Collana di Perle (Libera raccolta d’Osteria)

Credo di avere una curiosa immaginazione che mi permette di vedere quello che altri ignorano.

Le mie simpatie vanno a quelli dotati di una profonda e acuta sensibilità, a quelli che sanno dimenticarsi completamente nella contemplazione dell’universo e/o dedizione agli altri e a quelli non “senza incrinature”, ma che fanno errori e sono vulnerabili… Non è l’assenza di difetti che conta, ma la passione, la generosità, la comprensione e simpatia del prossimo e l’accettazione di noi stessi.

Oggi, rispetto a ieri, i giovani usufruiscono di una straordinaria ampiezza di informazioni; il prezzo è l’effetto ipnotico esercitato dagli schermi televisivi che li disabituano a ragionare, oltre a derubarli del tempo da dedicare allo studio, allo sport e ai giochi che stimolano la loro capacità creativa. Creano per loro una realtà definita che inibisce la loro capacità di “inventare il mondo” e distrugge il fascino dell’ignoto.

Dico ai giovani: non pensate a voi stessi, pensate agli altri. Pensate al futuro che vi aspetta, pensate a quello che potete fare, e non temete niente. Non temete le difficoltà: io ne ho passate molte, e le ho attraversate senza paura, con totale indifferenza alla mia persona.

I giovani oggi hanno grandi capacità, ma dal punto di vista culturale sono piuttosto bassi.

L’Italia da l’impressione di essere vecchia, come se fosse prigioniera di una campana di vetro che le impedisca di camminare. Nella nostra classe politica, almeno per quanto riguarda la ricerca medica e scientifica, non c’è la consapevolezza che la conoscenza significa ricchezza. E’ un peccato, perché abbiamo un capitale umano eccellente e un grado di innovazione tecnologica che nulla deve invidiare al resto del mondo. Dalle nostre università escono ragazzi molto preparati che non trovano però un terreno fertile sul quale esercitarsi, così la gran parte di loro, se può, fugge all’estero. Li regaliamo agli altri, per vederli ritornare magari dopo dieci o vent’anni, un po’ più vecchi, un po’ più stanchi. L’Italia non è mai stata in grado di investire sulle capacità intellettuali della sua gente. Manca la voglia di riconoscere il merito.

Credo che la cosa più importante della mia vita sia stato aver dedicato tutto il tempo possibile a chi ha bisogno. Il corpo può morire, restano i messaggi che abbiamo mandato in vita. Perciò il mio messaggio è questo: credete nei valori.

La mancanza di complessi, una notevole tenacia nel perseguire la strada che ritenevo giusta e la noncuranza per le difficoltà che avrei incontrato nella realizzazione dei miei progetti, lati del carattere che ritengo di aver ereditato da mio padre, mi hanno enormemente aiutato a far fronte agli anni difficili della vita. A mio padre come a mia madre debbo la disposizione a considerare con simpatia il prossimo, la mancanza di animosità e una naturale tendenza a interpretare fatti e persone dal lato più favorevole.

A cento anni ho perso un po’ la vista, molto l’udito. Alle conferenze non vedo le proiezioni e non sento bene. Ma penso più adesso di quando avevo vent’anni. Il corpo faccia quello che vuole. Io non sono il corpo, io sono la mente.

Il male assoluto del nostro tempo è di non credere nei valori. Non ha importanza che siano religiosi oppure laici. I giovani devono credere in qualcosa di positivo e la vita merita di essere vissuta solo se crediamo nei valori, perché questi rimangono anche dopo la nostra morte.

Tutti dicono che il cervello sia l’organo più complesso del corpo umano, da medico potrei anche acconsentire. Ma come donna vi assicuro che non vi è niente di più complesso del cuore, ancora oggi non si conoscono i suoi meccanismi. Nei ragionamenti del cervello c’è logica, nei ragionamenti del cuore ci sono le emozioni.

A me nella vita è riuscito tutto facile. Le difficoltà me le sono scrollate di dosso, come acqua sulle ali di un’anatra.

Dovremmo abolire nella nostra testa il concetto di razza. Esistono i razzisti, non le razze. E a me interessano soltanto le persone.

A vent’anni volevo andare in Africa per curare la lebbra. Ci sono andata da vecchia, ma per curare l’analfabetismo, che è molto più grave della lebbra.

Il messaggio che invio, e credo anche più importante di quello scientifico, è di affrontare la vita con totale disinteresse alla propria persona, e con la massima attenzione verso il mondo che ci circonda, sia quello inanimato che quello dei viventi. Questo, ritengo, è stato il mio unico merito.

Più affascinante della foresta vergine amazzonica: il sistema nervoso centrale.

Geneticamente uomo e donna sono uguali. Non lo sono dal punto di vista epigenetico, di formazione cioè, perché lo sviluppo della donna è stato volontariamente bloccato.

Quello che molti ignorano è che il nostro cervello è fatto di due cervelli. Un cervello arcaico, limbico, localizzato nell’ippocampo, che non si è praticamente evoluto da tre milioni di anni a oggi, e non differisce molto tra l’homo sapiens e i mammiferi inferiori. Un cervello piccolo, ma che possiede una forza straordinaria. Controlla tutte quelle che sono le emozioni. Ha salvato l’australopiteco quando è sceso dagli alberi, permettendogli di fare fronte alla ferocia dell’ambiente e degli aggressori. L’altro cervello è quello cognitivo, molto più giovane. E’ nato con il linguaggio e in 150mila anni ha vissuto uno sviluppo straordinario, specialmente grazie alla cultura.

Il cervello arcaico ha salvato l’australopiteco, ma porterà l’homo sapiens all’estinzione. La scienza ha messo in mano all’uomo potenti armi di distruzione. La fine è già alla portata.

C’è una difficoltà nel rendersi conto che il nostro comportamento è molto complesso, che il cervello è fatto di tante componenti. E c’è una difficoltà nel vedere in ogni catastrofe la possibilità di un rovesciamento. Forse io sono una innata ottimista ma penso che ci sia sempre qualcosa che ci salva.

Invidio chi ha la fede. Io non credo in dio. Non posso credere in un dio che ci premi e ci punisce, in un dio che ci vuole tenere nelle sue mani. Ognuno di noi può diventare un santo o un bandito, ma ciò dipende dai nostri primi tre anni di vita, non da dio. E’ una legge di una scienza che si chiama epigenetica, in altre parole si può definire il risultato del dialogo che si instaura tra i nostri geni e l’ambiente familiare e sociale nel quale cresciamo. Prenda una bicicletta o un insetto, oggi sono pressochè uguali a come erano duecento anni or sono. Noi no. L’uomo è darwiniano al cento per cento. Ebbene, io, a tre anni, glielo giuro, ho deciso che non mi sarei mai sposata e che non avrei avuto bambini. Sono rimasta condizionata dal rapporto vittoriano che subordinava mia madre a mio padre. A quei tempi nascere donna significava avere impresso sulla pelle un marchio di inferiorità. E poi ho visto troppe vite matrimoniali sfortunate. Ne vedo tante anche ai giorni nostri. Ho rinunciato a costruire una famiglia, non all’amore. Questo no.

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