Oblomov

Introduzione del personaggio di Stolz, amico russo-tedesco di Oblomov.

“E’ difficile vivere in modo semplice!” diceva spesso a se stesso, e cercava con sguardo rapido dove fosse una curva, dove una stortura, dove il filo della vita cominciasse ad attorcersi e  a formare nodi irregolari e confusi.

Più di ogni altra cosa temeva la propria immaginazione, questa nostra bifronte compagna di strada, che ha una parte del volto amichevole e l’altra avversa, amica quando di essa meno ci fidiamo, nemica quando ci culliamo fiduciosi nella dolcezza delle sue lusinghe.

Ogni fantasticheria lo spaventava e, se entrava nel dominio di un sogno, lo faceva come si entra in una grotta in cui sia posta l’iscrizione: “Ma solitude, mon hermitage, mon repos”, ben conoscendo l’ora e il minuto in cui ne uscirà.

Per la fantasticheria, per gli enigmi e i misteri non c’era posto nell’anima sua. La parte che di una verità pratica non poteva essere sottoposta all’analisi dell’esperienza, gli appariva come un’illusione ottica, un riflesso di raggi e di colori sulla retina oppure un fenomeno per cui non era ancora giunto il momento dell’esperienza.

Non v’era per lui quel tanto di dilettantismo che si compiace di perlustrare le zone del magico o che induce al donchisciottismo nel campo delle ipotesi e delle scoperte, mille anni prima che esse avvengano. Sulla soglia del mistero, si fermava ostinatamente, senza dimostrare nè la fede del fanciullo, nè il dubbio dell’uomo fatuo: aspettava che si presentasse la legge e, insieme con essa, la chiave per impossessarsene.

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