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Namibia Family Adventure Day 8 – Sandwich Harbour Day

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Cronache e Storie d'Osteria, italy, photography, travel, Viaggi

FLUSSO CANALIZZATORE

Ci svegliamo di buon’ora come di consueto, ma mi avvisano via mail che l’escursione prevista al mattino è stata spostata a mezzogiorno per le avverse condizioni del vento e del mare. E dato che dovremo transitare lungo un tratto di spiaggia sottile che va e viene con le maree, ci adeguiamo senza protestare. Abbiamo fatto bene ad affidarci per una volta ad un tour locale. Non avremmo mai potuto prevedere problemi simili se avessimo tentato l’escursione in autonomia. Ancora una volta ho modulato i miei azzardi, convogliandoli nel flusso canalizzatore del buon senso.

THE WALKING DEAD

A quel punto rallentiamo e ce la prendiamo con calma, abbiamo tempo per bighellonare un po’. Mangiamo tranquillamente, per quanto la colazione (proprio oggi!) sia molto più scarna del solito. Andiamo a fare un giro. Prima portiamo i ragazzi in un parco giochi assai fatiscente: sembra più un bivacco che un luogo dedicato ai più piccoli. Notiamo un gruppo di non morti defilati fra gli alberi. D’un tratto svaniscono, assorbiti dall’ombra densa e ancestrale delle piante. Ci spostiamo lungo mare, in un punto in cui possiamo ammirare da vicino una quantità spropositata di flamingo.

THE WALKING POS

Torniamo al nostro appartamento e alle 12 l’addetta alla reception ci chiama. Un cowboy ci attende a bordo di un fuoristrada. Il suo nome è Andrew Strauss. Facciamo tappa nel punto esatto in cui eravamo stati pochi istanti prima. Le jeep sono tante. Una tizia si aggira fra i mezzi col pos. Non avevo mai visto un pos vagare fra i clienti in un parcheggio. Paghiamo mentre tutti gli autisti iniziano a sgonfiare gli pneumatici a pressioni mai viste. Andrew depressurizza fino a 0.7. Le gomme sono sostanzialmente a terra. Ci spiegano che è l’unico modo per arrampicarsi sulle dune, e non abbiamo ancora idea di quanto siano alte e di dove finiremo poi. I drivers eseguono dei test radio, per verificare se i walkie talkie di cui sono muniti funzionino bene. Scelgono la frequenza migliore e poi si parte a gruppi di 4-5 fuoristrada per volta.

ANDREW STRAUSS & JOHNNY CASH

Andrew Strauss ha più di 70 anni e un gran fisico. E’ sudafricano ma di origine austriache. Fu suo nonno ad emigrare in Africa all’inizio del 900. Ci racconta di essere un discendente del noto compositore. Io gli credo. Ascolta musica country, ed ogni sosta è buona per scendere a fumarsi una sigaretta. Lo fa con discrezione, dato che in tanti Paesi stranieri fumare è considerata abitudine desueta e gesto quanto meno esecrabile. Andrew ascolta ottima musica country. Riconosco chiaramente Johnny Cash (il suo timbro è inconfondibile) e Hank Williams. Gli spiego che nei miei tragitti a volte mi rilasso ascoltando “An American History” di Johnny Cash e mi guarda sorpreso. “Very strange for an italian man”- mi dice con la sua voce calda e corrosa dal fumo e dal tempo.

ARTEMIA SALINA

Attraversiamo immense saline, dove montagne biancheggianti e lunghi canali dominano il paesaggio. A un certo punto ci fermiamo in prossimità di canali in cui l’acqua assume colorazioni che vanno dal rosa al rosso. Andrew ci spiega che in quell’acqua vive un minuscolo gamberetto rosa di cui i fenicotteri vanno ghiotti. E sembra sia proprio quell’animaletto a munirli della tipica colorazione. Avvistiamo tantissimi uccelli lungo la costa, fra cui maestosi pellicani.

Dai frequenti contatti radio si capisce che il cammino della carovana è sincronizzato. Chi è davanti aggiorna gli altri sullo stato del percorso inventato che andremo a compiere. Inizialmente siamo su una grande spiaggia. Attraversiamo il bagnasciuga, schizzando acqua da tutte le parti, per la felicità di Gim e Iri.

NAMIB NAUKLUFT PARK

Ci fermiamo in prossimità di un cartello di legno che sancisce l’ingresso al Namib Naukluft Park. Penso al fatto che il giorno prima eravamo nello stesso parco, a cavallo delle dune che si trovano nell’entroterra, a centinaia di km da lì, e a quanto sia esteso quel deserto immane. La sosta serve per bere una bibita e per adunarsi. Una graziosa bimba francese si avvicina ai miei e subito scatta l’intesa istintiva che spesso sboccia fra ragazzini: privi come sono delle sovrastrutture tipiche del mondo dei grandi, i bambini hanno una predisposizione naturale a instaurare una concordanza tale da vanificare ogni barriera linguistica.

CASCATE DI SABBIA

Dopo qualche minuto si riparte. Andrew canticchia i suoi motivetti, mentre le dune iniziano ad avanzare e a moltiplicarsi tumultuosamente da sinistra e a spingerci su una striscia di sabbia sempre più sottile, finchè non ci sono a ridosso e la pista diventa poco più di un’idea strampalata. Ci fermiamo in un punto casuale dove ci arrampichiamo sulla duna per saggiare il vento impetuoso dell’oceano e ammirare il deserto dal suo ciglio estremo. Dicono che questo paesaggio sia unico al mondo, che non esista altrove una simile distesa di dune a ridosso del mare. Chissà se è vero.

GLI OCCHI DELLA MENTE

In alcuni tratti il mare sembra voler inghiottire la spiaggia, in altri concede più spazio e respiro. E’ un luogo bellissimo, che conservo negli occhi della mente. D’un tratto la spiaggia si allarga di nuovo e iniziamo a virare verso sinistra, in direzione delle dune. Siamo i primi della cordata, Andrew detta modi e tempi ai colleghi meno esperti.

SOPRAELEVATE IN POLVERE

Arriviamo in prossimità delle dune più grandi. Il nostro cowboy sceglie un punto con cura, poi si ferma, e subito dopo aver inserito le ridotte inizia la scalata. Da qui in avanti, produrrà uno strano sibilo nei tratti più impervi, come per concentrarsi o per esorcizzare il momento. Non abbiamo idea di come si orienti o di dove siamo diretti, non ci sono punti di riferimento. Saliamo, scendiamo e curviamo su queste sopraelevate in polvere. Ci rendiamo conto delle reali pendenze quando diamo un occhio ai fuoristrada che ci seguono. A bordo non si ha la sensazione di quanto sia profonda la tana del bianconiglio. E’ ovvio che sia Andrew a rendere tutto più semplice, con la sua abilità e quel suo mantra sonoro a rimorchio.

RIO DE JANEIRO

Arriviamo in cima e ci fermiamo. Il vento è sempre più potente, ma è un elemento d’arredo del deserto, come se fosse parte del paesaggio. Le dune qui sono straordinarie, morbide, avvolgenti. Davanti a noi l’oceano sterminato. Fra noi e Rio de Janeiro, fra l’Africa e il Brasile non c’è nulla a parte l’acqua. Sotto di noi una lingua di sabbia circoscrive uno specchio d’acqua blu cobalto. Fra le dune e il mare si stende una macchia di vegetazione di un verde elettrico. Percorriamo un crinale in stato d’ebbrezza, Gim e Iri corrono senza direzione, caracollano, sterzano improvvisamente e fanno salti e capriole. I loro sorrisi sanno di libertà. Fra le maglie del vento sento immancabilmente gridare: “Jiiiim!! Vieni a ballare con me!”.

FRA IL NAMIB E L’ATLANTICO

Pare che Sandwich harbour si chiami così perché la sottile striscia di terra che osserviamo dall’alto è stretta nella morsa fra deserto e oceano. Namib e Atlantico la cingono d’assedio da entrambi i lati, ma essa resiste, indomita, respingendo strenuamente i colpi dei giganti che mirano a sopraffarla. La sensazione di beatitudine che ci pervade somiglia a uno stato di grazia, a quando hai rotto il fiato e corri senza fatica, con la testa sgombra dagli impicci della quotidianità.

SALISCENDI E SEMICERCHI

E’ un peccato ripartire ma spesso la transitorietà rende più preziose certe esperienze. E poi bisogna accettare quello che viene quando affidi il timone a un altro. Continuiamo il saliscendi fra le dune, ci addentriamo un po’ nell’entroterra. Qua e là una rada vegetazione punteggia il paesaggio. Avvistiamo alcuni springbok rilassati fra i cespugli.

Poi scivoliamo in una piccola depressione fra le dune dove le 4 jeep del gruppo si fermano a semicerchio. Andrew e gli altri aprono i portabagagli e iniziano ad apparecchiare un tavolo da picnic. Tirano fuori da bere e da mangiare. E per quanto il prosecco che ci offrono sia di scarsa qualità, è un piacere tracannarne qualche bicchiere, visto il caldo stagnante che regna nella conca.

VIA DI FUGA

Mangiamo, beviamo, socializziamo un po’ con gli altri turisti, per lo più francesi. Poi smontiamo le tende, avendo cura di non lasciare traccia del nostro passaggio. Scendiamo di nuovo verso la spiaggia, dove notiamo che la striscia percorribile si è ristretta ulteriormente. E in effetti procediamo a passo spedito, probabilmente perché le maree conservano margini di imprevedibilità.

L’ACQUA ROSSA DEL CANALE

Usciamo dal parco e quando torniamo in prossimità dei canali rossi, ci fermiamo di nuovo. I bambini riposano dietro con Franci. La carovana si è via via dissolta. Andrew mi dice di scendere e di seguirlo. Prende l’acqua del canale e se la spalma sulle mani e sulle braccia.

Faccio come lui e dopo un minuto mi accorgo che, come mi aveva spiegato, la pelle è diventata liscissima. Mi sfrego le mani sul viso per sentirne l’incredibile morbidezza. Il mio amico cowboy mi aveva spiegato che è tutto assolutamente naturale, ma io inizio ad avvertire uno strano prurito al viso e alle braccia. Non ci bado più mentre torniamo a casa.

Mr Strauss ci lascia davanti al cancello, lo salutiamo. Gli stringo la mano perché non mi pare tipo da abbracci. Hi my friend – mi dice, andandosene. Avrò modo di ripensare a lui.

FITZGERALD

E’ stata una giornata leggera per i nostri standard e andiamo a cena senza la solita dilagante spossatezza. Seguiamo le indicazioni per un ristorante in riva al mare. Il posto non sembra promettere nulla di buono. Nei pressi del parcheggio insistono alcune baracchine che vendono oggetti di artigianato locale. I venditori sono meno aggressivi di quelli del giorno prima, e ci permettono di dare un’occhiata e di acquistare senza fretta i loro manufatti.

Procediamo verso il ristorante. E’ carino e accogliente, ci accomodiamo vicino al mare. Un altro bel tramonto è alle porte, lo attendiamo con morbidezza, come in un romanzo di Fitzgerald.

LA ISLA DEL VIENTO

Il sole ci culla mentre scende placido fra le imbarcazioni e le costruzioni in legno. I colori di questa sera raggiungono tonalità di rosa impensabili. Una luce simile me la ricordo probabilmente solo a Ca’ Mari, una spiaggia selvatica nel versante meridionale di Formentera, dove -sul far di una sera d’incanto- un sipario rosa calò senza preavviso, colmando ogni spazio disponibile.

Era il 2007, e dentro la nuvola rosa che ci colse alla sprovvista c’eravamo soltanto io, Francesca e la Isla del viento.

MAALOX PLUS

Dopo aver mangiato ci ritiriamo. Nel gran finale i ragazzi si concedono un bagno rilassante a casa, attratti dalla grande vasca, oggetto per loro semi sconosciuto. Andiamo a dormire, e nelle rotazioni finisco da solo in una camera da letto. La finestra è aperta, e inizio ad avvertire l’odore pungente della sera prima. Non ci faccio tanto caso finchè inizio a respirare male. Il reflusso è un mio compagno di viaggio quasi costante, così provo a placarlo col maalox. Chiudo la finestra. Ma continuo a respirare male, mi pare quasi di soffocare. Mi alzo per cercare di riprendermi. L’ultima speranza si chiama Refluxan: una volta mi salvò dalle polveri dell’Etna, che all’epoca mi avevano ostruito le vie respiratorie. Ma stavolta non funziona.

SALVIA DIVINORUM

A un certo punto avverto un blocco di stomaco. Cerco di scuotermi. Mi bagno viso e collo con l’acqua gelida. Ma comprendo ben presto che quel malessere è solo un accessorio prodromico alle montagne russe che ne seguiranno. E dopo qualche istante inizio a contorcermi, letteralmente. Sto male, la sensazione è quella di una girandola che volteggia incessantemente nello stomaco. Pare l’effetto lavatrice della salvia degli dei. Un moto incessante che mira a liberare materiale in entrambi i sensi di marcia. Trascorro ore interminabili fra il letto e il bagno.

DELIRIO PARANOIDE

E’ un delirio che aumenta con la devastazione e l’assenza di sonno. Sto male e sto ancora più male al pensiero del tragitto complesso che dovrò compiere fra poche ore. Ma non ho alternative, e l’idea mi terrorizza. Allo specchio vedo uno zombie. Bevo ma non trattengo più nemmeno l’acqua. E’ una dissenteria fulminante, che non fa sconti. Scatta una fase allucinatoria e paranoica. Partorisco sindromi da accerchiamento a castello. Forse mi hanno avvelenato al ristorante, o forse è in corso una fuga di gas chimici da qualche stabilimento in zona, oppure la colpa è di Andrew che mi ha fatto immergere le mani nel canale per farmi uno scherzo sadico, mortale.

LA METAMORFOSI

Avverto la presenza del microorganismo che ospito, lo visualizzo, lo sento ridere, dimenarsi e divertirsi in modo malefico, scuotere la coda rabbiosamente per liberarsi di me. Trattengo l’anima a stento. Sento la febbre salire. Vaneggio. Inizio a temere di cambiare colore, di mutare forma come nella Metamorfosi di Kafka, di trasformarmi in uomo-fenicottero, di diventare un mostro.

INLAND EMPIRE

Franci si accorge del mio stato, mi versa qualcosa in bocca, forse fermenti lattici, ma non ne so abbastanza perché non sono più presente. E’ l’ospite a comandare il traffico, a ragionare per me. E non mi molla fino all’alba. D’un tratto la baraonda sembra attenuarsi, l’Impero della mente placa la sua ingordigia. Svengo letteralmente pochi secondi prima che la luce timbri il cartellino.

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