Sotto i soli abbacinanti di quei giorni i cavalieri divennero sempre più sparuti e macilenti, e i loro occhi incavati e bruciati parevano quelli di nottambuli sorpresi dal giorno. Rannicchiati sotto il cappello, sembravano fuggitivi in un ordine più grande, come essere dei quali il sole fosse affamato.
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Ciò che gli uomini pensano della guerra non ha importanza, disse il giudice. La guerra perdura nel tempo. Tanto varrebbe chiedere agli uomini cosa pensano della pietra. La guerra c’è sempre stata. Prima che nascesse l’uomo, la guerra lo aspettava. Il mestiere per eccellenza attendeva il suo professionista per eccellenza. Così era e così sarà. Così e non diversamente.
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La guerra racchiude in sé tutti gli altri mestieri.
E’ per questo che la guerra dura nel tempo?
No, essa perdura perchè i giovani la amano e i vecchi la amano nei giovani. Quelli che hanno combattuto e quelli che non hanno combattuto.
Questo lo dite voi.
Il giudice sorrise. Gli uomini sono nati per giocare. Nient’altro. Tutti i bambini sanno che il gioco è più nobile del lavoro. Sanno anche che il valore o merito di un gioco non sta nel gioco stesso, ma piuttosto nel valore di ciò che è messo in gioco. I giochi d’azzardo richiedono una posta per avere un senso. I giochi sportivi coinvolgono l’abilità e la forza dei contendenti, e l’umiliazione della sconfitta e l’orgoglio della vittoria sono di per sé una posta sufficiente poiché pertengono al valore degli antagonisti e li definiscono. Ma, sia questione d’azzardo o di valore, tutti i giochi aspirano alla condizione di guerra, perchè in essa la posta inghiotte gioco, giocatore, tutto quanto.
Supponiamo che due uomini giochino a carte non avendo da puntare niente se non la vita. Chi non ha mai sentito una storia del genere? Una carta viene girata. Per il giocatore l’intero universo si riversa fragorosamente in quell’istante, che gli dirà se gli tocca di morire per mano di quell’uomo o se toccherà a quell’uomo morire per mano sua. Quale ratifica del valore di un uomo potrebbe essere più sicura di questa? Spingere il gioco alla sua condizione estrema non ammette alcuna discussione concernente la nozione di fato.
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In giochi del genere in cui la post è l’annichilimento dello sconfitto, le decisioni sono del tutto trasparenti. L’uomo che tiene in mano una particolare combinazione di carte è in forza di ciò rimosso dall’esistenza. Tale è la natura della guerra, in cui la posta in gioco è a un tempo il gioco stesso e l’autorità e la giustificazione. Vista in questi termini, la guerra è la forma pi attendibile di divinazione. E’ la verifica della propria volontà e della volontà di un altro, all’interno di quella più ampia volontà che è costretta a compiere una selezione proprio perchè li tiene insieme.
La guerra è il gioco per eccellenza perchè la guerra è in ultima analisi un’effrazione dell’unità dell’esistenza. La guerra è dio.
La forza non produce diritto, rispose Irving. L’uomo che vince un combattimento non è giustificato sul piano morale.
La legge morale è un’invenzione dell’umanità per deprimere il forte a vantaggio del debole. La legge storica la sovverte di continuo. Nessuna verifica estrema potrà mai determinare se un punto di vista morale sia corretto o erroneo. Di un uomo che cada morto in un duello non si penserà di conseguenza che abbia dimostrato di essere in errore riguardo al proprio punto di vista. Il suo stesso coinvolgimento in una prova del genere conferma l’esistenza di un punto di vista nuovo e più ampio. La volontà dei protagonisti di tralasciare ulteriori dispute, considerandole futili come in effetti sono, e di appellarsi invece direttamente al tribunale dell’assoluto storico indica chiaramente di quale scarsa importanza siano le opinioni, e di quale grande importanza siano le divergenze al riguardo. Perchè la disputa è davvero futile, mentre non sono le volontà separate che in tal modo si rendono manifeste.
Nella sua capienza, la vanità dell’uomo può ben avvicinarsi all’infinito, ma la sua conoscenza rimane imperfetta, e comunque egli arrivi a valutare i propri giudizi è costretto infine a sottometterli a una più alta corte. E qui non può esserci alcuna perorazione speciale. Qui considerazioni di equità e rettitudine e diritto morale diventano vuote e prive di autorevolezza, e qui i punti di vista dei litiganti non sono tenuti in alcun conto.
Le decisioni sulla vita e sulla morte, su ciò che deve e che non deve essere, pongono in secondo piano qualunque questione di diritto. Dentro scelte di questa entità vengono sussunte tutte le scelte minori, morali, spirituali, naturali.