teatro (Club Silencio) nel cuore della notte: è il teatro della tragedia, che apre il sipario sulla verità che Betty tenta invano di nascondere. “Silencio… No hay banda. È tutto registrato. È tutto un nastro. È solo un’illusione“. È il siparietto della mente, è il punto in cui termina l’illusione e divampa il puro terrore, poichè la protagonista percepisce l’inganno che lei stessa ha prodotto.
Una scatola blu si materializza nella borsa della donna. Rita la apre, ed essa inghiotte ogni cosa in una voragine, capovolgendo gli accadimenti che si riproducono poi sulla base di una falsariga rivoluzionata. Il colore blu, ancora una volta in un film di Lynch , è il simbolo dell’attività elettrica, è il colore di passaggio fra una dimensione e l’altra, è il varco che segna il transito fra la veglia e il sonno (e viceversa), fra la vita e la morte; è un monito, un indizio decisivo, che riattiva i percorsi della memoria e riporta tutto in superficie, è lo scrigno in cui la protagonista confidava di aver nascosto e sigillato la verità.
E così nella seconda parte ritroviamo i luoghi e i personaggi della prima, ma la prospettiva è stravolta. Il nome di Betty è Diane Selwyn. E’ arrivata dalla provincia a L.A. ma le cose non sono andate come sperava. Diane arranca e ottiene ruoli secondari solo grazie a Camilla Rhodes (Rita nella prima parte), attrice talentuosa e sua amante clandestina. Adam Kesher è un regista di grande successo, sceglie Camilla per il ruolo di protagonista nel suo film e ne diviene l’amante. Camilla, man mano che la relazione con Adam prende campo, lascia Diane, e quest’ultima, rosa dall’invidia e dalla gelosia, inizia a smarrire se stessa, fino a scivolare nella follia alla notizia del matrimonio fra Adam e Camilla. A quel punto Diane perde la testa e
ingaggia un killer per uccidere Camilla: l’uomo accetta e avvisa Diane che nel momento in cui il lavoro sarà ultimato, troverà una chiave azzurra nel luogo stabilito.
Il film è diviso in due parti fra le quali esiste un vero e proprio solco concettuale: il piano reale e quello metafisico si confondono, amalgamandosi in percorsi distinti ma sovrapposti. La prima parte di “Mulholland drive” precipita letteralmente nel sogno e nelle architetture emotive della protagonista: la narrazione affusolata, estemporanea, tratteggiata e frammentaria è il segnale di una dimensione irrazionale, che viaggia su binari sommersi. Il film è un viaggio nel subconscio di Diane, è una fuga disperata della psiche dalla verità. Lynch mostra dapprima questo tentativo di “fuga” e poi il riscontro di un’esistenza squallida, che la protagonista aveva nascosto idealmente in un contenitore obliante.
Il meccanismo del film sembra riprendere il modello freudiano di sogno, secondo cui quest’ultimo possiede un livello emerso e uno latente. Il primo è dato dalla serie di immagini che la mente mette in scena nel corso della “riproduzione onirica”; il livello nascosto è invece relativo al significato del sogno, all’interpretazione delle immagini emerse, volta a delineare un significato sommerso, a estrapolare materiale inconscio, a risalire la china del desiderio represso da cui il sogno trae origine.
Il film è una calzante e feroce critica al mondo dello spettacolo, che spesso illude e poi tradisce le attese di chi ingenuamente cede ai suoi subdoli meccanismi. E’ un tritacarne che macina aspettative, proponendo un modello seducente che nasconde però degrado e solitudine. E’ un Paese delle Meraviglie in grado di assorbire e cancellare chi non abbia sistemi di difesa adeguati.
“Mulholland drive” è il modo in cui speriamo siano andate le cose, è la versione dei fatti con cui tentiamo di sovvertire le avversità e di redimerci a livello inconscio, è una scialuppa di salvataggio che gettiamo sovente alle nostre proiezioni inconsce nel momento in cui sogniamo una realtà più benevola di quella effettiva. Ma è un inganno effimero, e non restano che la pazzia e forse la morte per cancellare ogni traccia di un rimorso implacabile, che assume le sembianze di un mostro famelico, in agguato chissà dove.